AUGIER, Èmile
Autore drammatico francese, nato a Valenza (Drôme) nel 1820, da un avvocato di provincia, che lo destinava alla sua stessa professione. Sua madre era figlia di Pigault-Lebrun, novelliere e commediografo di vecchia e un po' grossa tempra gauloise. L'ambiente e le idee tra cui il piccolo Emilio visse anche dopo che, in età di otto anni, si trasferì con la famiglia a Parigi, ebbero evidente influenza sulla sua formazione morale. Si andava allora consolidando in Francia il nuovo regime, quello della società borghese, che già aveva trovato il suo descrittore epico (e solo per eccezione drammatico) in Balzac. Ma Balzac professava di non amare quella borghesia mediocre e affarista, che dipingeva con molte ombre e poche luci. L'Augier invece, forse proponendosi di fare nel teatro qualcosa di simile a ciò che l'autore de La Comédie humaine aveva fatto nel romanzo, si dichiarò lealmente, con tutta l'onestà delle sue convinzioni laiche, democratiche, liberali, progressiste e anticlericali, l'avvocato, se non dei costumi del tempo, delle sue aspirazioni. Scrittore non eroico né romantico, ma che accettando l'ordine costituito, almeno come migliore di quelli che l'avevan preceduto, ne assunse la difesa così contro i nostalgici lodatori del passato, come contro gli scapigliati ribelli.
L'A. giovinetto aveva conosciuto, ne' suoi studî al Collège Henri IV, il giovine duca d'Aumale, che, divenuto suo amico, lo scelse come proprio bibliotecario. La felice rappresentazione della Cigüe, la prima commedia dell'A. (veramente egli ne aveva, a vent'anni, scritta un'altra in collaborazione con il suo condiscepolo Nogent-Saint-Laurent: ma l'Ambigu gliela rifiutò) ebbe luogo all'Odéon nel 1844. L'anno innanzi aveva visto la caduta dei Burgraves di Hugo e il successo della Lucrezia di Ponsard (v.), il campione ufficiale della nuova reazione antiromantica, la cosiddetta "scuola del buon senso". Difatti così le scene un po' prosaicamente verseggiate della Cigüe, come quelle, pure in versi, di Un homme de bien (1845), furono applaudite come altrettanti saggi, solidi e classicheggianti, di cotesta scuola. Più netta posizione contro le ultime apologie romantiche dell'avventura ex-lege, del libero amore redentore, della passione ebbrezza dell'essere, ecc., l'A. sembrò prendere nelle commedie che seguirono: L'Aventurière (1848), in cui denunciò i pericoli che apporta alla famiglia la perfidia della donna irregolare; Gabrielle (1849), in cui rovesciando la tesi cara ai vecchi autori comici dette l'aureola della simpatia non all'amante ma al marito; e il favore con cui queste commedie furono accolte disse chiaro ch'esse rispondevano al sentimento del pubblico borghese. I successi di Le joueur de flûte (1850), di Diane (1852), di Philiberte (1853), de La pierre de touche (1854), furono minori. Grande invece il trionfo de Le gendre de M. Poirier (1854), scritta in collaborazione con Jules Sandeau, e che si considera generalmente il capolavoro dell'A.; quattro atti di semplice, netta e robusta prosa, dove son posti a fronte il suocero, buon borghese arricchito, e il genero, patrizio brillante e disutile, con ravvedimento finale del secondo; vittoria di Antoinette, la creatura che come figlia e come sposa aduna in sé le virtù del padre da cui è nata e del marito che ama, sintesi viva e ottimista delle buone eredità di ieri e delle conquiste d'oggi. Significativo, anche per il contrasto con l'entusiasmo suscitato dalla Dame aux camélias (1847-1852: v. dumas figlio) il successo de Le mariage d'Olympe (1855), pure in prosa (come poi tutte le sue commedie successive tranne una): qui l'A. rappresentò la cortigiana "riabilitata", e che tuttavia cede daccapo alla "nostalgia del fango". La crudezza del soggetto e, relativamente all'epoca, della sua trattazione, indussero la critica del tempo dell'A. a considerare questo lavoro tra gli esponenti d'una nuova maniera, la "realista", a cui del resto ascrivevano anche quella Dame aux camélias che a noi oggi sembra invece il prodotto più tipico del basso romanticismo. E alla stessa maniera - dopo la Ceinture dorée (1855) - fu ascritta Les lionnes pauvres (1858), in cui si dipinge l'adultera che si degrada sino a precipitare nella prostituzione. Dopo Un beau mariage (1859) l'A. imprese a trattare quadri d'ambiente anche politico-religioso, in Les effrontéś (1861) e nella loro continuazione, Le fils de Giboyer (1862), battaglia al clericalismo e al giornalismo affarista; donde scandali e polemiche, specie con il più insigne giornalista cattolico del tempo, il Veuillot (v.). Seguirono Maître Guérin (1864), commedia che tratteggia un candido carattere di notaio con mirabile evidenza; La contagion (1866); Paul Forestier (1868) in cui l'A. riadottò una volta tanto il verso; Lions et renards (1869), in cui attaccò direttamente, fra nuovo scalpore, i Gesuiti; Jean de Thommeray (1873); e Madame Caverlet (1876, in senso divorzista). L'ultimo lavoro dell'A., e uno de' suoi maggiori successi, fu Les Fourchambault (1878), che mette in scena la generosità d'una donna tradita, la quale incontrandosi, dopo lunghi anni, con colui che fu causa del disonore suo e del suo figliuolo, lo salva dall'ignominia. L'A. fu pure collaboratore del de Musset (L'habit vert) e del Labiche (Le prix Martin).
L'entusiasmo della società francese per questo suo scrittore e difensore fu, nonostante i contrasti suscitati da alcune sue tesi, grandissimo. Alla prima rappresentazione del Fils de Giboyer il pontefice della critica borghese, Sarcey, non esitava a paragonare l'importanza della commedia a quella del Mariage de Figaro di Beaumarchais. E per lungo tempo dopo la sua morte, avvenuta nel 1889, il nome dell'A. fu spesso unito a quello di Molière: ravvicinamento in cui crediamo si sia voluta soprattutto riconoscere la forza della sua morale "naturale", laica e borghese, della sua mentalità ostile a qualunque ideale trascendente, ferma al comune buonsenso, indulgente a qualche eccesso giovanile ma purché la saldezza della famiglia non ne soffra, odiatrice dell'ipocrisia, e lodatrice della ragione e della vita semplice e sana. Quanto all'arte dell'A., essa eccelle nel mettere in piedi, a parlare e agire, creature ben vive, dal carattere netto e definito, meglio che in versi dall'andamento prosaico, in chiara e salda prosa, spesso dialogata con verve brillante. Forse, nei problemi a cui s'interessò, l'A. non sempre colse i motivi d'eterna attualità, ma s'indugiò su particolari minori, contingenti e proprî del suo tempo: donde le rughe che molte volte, oggi, le sue commedie mostrano alla ribalta. Ma il complesso dell'opera sua, oltre alla grande importanza storica e documentaria, costituisce un mondo bene organico e compatto, dove (a parte il valore di certi assunti) l'osservazione è sovente giusta, e l'espressione quasi sempre equilibrata e felice: creature come Giboyer, come il barone d'Estrigaud, come il signor Poirier, come l'ammirabile notaio Guérin, ne attestano anche oggi, in mezzo a una folla di personaggi secondarî, la bella vitalità.
Ne sono anche riprova le larghe influenze che questo commediografo, uno dei maggiori dell'Ottocento francese, ha esercitato anche sul teatro straniero: in Italia, gli deve molto Paolo Ferrari (v.); e la sua "morale" non è certo estranea a quella della più tipica commedia borghese nostra della fine del secolo scorso, Come le foglie di G. Giacosa.
Bibl.: F. Sarcey, Quarante ans de théâtre, V, Parigi 1900-1902; J. Lemaître, Impressions de théâtre, V, Parigi 1888-1898; L. Lacour, Trois théâtres (Augier, Dumas fils, Sardou), Parigi 1880; P. De Saint-Victor, Le théâtre contemporain; É. Augier, A. Dumas fils, Parigi 1889; P. Morillot, E. A., Étude biographique et critique, Grenoble 1901; H. Gaillard De Champris, Ém. Augier et la comédie sociale, Parigi 1911.