EMIGLI (D'Emigli, de' Migli), Emilio
Nacque a Brescia intorno al 1480, da Girolamo, appartenente a un'antica famiglia della nobiltà rurale bresciana, i cui antenati avevano ricevuto per investitura imperiale, nel 1396, la dignità comitale.
Gli Emigli - la cui parentela era molto estesa non solo a Brescia, ma anche a Verona, dove godevano degli onori del patriziato - figurano tra gli ottimati bresciani che firmarono il patto di unione con la Repubblica di Venezia nel 1426. I membri della famiglia risiedettero fino al 1488 nel Nobile Consiglio di Brescia, ricoprendo anche alte cariche nell'amministrazione comunale; si sa, ad esempio, che un fratello del padre dell'E., Rainaldo, fu dottore di Collegio e giureconsulto di ampia fama.
Scarse sono le notizie relative alla giovinezza e alla formazione culturale dell'E., la quale dovette essere di carattere filosofico-letterario ed avvenne probabilmente nel decennio tra il 1490 e il 1500, periodo in cui l'insegnamento umanistico a Brescia raggiunse il suo massimo sviluppo e la più ampia diffusione. Ma non sembra comunque che l'E. abbia conseguito la laurea dottorale. Anche per quanto riguardagli anni successivi, conosciamo solo alcune vicende relative all'E. e alla sua famiglia, che non furono sempre fortunate: è noto, fra l'altro, che il padre Girolamo, ancora vivo nel 1517, era diventato pazzo. In questo stesso anno l'E. risulta già sposato con Chiara Soraga, di nobile famiglia, da cui aveva avuto circa due anni prima una bambina di nome Virginia, che poi, ancora giovanissima, nel 1534, si sarebbe maritata con il nobile Francesco Brunelli. Sempre nel 1517, nacque un'altra figlia, Caterina, e, due anni dopo, nel 1519, un maschio, Luca, di cui si sa che era molto bello, ma cieco. L'E. abitava a Brescia nella casa paterna insieme con il fratello Fabio, più giovane di sette anni, che aveva sposato Paola Soraga, sorella minore della moglie dello stesso E., dalla quale aveva avuto numerosi figli. I due fratelli adottarono anche un trovatello di nome Marsilio.
L'E., che non dovette avere un'occupazione stabile, trovandosi in precarie condizioni finanziarie, dovute anche alla necessità di mantenere una numerosa famiglia, nel 1526, a quasi cinquant'anni, cercò di ottenere il posto di cancelliere del Comune di Brescia. Ma gli fu preferito Vincenzo Pedrocca. Amareggiato per tale scelta, anche per il fatto che la carica era stata nel passato tradizionale appannaggio della sua famiglia, l'E. compose una satira pungente contro il Consiglio comunale (conservata nel manoscritto Queriniano C, I, 15, f. 23 della Biblioteca civica Queriniana di Brescia). Quando però il Pedrocca rinunciò all'ufficio, l'E. venne eletto al suo posto, nel settembre dello stesso anno, e ricopri tale carica con prestigio e onore fino alla morte, avvenuta prematuramente a Brescia due anni dopo, alla fine del luglio 1531. Poco prima della sua morte era uscita a Brescia, il 22 apr. 1531, la traduzione da lui curata di un'operetta di Erasmo da Rotterdam, l'Enchiridion militis christiani.
L'E. venne sepolto nella chiesa di S. Giuseppe. Di lui il cronista contemporaneo Pandolfo Nassino scrisse un elogio mettendone in risalto oltre che l'aspetto fisico, anche, e soprattutto, la profonda onestà dell'animo e le sue doti di eclettismo letterario (Brescia, Bibl. civica Queriniana, Queriniano C, I, 15, f. 392). Gli successe nella carica di cancelliere il fratello Fabio, eletto il 3 agosto dello stesso 1531, il quale si assunse anche il mantenimento della vedova e dei figli dello scomparso.
Nel panorama culturale della Brescia della prima metà del sec. XVI l'E., pur essendo una figura di non straordinaria importanza, occupa un posto di un certo rilievo e interesse, sia per i contatti che egli strinse con altri letterati della sua città e in generale della Lombardia, sia per i suoi diretti rapporti con Erasmo, sfociati nella traduzione dell'Enchiridion. Fu amico di letterati e filosofi come Vincenzo Maggi, con il quale condivise l'amicizia con Erasmo, Pietro Barignano, ma soprattutto con Matteo Bandello. Sappiamo che il legame con quest'ultimo fu intenso e caratterizzato da una comunanza di idee e di scambi letterari. Il nome dell'E. compare, ad esempio, più volte nelle Novelle del Bandello, come ispiratore, protagonista o interlocutore. Nella novella 12 (della I parte) il Bandello stesso dice che ebbe modo di leggere e discutere con l'E. su alcuni sonetti e un madrigale che il Barignano gli aveva sottoposto in occasione di un suo soggiorno nella villa di Montechiaro a Brescia; aggiunge anche che l'E. aveva apprezzato e lodato con lui lo stile e l'eleganza di quei versi. In un'altra novella (2, della II parte) viene affettuosamente preso in giro dall'amico: trovandosi infatti a cena insieme con una compagnia di letterati bresciani, il Bandello rimprovera scherzosamente l'E., che si lamentava perché alcune pietanze erano troppo salate, di non saper distinguere quale fosse il vero sale che rendeva gradevole una vivanda. Secondo il Bandello, infatti, sarebbe la presenza femminile ad un convito l'unico elemento che rende appetibile una cena, piuttosto che un incontro tra soli uomini, e, per questo, ricorda all'E. che in tali incontri non dovrebbe mai mancare la presenza di donne allegre e piacevoli. In un'altra novella (4, della II parte), nella finzione letteraria del Bandello, è lo stesso E. che, trovandosi nella rocca di Castiglione delle Stiviere, alla presenza del marchese Luigi Gonzaga e di altri nobili letterati, racconta una novella ambientata a Venezia, volendo dimostrare come la frequenza di donne poco oneste può risultare dannosa, se non addirittura pericolosa, per l'uomo.
Ma l'elemento letterariamente più significativo, che testimonia lo stretto contatto esistente tra l'E. e il Bandello, è la premessa della novella 11 (parte II) tutta dedicata all'amico e gentiluomo bresciano, in cui il Bandello non solo difende la sua stessa poetica, adducendo argomentazioni più volte condivise dallo stesso E., ma racconta particolareggiatamente le vicende relative al sacco, compiuto nel 1525 dagli Spagnoli, della sua abitazione di Milano. In tale occasione fu rubata al novelliere pressocché tutta la sua produzione letteraria, insieme con il prezioso zibaldone, in cui egli aveva raccolto i vocaboli latini dei migliori autori, e che anche l'E. aveva avuto modo di apprezzare.
Assai più significativo è, comunque, il rapporto che si instaurò fra l'E. ed Erasmo da Rotterdam, testimoniato dapprima da una lettera dell'inizio del 1529 dell'E. al filosofo olandese, e poi dalla già ricordata traduzione che l'E. stesso attuò dell'Enchiridion: un'opera, questa, che dalla sua pubblicazione a Parigi nel 1503 aveva avuto un'enorme diffusione in Europa e in Italia per gli alti valori di riforma morale e religiosa che esprimeva. Nella lettera sopra ricordata l'E. chiedeva ad Erasmo il permesso di tradurre in volgare l'Enchiridion, convinto dell'importanza di questo manuale sul piano pedagogico e spirituale. Erasmo però, non sappiamo per quali motivi, non dette risposta al suo interlocutore bresciano, il quale, il 3 maggio dello stesso 1529, tornò nuovamente a scrivergli, per comunicargli che la traduzione dell'Enchiridion era già stata compiuta e che gliela avrebbe mandata per chiedergli un parere tramite l'amico e filosofo Vincenzo Maggi, che stava per partire per la Germania con intenzione di studiare le cause delle controversie religiose che andavano sempre più diffondendosi. Questa volta la risposta di Erasmo non tardò ad arrivare. Infatti, il successivo 16 maggio, da Friburgo, scriveva a Brescia all'E. una lunga lettera latina compiacendosi, in primo luogo, della traduzione ricevuta, e non mancando, inoltre, di fornire al traduttore alcuni consigli, quali, ad esempio, l'opportunità di eliminare la prefazione di Paul Volz, soprattutto per evitare contrasti ideologici, e di chiarire alcuni passi italiani che non gli sembravano esprimere sufficientemente il suo pensiero originale.
L'edizione della versione dell'Enchiridion uscì a Brescia il 22 apr. 1531 (e ebbe poi una ulteriore ristampa nel 1540), e l'E. vi premise una lettera dedicatoria al bresciano Altobello Averoldi, vescovo di Pola e nunzio apostolico della Repubblica veneta, che allora si trovava a Vicenza, con la quale esprimeva il desiderio di mettersi sotto la sua protezione, contro eventuali critiche che avrebbero potuto venire al suo libro. Sempre premesso a questa edizione, e dedicato all'Averoldi, è pure un sonetto dell'E., che ha per tema la morte e che contiene una calda esortazione ai lettori perché meditino sul significato dell'Enchiridion e se ne servano per una migliore e più viva partecipazione alla vita cristiana. Alla fine del libro si legge, inoltre, una Canzone di penitenza che l'E. compose per riassumere più incisivamente, e con parole più vicine alla sensibilità popolare, il contenuto dell'Enchiridion stesso.
Può non essere privo di significato il fatto che la traduzione dell'Enchiridion sia stata attuata - con attento rispetto delle forme originarie - a Brescia, se si tiene presente che Brescia, negli anni intorno al 1530, fu una città in cui trovarono una certa diffusione le idee luterane (e a partire dal 1524 il papa Clemente VII aveva manifestato le sue preoccupazioni in quel senso), facilitate dalla posizione geografica della città che, con le sue valli, aveva facili strade di comunicazione con l'Europa settentrionale e con la Germania in particolare. E proprio a Brescia, in anni vicini a quelli della traduzione dell'E., vi erano state numerose ed inquiete manifestazioni riformistiche-protestanti che avevano creato proseliti e un clima di notevole conflittualità con le istituzioni cattoliche.
Non minore significato assume, in quest'ambito, proprio la traduzione di un'opera di Erasmo - da sempre assertore di una riforma religiosa all'interno della Chiesa - come l'Enchiridion con cui Erasmo interveniva violentemente nella polemica contro il fariseismo e il formalismo religioso, contro la degradazione e la corruzione dei cristiani e soprattutto di quelli che avrebbero dovuto esserne i pastori, proponendo al tempo stesso, ed esaltando, la visione della vita del cristiano, "soldato" di Cristo, come vigile e costante milizia spirituale, come difesa e propagazione della preghiera e della fede in ideale e non passiva sintesi con lo studio e la pietà. La scelta di quest'opera da parte dell'E. - non è possibile sapere se fu del tutto autonoma o fu a lui sollecitata - aveva quindi un preciso e duplice significato: da un lato era la risposta "ufficiale" alle deviazioni ereticali che avevano turbato la sua stessa città, dall'altro voleva indicare la giusta via da seguire per operare quell'indispensabile rinnovamento culturale e spirituale, senza uscire però al di fuori della Chiesa, in piena aderenza all'intento pedagogico e religioso di Erasmo.
Un'ulteriore testimonianza dell'impegno letterario dell'E. è costituita da alcune rime di intonazione petrarchesca, che egli compose per celebrare l'amore a sfondo erotico, con discreti risultati poetici (pubblicate da G. Ruscelli, in Rime di diversi eccellenti autori bresciani, Venezia 1553, pp. 187-194).
Fonti e Bibl.: La citata corrispondenza tra l'E. ed Erasmo si trova in Opus epistolarum Desiderii Erasmi Roterodami, a cura di P. S. Allen, VIII, London 1906, pp. 2154, 2165; per la presenza dell'E. nelle Novelle del Bandello, vedi l'edizione a cura di G. Brognoligo, Bari 1910, I, p. 152; II, pp. 306, 330, 422 s. Si veda inoltre: D. Morellini, Matteo Bandello novellatore lombardo, Sondrio 1899, pp. 92 s.; E. Masi, Matteo Bandello o vita ital. di un novelliere del Cinquecento, Bologna 1900, p. 192; P. Guerrini, Due amici bresciani di Erasmo, in Arch. stor. lombardo, s. 5, X (1923), pp. 172-180; G. Toffanin, Il Cinquecento, Milano 1941, p. 217; A. Renaudet, Erasme et l'Italie, Genève 1954, pp. 222 s.; A. Monti della Corte, Lefamiglie del Patriziato bresciano, Brescia 1960, p. 39; A. R. De Nardo, Introduzione, in Erasmoda Rotterdam, Enchiridion militis christiani, L'Aquila 1973, passim.