EMILIA (XIII, p. 898)
Per l'art. 131 della nuova costituzione italiana, questo compartimento (22.120 kmq.) è diventato regione col nome Emilia-Romagna (v. romagna, in questa App.). Quanto alla superficie non ha avuto, dopo il 1924, aggiunte o detrazioni di rilievo. La popolazione che nel 1921 aveva leggermente superato i 3 milioni (3.033.150 ab.), è aumentata poi regolarmente di un'aliquota media annua oscillante tra 6 e 7%: nel 1931 equivaleva a 3.218.452 ab., e nel 1936 a 3.338.721 ab. dei quali 1.633.034 (pari a 48,4%) nei centri e 1.705.687 (pari a 51,6%) sparsi.
La densità complessiva era di 151,5 ab., ma quella dell'insediamento sparso si limitava a 77,5 ab. In pratica l'aumento più forte di popolazione è dato dai comuni della pianura olocenica, posti nei comprensorî di bonifica mentre una diminuzione pronunciata si osserva in pieno Appennino, specialmente ove prevalgono le argille marnose o anche le marne arenacee fortemente erodibili: diminuzione che va imputata a un fenomeno di spopolamento prodotto da rendita scadente, da fisco elevato, da abitazioni in condizioni igieniche deplorevoli, ecc.
Una stima del 1° gennaio 1948 ha dato una popolazione pari a 3.550.928 abitanti (densità 160,6).
Più che metà della popolazione emiliana (58,6% nel 1936) è addetta all'agricoltura; e quindi la densità della popolazione agricola, che è in evidente relazione alla natura dei suoli e alle condizioni morfologiche, si mostra decrescente a regolari fasce, a mano a mano che dalla zona pleistocenica (ove ha valori fra 80 e 130) si rimonta lungo le valli appenniniche (in cui la densità della popolaziorie sparsa va da 25 a 50), ed anche - ma meno - a grado che ci si sposta verso i comprensorî ove la trasformazione agricola non è completa (in essi la densità della popolazione sparsa è oscillante tra 50 e 70). I valori più alti si hanno nella pianura olocenica (media 150-200). Un altro elemento che sotto l'aspetto sociale conferma questa preminenza dell'agricoltura si trae dall'esame delle forme di proprietà e di conduzione nelle aziende agricole, quali risultano nel censimento generale agricolo del 1930.
Il primo posto va, nelle zone montane, alla proprietà direttamente coltivatrice a cui spettano più che 2/3 delle aziende (65,4%) e più che metà della superficie (53,6%). Anche in pianura questa forma di conduzione ha notevole sviluppo, specialmente nelle provincie di Parma e di Piacenza. La conduzione mezzadrile non ha grande valore nelle provincn di Piacenza (17,7% delle aziende, 17,1% della superficie) e di Ferrara (rispettivamente 12,1 e 16,8%), ma ne acquista maggiore in quelle di Parma e di Reggio e diventa assolutamente predominante nelle quattro provincie sud-orientali: Modena, Bologna, Ravenna, e Forlì (i valori più elevati si hanno nel subappennino faentino: 68,0% delle aziende e 85% della superficie). Nei comprensorî di bonifica viceversa si sono imposte forme di compartecipazione operaia: nel 1930 in prov. di Ferrara 2/5 della popolazione complessiva (cioè 154.280 ab.) erano rappresentati da famiglie il cui capo era nelle condizioni di operaio agricolo giornaliero.
Nel campo industriale (e facendo astrazione degli stabilimenti creati in seguito all'orientamento economico protezionista degli anni anteguerra, che sono in gran parte scomparsi o si sono trasformati dopo la guerra), la regione ha manifestato, dal 1927 ad oggi, uno sviluppo notevole nelle branche condizionate dalla intensa produzione agricola.
Dai dati di censimento 1937-40 si può osservare che gli stabilimenti alimentari o comunque dipendenti dall'agricoltura che erano 9930 nel 1927 sono diventati 14.011. Più in particolare quelli cerealicoli, pur conservando di norma, singolarmente, minuscole dimensioni, sono 10.207. Quelli casearî sono aumentati a 2782 e impiegano circa 5.500.000 q. di latte annualmente. Gli stabilimenti saccariferi (dei quali ne restano 22) hanno lavorato in media dal 1938 in poi da 10 a 12 milioni di q. di bietole ogni anno ed assorbiti nel 1940 18.250 operai. (Alcuni stabilimenti, specie in prov. di Ferrara, che avevano lamentato notevoli devastazioni in seguito ad azioni di guerra, sono ora in gran parte ripristinati). Invece, una diminuzione di incremento, e in qualche zona - come in Romagna - una contrazione, si nota nei rami del vestiario, del legno e delle costruzioni meccaniche (meno le relative all'agricoltura).
La guerra ha veramente sconvolto, in questo compartimento, la rete delle comunicazioni: sia quella carrozzabile sia quella ferroviaria. La devastazione è più forte in Romagna e nelle valli bolognesi e modenesi, ove le operazioni militari alleate (settembre 1944-aprile 1945) hanno proceduto molto a rilento.
Ad es. lungo la via Emilia, nel tratto da Rimini a Bologna (km. 112) le truppe germaniche hanno fatto saltare 12 ponti a 30 più arcate e una cinquantina di ponticelli. Uguali distruzioni hanno avuto luogo lungo il tronco ferroviario adiacente. Inoltre prima che questa regione fosse occupata completamente dall'esercito alleato, verso la metà dell'aprile 1945, entro la sua circoscrizione erano crollati anche quattro ponti ferroviarî sul Po (Piacenza, Monticelli d'Ongina, Casalmaggiore, Pontelagoscuro) e otto ponti stradali anch'essi sul Po. Nell'ottobre 1948 i ponti ferroviarî sul Po erano stati tutti riedificati e quelli stradali in corso di ricostruzione; erano stati ripristinati 9/10 (cioè circa 930 km.) della rete ferroviaria.
Danni ai monumenti e alle opere d'arte. - I danni maggiori sono stati riportati da Bologna e Parma; non indifferenti quelli di Modena e Piacenza (v. le singole voci, in queita App.). Vicino a Bologna è stata sconvolta la zona archeologica di Marzabotto mentre a Monte Armato sono stati per tre quarti abbattuti i resti dell'antica Badia. A oriente di Bologna le chiese di Budrio, quelle bellissime di Argenta e la parrocchiale di Portamaggiore sono in gran parte abbattute. A Fidenza la canonica del duomo e il palazzo comunale sono stati colpiti in maniera piuttosto seria.
Storia. - La storia dell'Emilia nell'ultimo decennio del governo fascista non presenta caratteristiche peculiari rispetto alle altre regioni italiane. Regione prevalentemente agricola, vi erano rimasti, sostanzialmente, insoluti i problemi più gravi, specialmente quello del bracciantato nella Bassa bolognese, ferrarese e ravennate, ma non allo stato acuto, almeno esteriormente, sia per la politica del regime intesa a soffocare i problemi sociali là dove non li poteva o voleva risolvere, sia per qualche sfogo parziale che quei problemi avevano avuto con l'emigrazione interna, specie nelle Paludi Pontine e con l'emigrazione esterna (Libia, Africa Orientale). La Romagna per quanto terra di Mussolini, era, tranne che nelle città, tepidamente fascista e non vi erano interamente scomparsi i ricordi e gli uomini del vecchio repubblicanesimo e del socialismo, come pure in certe provincie emiliane (Reggio, Parma), dove si faceva sentire molto anche l'azione del clero. La guerra schiumò anche in Emilia, con i richiami alle armi, molte forze valide e anche l'Emilia diede largo contributo di sangue, benché fosse provata meno di altre regioni in cui si reclutavano truppe speciali, come quelle alpine. La popolazione civile, prima delle città, poi anche delle campagne, cominciò a venir presa nel gorgo della guerra nel 1943, con i primi bombardamenti aerei. Seguirono, dopo l'8 settembre 1943, l'occupazione tedesca e la nascita del fascismo repubblicano, che ebbe in Bologna uno dei suoi centri principali. Risposero le prime formazioni partigiane, più attive e più forti nelle zone appenniniche, le quali meglio si prestavano alla guerriglia, che non nelle zone padane; e nelle zone appenniniche, piacentine, parmensi e reggiane, più che in quelle romagnole, percorse dalla "linea gotica" e divenute nell'estate 1944 teatro degli eserciti operanti. Alle prime azioni delle forze della resistenza, come l'uccisione del capo fascista di Ferrara (15 novembre 1943), risposero feroci repressioni fasciste ed altre anche più crudeli delle truppe tedesche, come il massacro di Marzabotto. Mentre nella provincia di Bologna le operazioni militari si arrestarono nel settembre 1944, nella Romagna proseguirono fino al dicembre (il 5 conquista di Ravenna, il 17 di Faenza); e ripresero poi su tutta la linea appenninica, dal Frignano al mare, nell'aprile 1945, portando in pochi giorni, anche col concorso delle formazioni partigiane, specie nel Piacentino e Parmense, alla cacciata dei Tedeschi e dei fascisti da tutta la regione. Seguì nei mesi di maggio e giugno una violenta reazione, più violenta che in altre regioni d'Italia, contro gli elementi compromessi col fascismo repubblicano, nella quale si sfogarono anche risentimenti e odî personali e tentativi, taluni ingenui e feroci insieme, di rivendicazioni sociali, soprattutto nel Modenese, nel Ravennate, nel Reggiano. L'ordine e l'autorità dello stato poterono riprendere ed affermarsi anche nelle campagne a poco a poco; e si cominciò a por mano all'opera di risanamento delle piaghe della guerra, particolarmente profonde nel triangolo Imola-Ravenna-Rimini. Il ritorno della quiete permise che nei primi mesi del 1946 si svolgessero nell'ordine le elezioni amministrative, poi, il 2 giugno 1946, le elezioni politiche per la costituente ed infine, il 18 aprile 1948, quelle per la prima legislatura della repubblica. Per il referendum costituzionale l'Emilia diede una maggioranza schiacciante di oltre tre quarti dei votanti per la repubblica; nelle elezioni del 18 aprile 1948 i partiti di sinistra riuniti nel Fronte democratico popolare ebbero oltre un milione di voti, distribuiti più nelle provincie romagnole che in quelle emiliane; al contrario, la Democrazia cristiana, con più di 700 mila voti, si affermò più nelle seconde che nelle prime; il Partito repubblicano mantenne le sue forti posizioni nella Romagna (quasi 100.000 voti): mentre ebbe votazioni insignificanti nelle provincie emiliane; il Partito di unità socialista ebbe una notevole affermazione (quasi 200.000 voti egualmente distribuiti in tutta la regione). Questo diverso atteggiarsi politico dell'Emilia rispetto alla Romagna ebbe forse qualche parte nella proposta fatta alla Costituente, fondata su ragioni storiche, di creare una regione Emiliana-Lunense (l'Emilia più le provincie de La Spezia e di Massa Carrara) e una regione di Romagna. Ma l'art. 131 della costituzione ha mantenuto l'unità regionale Emilia-Romagna.