CAVALIERI, Emilio Giacomo
Nato a Napoli il 24 luglio 1663 da Federico ed Elena d’Avenia, era stato indirizzato agli studi giuridici dal padre, un avvocato affermato, che in seguito sarà segretario del Regno e presidente della Camera della Sommaria. Presto il C. manifestò l’intenzione di seguire la vita religiosa: la sua vocazione maturò sotto l’influenza di padre Antonio Torres, esponente autorevole quanto discusso della Congregazione dei pii operai, dal quale fu aiutato a superare l’opposizione familiare: nel 1684 entrò a far parte di quella famiglia religiosa e nel 1687 fu ordinato sacerdote. La stima che il C. seppe suscitare negli ecclesiastici napoletani trovò massima espressione nella fiducia accordatagli dal cardinale Antonio Pignatelli, arcivescovo della città, che lo nominò esaminatore dei confessori e degli ordinandi (1688), esperto sinodale, consultore del tribunale del S. Uffizio presso la Curia arcivescovile (1690).
La rapida carriera del C., se premiava le sue illustri origini, la fervida intelligenza e la grande attività pastorale svolta tra il clero e il popolo napoletano, va messa anche in relazione con la posizione prestigiosa raggiunta dal padre proprio in quegli anni. Pur considerando lo scarso favore dimostrato dalla famiglia per le sue scelte (l’unica eccezione era rappresentata dalla sorella Anna Caterina, la madre di s. Alfonso de’ Liguori), egli rappresentava sempre un tramite ideale tra l’ambiente dei tribunali – che costituiva il centro della vita sociale ed economica della città – quello degli uffici di governo e il mondo ecclesiastico napoletano che non si sentiva mai sufficientemente tutelato nella difesa dei propri diritti e dei propri privilegi e di conseguenza era sempre alla ricerca di nuove alleanze e più solide garanzie.
L’ascesa del C. provocò tuttavia l’opposizione di alcuni ecclesiastici, che si vedevano scavalcati dal giovane protetto, e di forensi e ministri, che non accettavano di buon grado l’aumento di prestigio e di potere che ne veniva alla famiglia Cavalieri. Il malcontento ebbe modo di manifestarsi nel 1692 quando, su mandato del Pignatelli divenuto papa con il nome di Innocenzo XII, il suo successore a Napoli, Giacomo Cantelmo, ebbe incarico di proseguire un processo contro ateisti napoletani che aveva già provocato gravi turbamenti in città e l’espulsione dal Regno del ministro delegato per il S. Uffizio, Giovanni Battista Giberti, vescovo di Cava de’ Tirreni. Il C. si trovò a proseguire gli interrogatori degli accusati (tra i quali vi erano Basilio Giannelli e Giacinto de Cristofaro, due giovani e già noti avvocati) e dei numerosi testimoni, sollevando le proteste violente delle “piazze” e dello stesso governo.
Si disse di lui che “non avendo per oggetto la gloria di Dio, né il bene dell’anima ma solo fini temporali ed ambiziosi nelle cause de’ carcerati in detto tribunale contro quelli seduce i testimoni, non fa stendere l’intiere deposizioni di quelli, ma li fa pigliare diminuite, facendo scrivere solo quello che a favore del fisco può resultare, e lasciare quello che è favorevole al reo: anzi, con manifesto delitto di falzità, con reverenza, spesso ha fatto scrivere quello che mai hanno deposto li testimoni” (D. Confuorto, Giornali di Napoli dal 1679 al 1699, a cura di N. Nicolini, II, Napoli 1931, p. 54). Nella primavera del 1693 Pietro Di Fusco, un altro esponente della nuova generazione di avvocati cresciuti alla scuola di Tommaso Cornelio, Leonardo Di Capua e Francesco D’Andrea, convinse la deputazione che era stata formata per difendere la città dalle iniziative del tribunale del S. Uffizio a chiedere al viceré l’espulsione del C. dal Regno sulla base di una serie di accuse riguardanti il suo modo di procedere: accuse infondate se si guarda alle “praxis” e ai trattati di procedura del tempo, ma che avevano trovato alimento e forza dagli scritti di Giuseppe Valletta, Niccolò Caravita e dello stesso Di Fusco, dedicati a condannare i soprusi e le ingiustizie che venivano commessi nei processi condotti dagli inquisitori.
L’opposizione al C. non aveva tardato a farsi strada negli stessi ambienti della Curia romana dove, accanto alla non insolita gelosia per le fortune di un giovane prelato, aveva avuto parte la preoccupazione per le complicazioni diplomatiche, con Napoli e con Madrid, che il suo modo di fare stava suscitando, in un periodo nel quale, accanto agli screzi consueti, si profilava all’orizzonte la questione della successione di Carlo II a rendere assai tese le relazioni tra Roma e Madrid.
La prudenza e l’amicizia di Innocenzo XII valsero a risolvere la complessa situazione: nella primavera del 1694 il C. fu consacrato vescovo e destinato alla ricca diocesi di Troia. All’apparenza, chi ne era uscito vincitore era stato il C., che a trentun anni si trovava a capo di una diocesi così importante (tra le prime del Regno quanto a rendita dei beni della mensa). Ma la sua ascesa, proprio perché legata al favore del pontefice, si interruppe con la morte di Innocenzo XII: così trovarono soddisfazione quegli ecclesiastici, sia a Napoli sia a Roma, che avevano giudicato severamente il suo operato.
Dall’osservatorio degli intellettuali e politici napoletani le cose furono giudicate diversamente: se l’impegno del Di Fusco e della deputazione contava sul riconoscimento di Roma all’azione svolta in difesa di una corretta amministrazione della giustizia nei tribunali ecclesiastici, la delusione fu cocente. Il ceto civile seppe che non era sufficiente trasferire il dibattito a livello dei principi per costringere Roma a un diverso atteggiamento nei suoi confronti, a riconoscere l’importante ruolo politico che ormai di fatto svolgeva nella vita del Regno napoletano. La Curia romana non temeva né i ministri né gli avvocati: ai primi provvedeva con il ricorso a Madrid dove trovava quegli appoggi che la facevano risultare sempre vincente nelle contese; ai secondi aveva garantito le infinite cause che riguardavano le proprietà ecclesiastiche, se non la potenza economica, certo buona parte del potere politico: sapeva perciò come fronteggiarli.
Nella nuova residenza il C. si trovò ben presto in conflitto con il clero secolare e regolare, per tutta una serie di privilegi e di abusi che trovavano forza e nutrimento in una situazione economica migliore degli altri territori del Regno (ne erano i presupposti la dogana di Foggia, la produzione cerealicola, l’attività commerciale). Da un lato il clero di Foggia non accettava più il controllo e la fiscalità del centro più piccolo e del tutto trascurabile per le attività economiche della regione; dall’altro l’intera struttura ecclesiastica della diocesi mal tollerava lo spirito d’iniziativa, la rigida disciplina e il grande rigore morale che caratterizzarono l’attività pastorale del Cavalieri. L’entusiasmo che lo aveva animato nella difesa delle prerogative di Roma contro le richieste delle “piazze” napoletane ora muoveva il C. a costruire una Chiesa rinnovata nello spirito e ordinata nelle strutture. L’edificazione e il funzionamento del nuovo seminario, le frequenti predicazioni promosse in tutta la diocesi, le visite pastorali, l’esempio di una spiritualità interiore che portò sempre i segni dell’influenza del padre Torres e dei pii operai ne saranno i tratti caratteristici. Negli ultimi anni della sua vita fu in stretta amicizia con s. Paolo della Croce (del quale anzi fu consigliere spirituale) e favorì lo svilupparsi della vocazione in s. Alfonso de’ Liguori. Morì a Troia l’11 ag. 1726.
Il ricordo della sua presenza e della sua operosità a Troia è ancor oggi così vivo che nel 1969 le autorità ecclesiastiche locali hanno deciso di iniziare il processo per la causa di beatificazione.
Fonti e Bibl.: Arch. Segr. Vaticano, Congreg. del Concilio, Diocesis Troiana, 2, Relationes ad limina (partic. interesse riveste quella del luglio 1720 per l’ampiezza dell’analisi e il progetto di riforma della diocesi); Segret. di Stato, Lettere a Vescovi, voll. 176, 177, 179, 183, 185, 186, 187; Lettere di Vescovi, voll. 84, 87, 96, 97, 100, 111, 112, 131, 141, 142, 144; Lettere di Particolari, voll. 78, 80, 82, 83, 85, 89, 90, 102, 110, 111, 123, 128, 129, 130. L’esame dei testimoni prima della consacraz. episcopale, Ibid., in Processus consistorialis, vol. 88 (1694). La sua attività come ministro del S. Uffizio è testimoniata da diversi processi nell’Arch. stor. dioc. di Napoli, Sant’Ufficio. Processi; per quello contro gli ateisti si veda il ms. 761-a. L’Archivio della diocesi di Troia, dove è conservato molto materiale relativo all’azione pastorale del C., è in fase di riordinamento; si vedano ancora Lettere del S. D. mons. E. C., in Boll. della Congregaz. della SS. Croce e Passione, 1929, pp. 232-39; G. Rossi, Della vita di mons. don E. G. C. ..., Napoli 1741; R. Telleria, San Pablo de la Cruz y la familia Ligorio-Cavalieri en el quinquenio 1721-1726, in Spicil. Historicum, XIV (1966), 2, pp. 374-401; A. Tredenari, Mons. E. G. C. dei Pii Operai vescovo di Troia, a cura di D. Vizzari, Napoli 1969; L. Osbat, L’Inquisiz. a Napoli. Il processo agli ateisti, Roma 1974.