CAMPOLONGO (Campilongo), Emilio
Nacque a Padova nel 1550 da Lodovico, professore di medicina teorica nell'ateneo padovano, di antica e nobile famiglia. Studiò medicina nella città natale; qui, nel 1578, iniziò a insegnare medicina teorica straordinaria in secondo loco, passando al primo nel 1583.
Esercitava contemporaneamente la professione medica all'ospedale di S. Francesco, dove si fece notare per la sua opposizione all'insegnamento di Marco Oddo e Albertino Bottoni, a cui contrapponeva un corso di esercitazioni pratiche. Nel 1591 successe all'Oddo nel corso di medicina pratica straordinaria; nel 1596 passò a quello di teorica ordinaria, reso vacante dalla morte del Bottoni. L'insegnamento e gli scritti pubblicati gli guadagnarono vasta fama, tanto da essere costretto a lasciare sovente l'insegnamento in seguito alle pressanti richieste di consulti da parte di principi e personalità dell'epoca, quali Francesco Maria II duca d'Urbino e il suo ministro Giuliano Della Rovere, il principe Sigismondo Gonzaga e Giulio Cesare Gonzaga marchese di Castiglione, il doge di Venezia Marino Grimani. Ma nonostante i numerosi viaggi attraverso l'Italia, il C. continuò il suo insegnamento presso l'università di Padova fino alla morte, né volle mai allontanarsene definitivamente, se nel 1591 rifiutò l'offerta di un lauto stipendio per recarsi permanentemente presso la corte del duca d'Urbino. In quello stesso anno prese parte a una disputa sulle febbri pestilenziali, svoltasi quando il duca d'Urbino richiese consiglio ai professori di Padova a proposito di un'epidemia verificatasi a Pesaro. Il contributo del C., come quello degli altri primari A. Bottoni e G. Fabrizi d'Acquapendente, fu secondario, poiché le posizioni prevalenti furono sostenute da E. Sassonia e da A. Massaria.
Morì il 17 ott. 1604 a Padova e fu sepolto nella tomba di famiglia nella chiesa di S. Maria dei Servi, ove il fratello Annibale, giureconsulto, fece porre un busto e una lapide.
Nonostante la sua morte sia avvenuta ad appena cinquantaquattro anni, le numerose opere, per altro non tutte di segnalata originalità, testimoniano un'attività fervida che, unita alla grande pratica medica, giustifica la solida notorietà di cui godette presso i contemporanei. Nonostante il metodo rigidamente aristotelico, il "galenico" C. seppe dare un contributo non trascurabile, che lo fa annoverare con un certo rilievo nella storia della medicina rinascimentale, specialmente nel campo della semeiotica.
La prima opera, Theoremata de humana perfectione veritatis indagationibus Patavii discutienda relicta, Patavii 1573, giudicata dubbia da Haller (p. 189) e invece attribuita al C. da Mercklin (p. 15), esula dai suoi interessi più specificatamente medici. Lo scritto De arthritide liber unus, de variolis alter, Venetiis 1586, contiene appunti dalle sue lezioni, riordinati variamente e da lui approvati, in cui espone la natura, le cause, le varietà, i sintomi dell'artrite; tratta inoltre degli antidoloriferi e dei rimedi chirurgici, farmacologici e dietetici contro di essa. La seconda parte, sul vaiolo, appariva dopo gli studi di G. Arcolani, G. Dalla Torre e G. Fracastoro, non aggiungendo granché di nuovo sull'argomento. Seguendo un metodo rigidamente aristotelico e servendosi di copiose citazioni da Galeno e da Avicenna, il C. tratta le cause delle malattie esantematiche ed i sintomi relativi, nonché i rimedi chirurgici per le pustole, da lui attribuite all'ebollizione del sangue; infine si sofferma a parlare dei postumi del male.
Di rilievo secondario è pure il volume Methodi medicinales duae,in quibus vera et legitima medendi ratio traditur, propositae in Acad. Patavina a viris nobiliss. profess. D. Alb. Bottono et Aem. Campolongo. Opera Lazari Susenbeti in lucem editae, Francofurti 1595. L'opera più importante del C. è ΣΗΜΕΙΩΤΙΚΕ, seu Nova cognoscendi morbos methodus, ad analyseos Capivaccinae normam, ab Aemylio Campolongo, professore patavino, expressa: nunc primum vero, per Iohannem Iessenium à Iessen, recte discentium et medentium usui, publicata, Witebergae 1601. Essa lo fece annoverare tra gli scrittori semeiotici generali del sec. XVI (Kestner, p. 501) e gli valse gli elogi del Conring. In questo scritto il C. si basa sugli insegnamenti di Giovanni Argenterio e specialmente di Gerolamo Capivaccio, docente di pratica medica nell'ateneo patavino, e autore di una Medicina practica, sive Methodus cognoscendorum et curandorum omnium humani corporis affectuum (Francofurti 1594), che non mancò di esercitare i suoi influssi sull'opera del Campolongo. Del Capivaccio è comunque riportato uno schema per l'interrogatorio degli ammalati, che precede la trattazione vera e propria, di complessive 97 pagine. La semeiotica, secondo Galeno una delle tre parti "superiori" della medicina, insieme con la patologia e la fisiologia, ha per oggetto il rilevamento dei sintomi o segni che caratterizzano i vari quadri morbosi. Esplicitamente il C. si pone in un rapporto di continuità con le sue opere precedenti, soprattutto con i Methodi medicinales duae, anche nel metodo, che è sempre aristotelico, e si avvale ampiamente di passi di Ippocrate e di Galeno.
Lo Haller stronca recisamente un'altra opera del C., De verminibus, de uteri affectibus, deque morbis cutaneis tractatus, Parisiis 1634, postuma, con le parole "leve certe et inutile opusculum" (p. 189). In verità i tre opuscoli, che occupano il IV libro dell'opera Medicina practica di Fabrizio d'Acquapendente (pp. 649-799). sembrarono troppo brevi e superficiali anche a Kestner (p. 622).Con l'altra opera postuma De lue venerea libellus, Venetiis 1625, il C. affronta un argomento a quel tempo molto dibattuto dai medici; essa inoltre testimonia la vastità degli studi da lui compiuti, in gran parte però generici e prevalentemente divulgativi.
Un autore del Seicento, il Tomasini, elenca numerosi manoscritti del C. conservati al suo tempo nelle biblioteche private di Padova. Si tratta per lo più di appunti dei suoi corsi universitari, il cui solo titolo serve a confermare quelli che furono i principali interessi del C.: ricerche di semeiotica, commentari agli scritti di Ippocrate e di Galeno, e tutta una serie d'indagini cliniche rivolte principalmente al campo delle malattie esantematiche, ecc.
Bibl.: G. F. Tomasini, Bibliothecae Patavinae manuscriptae publicae et privatae, Utini 1639, pp. 96, 101, 113, 116, 138; G. M. Koenig, Bibliotheca vetus et nova, Altdorfii 1678, p. 159; G. A. Mercklin, Lindenius renovatus, Norimbergae 1686, pp. 15 s.; H. Conring, In universalem artem medicam... Introductio, Halae et Lipsiae 1687, p. 241; A. Riccoboni, De Gymnasio Patavino commentariorumlibri sex, in J. G. Graeve, Thesaurus antiquitatum et historiarum Italiae, Lugduni Batavorum 1722, coll. 91 s.;N. C. Papadopoli, Historia Gymnasii Patavini, I, Venetiis 1726, p. 340; C. W. Kestner, Bibliotheca medica, Jenae 1746, pp. 501, 593, 622; I. Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini, III, Patavii 1757, pp. 349, 353, 364, 368, 370; A. v. Haller, Bibl. medicinae practicae, II, Bern-Basil 1777, p. 189; L. Montesanto, Dell'orig. della clinica med. di Padova, Padova 1827, p. 54; J. E. Dezeimeris, Dict. historique de la médecine ancienne et modeme, I, Paris 1828, p. 621; G. Vedova, Biografia degli scrittori padovani, I, Padova 1832, pp. 149-152, 193-196; A. Favaro, G. Galilei e lo Studio di Padova, II, Firenze 1883, pp. 33, 147, 152; E. Morpurgo, Lo Studio di Padova, le epidemie e i contagi durante il governo della Repubblica Veneta (1405-1797), in Mem. e docc. per la st. dell'univ. di Padova, I, Padova 1922, pp. 149, 199, 305; A. Sorbelli, Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d'Italia, XLVIII, p. 77.