EMBLEMA (gr. ἔμβλημα)
Figura simbolica, di solito accompagnata da un motto e da una dichiarazione in versi, talvolta anche da un commento in prosa.
Il primo a usare la parola in questa accezione fu Andrea Alciato, nel suo Emblematum liber, pubblicato ad Augusta nel 1531. La parola, significante in greco e in latino (Cicerone) "ornamento accessorio" (cfr. fr. applique), e in lat. anche "opera musiva" e "ornamento del discorso" (Quintiliano), fu presa dall'Alciato dalle Adnotationes in Pandectarum libros (Parigi 1508) di G. Budé, ove essa denota "opera musiva". In questo senso l'aveva usata F. Colonna nella Hypnerotomachia (pubblicato a Venezia nel 1499), un volume di emblemature che ebbe grande influsso sull'origine della moda degli emblemi. In De verborum significatione (Lione 1530) l'Alciato dichiarava: "le parole contrassegnano, le cose sono contrassegnate. Ma anche le cose contrassegnano, come i geroglifici di Oro e di Cheremone; e a prova di ciò noi abbiamo compilato un libro il cui titolo è Emblemata".
Gli emblemi nascono come un tentativo umanistico di dare un equivalente moderno dei geroglifici egiziani, erroneamente interpretati. Secondo codesta erronea interpretazione, basata sulle notizie fornite da Plinio, Tacito, Plutarco, Apuleio, Clemente Alessandrino, Plotino, ecc., s'immaginò che i geroglifici fossero una scrittura solamente ideografica, che con essi i sacerdoti egiziani adombrassero idee divine, e che i filosofi greci avessero attinto alla sapienza geroglifica. Vi si videro anche prefigurazioni della dottrina cristiana (Cassiodoro, Rufino). La voga dei geroglifici tra gli umanisti trasse origine dai Hieroglyphica (del genere enigmatico) di Orapollo o (Horus) Apollo, autore apparentemente egiziano del sec. IV o del II d. C., non identificato, forse fittizio; non meglio identificato è il traduttore greco Filippo. Un manoscritto greco dei Hieroglyphica fu acquistato nel 1419 nell'isola di Andro dal sacerdote fiorentino Cristoforo de' Buondelmonti, e suscitò l'interesse degli umanisti di Firenze, specialmente di Marsilio Ficino. Ben presto gli artisti misero a profitto la nuova pseudo-scienza: se ne parla nell'Architettura di L. B. Alberti (VIII, cap. 40); se ne trassero motivi per medaglie, monete, decorazioni di colonne, di archi trionfali, di appartamenti. Sotto l'influsso dell'Alberti è la Hypnerotomachia (già scritta nel 1467, pubblicata da Aldo Manuzio nel 1499) ove ricorrono parecchie invenzioni geroglifiche moderne e figurazioni simboliche, tra cui quella famosa della moneta di Tito, il delfino avviticchiato all'ancora, col motto: Semper festina lente, che doveva essere adottato per le edizioni aldine. Aldo stampò anche la prima edizione di Orapollo (1505) che Filippo Fasanini tradusse in latino (1517). Già il Fasanini parla delle applicazioni pratiche, decorative, dei geroglifici, come farà poi l'Alciato nell'ediz. 1551 degli Emblemata, ove mostra l'uso che degli emblemi si può fare per l'ornamento di arredi, vesti, pareti, ecc. Giovò alla diffusione dei geroglifici anche l'attività di fra Urbano Valeriano Bolzanio (circa 1443-1524) che ebbe contatti con F. Colonna, Giovanni de' Medici (poi Leone X), ecc.; suo nipote Piero Valeriano pubblicò nel 1556 (Basilea) un grosso trattato sui Hieroglyphica sive de sacris Ægyptiorum aliarumque gentium literis. In Valeriano i geroglifici si fondono col simbolismo dei lapidarî e dei bestiarî medievali, e del Physiologus, raccolta di simboli desunti dalla vita degli animali, pur esso di provenienza alessandrina. Tra i pittori che trassero motivi dai geroglifici furono il Pinturicchio (Stanze Borgia), Leonardo (varî schizzi), il Mantegna (Trionfi di Cesare), Giovanni Bellini (allegorie), il Dürer (Ehrenpforte dell'imperatore Massimiliano).
Oltre i geroglifici, contribuirono all'origine degli emblemi, per il motto, le imprese, e per i versi, gli epigrammi dell'Antologia Palatina. L'Alciato fu il primo a combinare i varî elementi nel suo volume che, uscito nel 1531 con rozze silografie, riapparve in più degna veste e aumentato di nuovi emblemi presso il Wechel (Parigi 1534), presso gli Aldi (Venezia 1546), e presso il Bonhomme (Lione 1548, 1549-1551). Fu ripubblicato spesso (più di 150 edizioni), tradotto in varie lingue, e commentato in prosa dal giurista di Digione Claude Mignault. (Minois; ediz. di Parigi 1571, di Anversa 1573 e anni segg.; la più voluminosa - 1000 pagine - è quella di Padova del 1621, con nuove note di L. Pignorio).
Il libro dell'Alciato ebbe vastissima eco. Tra i moltissimi emblematisti ricordiamo il bolognese Achille Bocchi (Symbolicarum Quaestionum, con incisioni del Bonasone, Bologna 1555, poi ritoccate da Agostino Carracci, 1574), e J. Camerarius, le cui Centuriae d'emblemi desunti dalla zoologia e dalla botanica (Norimberga 1590-1604) ebbero larghissima diffusione, In Germania gli emblemi vennero usati come ornamenti per i cosiddetti Stammbücher e gli Alba amicorum (v. albo).
Gli emblemi rispondevano a un duplice intento: il fine didattico, asgegnato dall'estetica del Rinascimento alla poesia in genere, ma negli emblemi ostensibilmente perseguito; e il desiderio di combinare varie arti in un'espressione complessa. Per il fine didattico gli emblemi continuavano correnti medievali: p. es. si trova una trattazione simbolica delle Metamorfosi nell'Ovide moralisé. Si ebbero emblemi desunti da apologhi, emblemi tolti da sentenze di Orazio (i famosi Q. Horatii Flacci Emblemata di O. Vaenius, Anversa 1607), emblemi politici (J. à Bruck, J. Reifenberg, M. Z. Boxhorn, J. Kreihing, D. Saavedra Faiardo, v. impresa), emblemi religiosi, come si vedrà tra poco, emblemi geografici (D. Meisner, Thesaurus philo-politicus, Francoforte 1624, accresciuto e ripubblicato col titolo di Sciagraphia curiosa, Norimberga 1642, con vedute di città). Un esempio estremo dell'intento sintetico è offerto dall'Atalanta fugiens di M. Maier (Oppenheim 1614), ove nozioni d'alchimia sono tradotte in emblemi, e i versi sono accompagnati da notazioni musicali.
In Olanda l'emblema divenne forma saliente della letteratura nazionale: scrissero per emblemi il Vondel, Roemer Visscher (Sinnepoppen, Amsterdam 1614), e specialmente il Cats, i cui volumi costituiscono ancora uno degli adornamenti della casa olandese (Silenus Alcibiadis, sive Proteus, Middelburgh 1618, Maechden-plicht, ivi 1618, Spiegel van den ouden ende nieuwen Tijd, L'Aia 1632). Il Cats s'ispirò specialmente ai proverbî e alla vita d'ogni giorno; D. Heinsius, il primo a dare un libro originale d'emblemi in olandese coi suoi emblemi d'amore (1ª ed. con lo pseudonimo di Theocritus a Ganda, s. a. - primi del Seicento) diede lorma grafica a molti concetti dei classici e dei petrarchisti, ed ebbe seguito (P. Corneliszoon Hooft, Emblemata amatoria, Amsterdam 1611; O. Vaenius, Amorum Emblemata, Anversa 1608, ecc.). I volumi di emblemi d'amore si solevano dare in dono dagl'innamorati alle loro belle; sul frontespizio si mettevano i nomi e gli stemmi degli amanti. Di soggetto erotico-satirico (anticlericale) sono gli emblemi incisi da P. Rollo (Euterpe soboles, vita corneliana, 1608, raccolti poi in Le Centre de l'Amour). Gli emblemi olandesi d'indole realistica si svolgono parallelamente alla pittura di genere e offrono interessanti documenti per la storia del costume; notevoli tra gli altri, per questo rispetto, gli Emblemata of Zinne-werck di J. de Brune, Amsterdam 1624.
Il testo degli emblemi è di solito redatto in latino, ma specialmente gli emblemi olandesi, e soprattutto gli amatorî, sono poliglotti. Una raccolta d'emblemi d'amore con testo russo fu preparata per Pietro il Grande, Amsterdam 1705. Si ebbero anche emblemi turchi in Peristromata turcica, sive Dissertatio emblematica, praesentem Europae statum inseniosis coloribus repraesentans, Parigi 1640.
Col diffondersi della letteratura emblematica si ampliò anche l'accezione del termine "emblema", spesso si chiamarono emblemi mere illustrazioni. Tali p. es. le illustrazioni di Pictura loquens di L. Smids (Amsterdam 1695), le immagini bibliche, quelle delle vite dei santi, e di certi libri d'edificazione devota, come il Pélerinage de Colombelle et de Volontairette... exprimé par de beaux emblèmes par B. à Bolswert, Anversa 1636 (l'edizione olandese è del 1627). In Inghilterra si diede il nome di "emblemi" anche alle caricature politiche. Degli emblemi, come di altre forme della cultura umanistica, si servirono i gesuiti per la diffusione di idee edificanti, specialmente nell'educazione dei fanciulli di famiglie nobili o reali, e per fare appello con la venustà delle vignette alle persone di scarsa cultura. Gli emblemi offrivano, inoltre, ottimi suggerimenti per gli addobbi di feste religiose e civili, che tanta parte formarono dell'attività della Compagnia, e sopperivano "concetti predicabili" (v. impresa). Il più popolare volume di emblemi gesuitici fu opera di un gesuita dei Paesi Bassi, Herman Hugo (nato a Bruxelles nel 1588): Pia desideria emblematis, elegiis et affectibus SS. Patrum illustrata, con illustrazioni del Bolswert (Anversa 1624), che ebbe numerosissime ristampe e fu spesso imitato (Amoris divini et humani effectus, Anversa 1626, Emblems di F. Quarles, Londra 1635, ecc.). L'idea di volgere a significato religioso gli emblemi d'amore era stata dapprima messa in opera dal Vaenius in Amoris divini emblemata, Anversa 1615, fatti a richiesta dell'infanta Isabella. Tra gli emblemi gesuitici se ne trovano di assai leggiadri, come Partheneia sacra del gesuita H. Hawans (in inglese, Rouen 1632), e di assai curiosi e barocchi: così gli emblemi sul cuore di Gesù, tutti in forma di cuore, disegnati da A. Wierix (Cor Iesu amanti sacrum), Ova Paschalia di G. Stengel (Ingolstadt 1672), tutti in forma d'uovo, ecc. Nei libri d'emblemi dei gesuiti, come in genere in tutti gli emblemi del Seicento, il commento in prosa diventa di più in più voluminoso, farcito di citazioni, vera e propria predica. Valgano ad esempio i libri di J. David (Veridicus Christianus, Anversa 1601, ecc.), di A. Sucquet (Via vitae aeternae, Anversa 1620), di A. Poirters, ecc.
Nel Seicento, e specialmente nel Settecento, la letteratura emblematica andò peggiorando di qualità, specie nelle figure; l'ultimo artista di merito a produrre abbondante messe di emblemi fu l'acquafortista olandese J. Luyken. Anche il pubblico a cui gli emblemi si rivolgevano divenne di meno in meno scelto. Invece fu posta maggior cura nell'illustrazione di volumi di allegorie vere e proprie, le cosiddette iconologie, la cui serie fu iniziata dal perugino Cesare Ripa (Iconologia, Roma 1593 e 1603, moltissime edizioni fino a quella monumentale di Perugia in voll. 5, 1764-67); notevole è pure l'Iconologie di J. . Boudard, Parma 1759; il capolavoro del genere è l'Iconologie del Gravelot e del Cochin, che raccoglie ín quattro volumi le incisioni che erano venute apparendo nell'Almanach iconologique dal 1765 al 1781. L'iconologia rappresenta per l'epoca dell'illuminismo in filosofia e del classicismo in letteratura quel che l'emblematica era stata per l'epoca del gesuitismo e del barocco. Condannata e canzonata, tra gli altri, dal Winckelmann (Versuch einer Allegorie, Dresda 1766), la voga degli emblemi è scomparsa nell'Ottocento, salvo rare eccezioni, quasi esclusivamente inglesi (p. es. A. Gatty) con scopo educativo. Ma i libri d'emblemi si ricercarono dai raccoglitori, soprattutto gli emblemi del Cinquecento, per la bellezza delle incisioni dovute sovente a insigni artisti (Crispijn van de Passe, B. Salomon, De Bry, A. Wierix, E. Sadeler, Callot, il quale ultimo incise gli emblemi di Lux Claustri, Parigi 1646), e gli emblemi olandesi del Seicento per l'interesse dei costumi.
L'emblematica ha echi nella letteratura vera e propria specialmente nell'età aurea dell'emblema, il Cinquecento; sebbene piuttosto che di emblemi si tratti il più sovente d'imprese (v.). Del resto, la tendenza emblematica è già forte nel Petrarca, la cui canzone Standomi un giorno contiene per ogni stanza un'allegoria che non ha bisogno che d'una figura per diventare un emblema. Il termine "emblema" nell'accezione di "simbolo" in genere ricorre sovente presso i romantici (p. es. lo Chateaubriand), ed è passato nell'uso corrente.
Bibl.: Un'ottima trattazione storica sull'origine degli emblemi è quella di L. Volkmann, Bilderschriften der Renaissance, Lipsia 1923. Per la storia dell'emblema in Olanda vedi A. G. C. de Vries, De Nederlandsche Emblemata, Amsterdam 1899, con bibliografia degli emblemi olandesi fino alla fine del Seicento. Per gli emblemi d'amore v. H. Thomas, The Emblemata amatoria of Ph. Ayres, in The Library, gennaio 1910. Un'idea dell'estensione della letteratura emblematica può aversi dal volume di H. Green, Shakespeare and the Emblem Writers, Londra 1870, volume per altro fantastico nel suo assunto principale. Il Green ha anche pubblicato in facsimile le edizioni principali dell'Alciato, presso la Holbein Society di Manchester (A. Alciati Emblematum Fontes Quatuor, 1870, e A. Alciati Emblematum Flumen Abundans, 1871), e gli emblemi dei Whitney (1866, con abbondanti notizie sui primi emblematisti). Delle edizioni dell'Alciato si hanno due bibliografie, una dello stesso Green (A. Alciati and his Book of Emblems, Londra 1872), l'altra del Duplessis, Les Emblèmes d'Alciat, Parigi 1884. L'Hécatomgraphie del Corrozet è stata ripubblicata, con note, da Ch. Oulmont, Parigi 1905; gli Emblemata nobilitatis e gli Emblemata saecularia del De Bry, in facsimile a cura di F. Warnecke, con notizie sugli Stammbücher e sugli Alba Amicorum, Berlino e Parigi 1894 e 1895.
Il Green aveva raccolto indicazioni di circa 3000 volumi di emblemi apparsi dal principio del Cinquecento in poi, comprese le varie edizioni di una stessa opera. Molti di quei volumi si possono trovar ricordati, oltre che nelle opere citate in questa bibliografia, e nella Bibliographie méthodique et raisonnée des Beaux-Arts di E. Vinet, Parigi 1874, nei cataloghi di biblioteche e di vendite. Specialmente: il Catalogo ragionato di libri d'arte del conte Cicognara, Pisa 1821, l'Essay towards a Collection of Books relating to Proverbs, Emblems, etc., being a catalogue of those at Keir (biblioteca Stirling-Maxwell), Londra 1860; il catalogo della libreria di S. A. Thompson Yates (Ex Bibliotheca S. A. Thompson Yates, Liverpool 1896, con fogli d'aggiunte per il 1897-98), collezione ora passata in proprietà di A. H. Bright (Malvern); il Catalogue of Books of Emblems in the Library of R. Hoe, New York 1908 (collezione venduta nel 1911-12, cfr. American Book-prices Current per gli anni 1911, 1912, 1913); i cataloghi di vendita della Pitt Library (1808), della White Knights Library (1819), della Bibliotheca Heberiana (1834-36), della Corser Library (1869, Second Portion), della Beckford Library (1882) ecc.; nonché i cataloghi ordinarî di librerie antiquarie, come L. S. Olschki, Choix de livres anciens, I, Firenze 1907, il catalogo (n. 409) di Books on Art and allied Subjects di Maggs Brothers, Londra 1921, ecc.