CAVALIERE, Emilio del
Musicista, nato verso il 1550 a Roma, ivi morto nel 1602. Gli agi di cui la sua famiglia, di buona nobiltà, disponeva, gli consentirono di dedicarsi alla musica senza scopo di lucro, assicurando quindi alla sua attività una certa indipendenza, cui non nocquero poi le funzioni ch'egli assunse a Roma e a Firenze; funzioni che anzi fornirono al suo spirito di innovatore i mezzi pratici di cui aveva bisogno. L'ingegno di Emilio non era tale da poter trarre a proprio vantaggio gl'impacci di forme prestabilite, come avviene agli artisti più ricchi di forza e d'intuito; alquanto intellettualistica, la sua arte aveva bisogno di manifestarsi indisturbata, in logica deduzione da premesse d'ordine filosofico. Così vediamo quanto opportuno fu per Emilio l'assumere cariche che lo spingevano a fornire una certa attività, salvandolo dal pericolo del dilettantismo, e che nel tempo medesimo a tale attività non imponevano norme estranee e quindi sfavorevoli. Già verso il ventottesimo anno Emilio prende su di sé l'organizzazione musicale delle solennità quadragesimali allestite dall'arciconfraternita del Crocefisso a S. Marcello, e subito si volge ad attuare praticamente, in queste solennità, alcune delle sue intenzioni, derivate da uno spìtito umanistico nettamente contrario alle forme musicali del tempo. Egli trova, del resto, già in questo suo esordio, un certo favore; probabilmente fino da allora (cioè dai sei anni che dedicò all'oratorio di S. Marcello, dal 1578 al 1584) gli si accostarono, attratti dalla nobiltà del pensiero e del gusto dell'umanista, quegli artisti romani che in seguito collaboreranno con lui all'affermazione e poi alla vitalità del nuovo spirito musicale.
Infatti quando lasciò Roma per Firenze egli era già chiaramente volto all'idea umanistica e chiamato perciò, insieme con altri, a farla trionfare anche nella musica: cosicché a Roma dovette essere egli senza dubbio, e non altri, il vero maestro della nuova scuola. Mentre invece a Firenze tale movimento era avviato già da un certo tempo, cioè fino dalle traduzioni dei teorici greci (1562), e del resto nel 1581 se ne pubblicava il primo "manifesto" per così dire, nel Dialogo della musica antica e della moderna scritto da Vincenzo Galilei e integrato da versioni di inni di Mesomede. Le argomentazioni del C. erano quelle, poi, di tutta la famiglia intellettuale fiorentina, ove da allora in poi il Bardi, i Medici stessi e il Corsi, il Caccini, il Peri, oltre il Galilei medesimo, si studiavano di dedurne opere d'arte concreta, giovandosi dei doviziosi mezzi offerti dalla corte medicea nelle frequenti sue solennità. Mezzi che a Roma non era possibile trovare, prima che l'ambiente musicale non fosse rivolto dalla polifonia cristiana alla vagheggiata monodia classicista, e che il C. informato del fervore novatore dei fiorentini, andò a cercare, nel 1589, presso i Medici, e ottenne in virtù della sua nomina a intendente delle arti.
Nello stesso anno 1589 egli iniziò la sua nuova attività collaborando alla composizione degl'intermedî allestiti per le nozze di Ferdinando de' Medici e Cristina di Lorena, insieme col Caccini (già prossimo, allora, alla maturità del suo stile monodico), col Bardi, col Malvezzi ed altri, e subito dopo produce, primo fra tutti i musicisti moderni, una musica rappresentativa monodica con le due favole pastorali Il satiro e La disperazione di Fileno, su testo di Laura Guidiccioni (per molto tempo sua amica e collaboratrice), inscenate alla corte nel 1590. La musica di queste due favole è andata smarrita, ma ch'essa fosse scritta in stile monodico ci è noto attraverso documenti certi pervenuti fino a noi.
Dopo cinque anni circa (che per lo spirito innovatore del C. non erano passati senza ricerche ed esperimenti, quale, nel 1592, un nuovo temperamento dell'organo), alle due pastorali del 1590 tien dietro Il gioco della cieca, nuovo frutto della collaborazione del C. con la Guidiccioni. Intanto nel 1594 s'era rappresentata in Firenze, presso Iacopo Corsi, un'altra favola musicata in istile monodico: la Dafne di Iacopo Peri, su testo del Rinuccini (ed era stata, questa, una grande vittoria dello stile che di lì a poco, per il trionfo dell'Euridice dello stesso Peri - e, per alcune parti, del Caccini - doveva chiamarsi fiorentino).
La monodia rappresentativa era dunque avviata sicuramente e i saggi del 1590 potevano essere ormai riconosciuti come i fecondi esempî di un'arte nuova, che da Firenze era per divulgarsi nel mondo. Già nel 1592 il Caccini aveva presentato a Roma i suoi primi madrigali a una voce, e nel 1594 prelati e gentiluomini romani avevano assistito alle rappresentazioni della Dafne in casa Corsi a Firenze. Ora ritornando a Roma, tra il 1597 ed il 1600, il C. vi poteva 1iprendere, nelle più favorevoli condizioni, la sua opera di rinnovamento, confortato in questa dai vecchi suoi amici e collaboratori. Nel febbraio del 1600, nell'oratorio di S. Filippo Neri a S. Maria in Vallicella, era allestita la Rappresentazione di Anima e Corpo, sorta di melodramma spirituale, non privo di richiami alle divozioni medievali, composto in musica dal C. e da Dorisio Isorelli, su testo del religioso Agostino Manni, opera ove si attua in un aspetto assai diverso (e di conseguenze diversissime) lo stile rappresentativo fiorentino, circa otto mesi prima che a Firenze questo stile si stabilisse definitivamente con l'Euridice del Peri e quella del Caccini.
L'ispirazione musicale del C., povera di varietà e di eleganza e spesso viziata da intellettualismo, giunge nondimeno in questa Anima e Corpo, in cui la scena è intimamente superflua, a una espressione intensa e severa, spoglia di ogni orpello, che divenne nel '600 esempio mirabile a tutta la scuola dell'Oratorio, scuola intimamente legata al genio romano, impersonale per eccellenza e lontanissimo dal teatro.
Negli ultimi due anni della sua vita il C. attese a lavori di minore entità. A Firenze lo ritroviamo nell'ottobre del 1600, occupato alla composizione d'un Dialogo di Giunone e Minerva su testo del Guarini ed alla concertazione dell'Euridice del Peri. A Roma, la sua attività volge alla fine, tutta intesa ormai ad espressioni religiose, nella composizione, in collaborazione con l'Isorelli, di Lamentazioni e di Responsorî per la settimana santa.
Bibl.: Fac simile della Rappresentazione di anima e corpo (ediz. 1600) in F. Mantica, Collezione di prime fioriture del melodramma italiano, 1912; fondamentale, la prefazione di A. Guidotti, riprodotta anche in A. Solerti, Le origini del melodramma, Torino 1908; D. Alaleona, Su E. del C., in Nuova musica, 1905.