PUGLIESE, Emanuele
PUGLIESE, Emanuele. – Nacque a Vercelli l’11 aprile 1874, figlio di Eugenio e di Bonina Levi, da una tipica famiglia ebraica piemontese, devota ai Savoia dopo che Carlo Alberto emancipò la comunità ebraica del Regno di Sardegna nel 1848.
Fu ammesso nel 1891 ai corsi della Scuola militare di Modena, da dove uscì due anni dopo con la nomina a sottotenente di fanteria, per essere assegnato al 61° reggimento. Promosso tenente nel 1897, ottenne una medaglia di bronzo al valor militare per un atto di coraggio nell’attività di ordine pubblico. Nel 1901 fu ammesso al corso presso la Scuola di guerra, cui seguì il servizio temporaneo presso il comando del corpo di stato maggiore a Roma.
Trasferito in servizio di stato maggiore nel 1905, nella divisione militare territoriale di Torino, passò poi al 61° fanteria. Promosso nel 1908 al grado di capitano, venne assegnato al 66° reggimento per il periodo di comando di compagnia.
Nominato nel 1909 aiutante di campo del comandante della brigata di fanteria Roma, nel novembre del 1911 si imbarcò con la sua unità, destinato al Corpo di spedizione italiano in Libia. Dal marzo del 1912 prese parte alle operazioni per la conquista della colonia, ottenendo la croce di cavaliere dell’Ordine militare di Savoia, per il brillante comportamento nella battaglia delle Due Palme, dove rimase ferito.
La rivista Il Vessillo israelitico – a nome di tutti gli ebrei italiani – volle donargli una spada d’onore per i suoi trascorsi libici. Tale riconoscimento scatenò alcune polemiche nella comunità israelitica, dove emerse il timore che nella nazione italiana l’emancipazione presupponesse il ripudio dell’identità ebraica.
Pugliese fu impiegato nella conquista del Dodecaneso, prima di rimpatriare nel luglio del 1912. Ricevuta nel marzo del 1915 la qualifica di primo capitano, in settembre fu assegnato al 151° reggimento di milizia mobile, con il quale partì per il fronte quando l’Italia entrò in guerra. Il 23 ottobre dello stesso anno conseguì la promozione al grado di maggiore, divenendo comandante di battaglione. In quel contesto ebbe modo di conoscere il tenente Emilio Lussu che, una volta affermato politico, avrebbe, anni dopo, molto condizionato la vita di Pugliese.
Impiegato in operazioni sull’Altipiano di Asiago e ferito altre due volte nel luglio del 1916, Pugliese ottenne nel corso dello stesso mese una medaglia d’argento al valor militare e la proposta di avanzamento per merito di guerra. L’azione più significativa fu la presa della trincea delle Frasce. A seguito delle ferite riportate, trascorse alcuni mesi in vari ospedali, quando venne promosso tenente colonnello per merito di guerra. Dimesso, a novembre fu incaricato delle funzioni del grado superiore come comandante designato del 226° fanteria. Tale responsabilità, una volta dislocata l’unità al fronte, gli valse la promozione a colonnello nel febbraio del 1917 e la conferma come titolare di reggimento. In aprile passò a comandare il 38° fanteria, mentre a giugno assunse anche il comando del 37° fanteria, così da rivestire il ruolo di vertice dell’intera brigata Ravenna, mobilitata sulla Bainsizza. Ferito nuovamente in giugno, ottenne la promozione a maggior generale il 31 agosto.
Nell’autunno successivo si distinse con la Ravenna nelle operazioni per il ripiegamento sul Piave, così che a novembre venne promosso a un nuovo incarico superiore: il comando della 15ª divisione di fanteria. A dicembre ricoprì la stessa funzione con la 59ª divisione di fanteria, mettendosi in luce nei combattimenti sul Grappa. Nel luglio del 1918 divenne comandante della 51ª divisione, incarico che gli valse il titolo di ufficiale dell’Ordine militare di Savoia e due croci al merito.
Conclusa la guerra, fu nominato comandante superiore degli Istituti di correzione a Firenze. Rimase in tale incarico fino all’inizio del 1920, quando fu mobilitato e inviato in Albania alla testa della 36ª divisione di fanteria. Giunse a Valona il 9 febbraio, dove ottenne la nomina a commendatore dell’Ordine militare di Savoia. Rientrato in Italia, in settembre venne designato comandante della 16ª divisione militare territoriale della capitale.
In questo incarico fu tra i protagonisti della temporanea ostruzione della marcia su Roma (28 ottobre 1922), episodio che lo contraddistinse per un energico piglio legalitario e di fedeltà alle istituzioni. Aveva studiato un piano di difesa della città su scala nazionale (27 settembre 1922), che fu sottovalutato e messo in pratica solo in parte (il ministro della Guerra era Marcello Soleri), garantendo comunque l’obbedienza dei propri uomini alle istituzioni. In questo contesto Pugliese attuò lo stato d’assedio, quando venne proclamato dal presidente del Consiglio Luigi Facta (chiudendo la casa del fascio di via Avignonesi e bloccando il treno che portava a Roma alcune migliaia di fascisti per la marcia), e fece invece entrare i fascisti, quando il provvedimento di stato d’assedio fu annullato dal re.
Una volta salito al potere il fascismo, alcune indiscrezioni giornalistiche vollero lo stesso Pugliese animatore di una celebrazione collettiva in favore di Benito Mussolini, anche se di fatto ciò non avvenne.
Nel frattempo, nel gennaio del 1923 fu promosso generale di divisione; un anno dopo divenne comandante della 12ª divisione militare territoriale di Trieste. Nel giugno del 1929 venne collocato a disposizione e nominato membro della Commissione permanente per l’esame delle proposte di ricompensa al valor militare. Nel gennaio del 1931 fu nominato giudice presso il tribunale militare della Sardegna e alla fine dell’anno fu nominato comandante militare della regione. In quei mesi si dedicò alla stesura della Monografia geografico-militare della Sardegna, che gli valse un encomio solenne.
Promosso generale di corpo d’armata a titolo onorifico nell’autunno del 1934, nel luglio del 1935 divenne comandante della difesa territoriale di Verona. In tale incarico ottenne un secondo encomio solenne, prima di passare nel 1937, su sua richiesta, a disposizione del ministero della Guerra. Nel 1938 passò in ausiliaria per limiti d’età, mentre a seguito dell’applicazione della legislazione antiebraica fascista, emanata nel 1938-39, venne collocato in congedo assoluto per motivi razziali.
Il periodo successivo fu traumatico per Pugliese: oltre che dall’esercito venne radiato dai vari enti combattentistici di cui era membro. Per evitare l’espulsione cercò invano di far valere le sue benemerenze verso la patria. Durante la seconda guerra mondiale tentò di arruolarsi sia nelle file dello schieramento dell’Asse sia, dopo la liberazione di Roma (giugno 1944), nelle formazioni ausiliarie agli Alleati, tra cui la brigata ebraica. Se ragioni razziali tra il 1939 e il 1943 gli avevano impedito di essere accettato, il successivo clima non del tutto normalizzato sul piano normativo portò la richiesta di Pugliese a essere rifiutata. Durante l’occupazione tedesca di Roma si era rifugiato con la moglie presso un convento di suore.
Dopo la Liberazione, assunse nuovamente il suo ruolo ausiliario dell’esercito, prima di essere posto di nuovo in congedo nel 1946, questa volta per limiti d’età. A quel punto richiese di poter godere della pensione d’invalidità, che aveva rifiutato in passato, pur di poter ambire a nuovi comandi: non si rassegnò all’inattività.
Nel giugno del 1945 fu pubblicato a Roma il volume Marcia su Roma e dintorni di Lussu, il quale lo aveva scritto nel 1931 quando era esule antifascista a Parigi. Il testo aveva avuto una certa eco, tanto che dopo la caduta del fascismo venne edito anche in Italia.
Era un’opera polemica e a tratti pungente, visto il clima politico in cui era stata scritta. Un breve passo non piacque per nulla a Pugliese: descrivendo le ore successive all’incarico governativo affidato a Mussolini, Lussu non solo confermò la notizia che Pugliese si era prostrato al ‘nuovo padrone’, ma affermò che durante la guerra il generale non era stato un eroe come si credeva. Pugliese fece l’unica cosa che gli sembrò degna del suo onore di soldato: inviò a Lussu, allora ministro dell’Assistenza postbellica nel governo Parri, due padrini per tentare con il duello una soluzione tra gentiluomini. L’onorevole rifiutò il confronto, minacciò di far arrestare i due latori e il 6 luglio pubblicò sul quotidiano Il Momento un articolo dal titolo Il Generale Pugliese dovrebbe essere fucilato, nel quale sentenziò: «Se il Generale Pugliese ha qualche cosa di utile da raccontare, scriva un libro». L’interessato non si fece attendere, e meno di un anno dopo diede alle stampe Io difendo l’Esercito (Roma 1946).
Nel frattempo, dal luglio del 1945 al settembre del 1946, Pugliese chiese un’inchiesta disciplinare al ministero della Guerra. L’obiettivo era dichiarare chi tra i due, entrambi ufficiali in congedo, dovesse essere colpito, e perciò rimosso dal grado. Dopo tanta insistenza l’inchiesta ebbe seguito solo nel settembre del 1946. Il ritardo venne inteso da Pugliese come effetto del timore verso Lussu da parte del governo e della stampa. Non avrebbe mancato di paragonare la sua condizione a quella del capitano ebreo Dreyfus, nella quale il ruolo di Émile Zola era impersonato dai suoi possibili difensori viventi o che avessero almeno lasciato tracce scritte in suo favore.
Unitamente al volume del 1945, Pugliese presentò all’inquirente dello stato maggiore dell’esercito, il generale d’armata Luigi Amantea, un’autobiografia militare. Le conclusioni dell’inchiesta vennero pubblicate dal ministero il 6 agosto 1947 in forma solenne, ma poco dettagliata, secondo Pugliese. L’inchiesta riscattò l’interessato e dichiarò mendaci le affermazioni di Lussu a suo carico, e a quel punto Lussu venne attaccato pubblicamente anche da L’uomo qualunque.
La dichiarazione ministeriale in sostanza dava ragione a Pugliese, rinnovando le lodi alla sua ampia e documentata carriera militare, costellata solo da promozioni, decorazioni e ferite di guerra. Tale presa d’atto tuttavia non rasserenò il clima. Il 15 gennaio 1948 L’Avanti pubblicò una lettera aperta di Lussu dal titolo Soltanto i vivi possono far carriera. Perciò nessuno rimprovera al predetto generale di non essere morto.
L’articolo ribadiva l’idea di fondo: Pugliese era un carrierista e non aveva mai compiuto gesta disinteressate, ma sempre condizionate dalla propria ambizione. Con questi presupposti nella seconda edizione italiana (1957) di Marcia su Roma e dintorni venivano ripresentate invariate le ben note accuse. La mancata rettifica editoriale suscitò in Pugliese ancora più rivalsa personale, tanto da proseguire sia attraverso un nuovo appello al ministero della Difesa, sia attraverso un secondo libro, uscito a Roma nel dicembre del 1958, L’esercito e la cosiddetta marcia su Roma.
Lo scritto confermava tratti tipici dell’uomo e non solo il suo piglio combattivo. Egli era in sostanza rimasto un piemontese dell’Ottocento, quasi impermeabile all’epoca fascista, ma soprattutto quasi per nulla condizionato dalle leggi razziali. Nonostante avesse subito – come tutti gli altri ebrei (militari e non) – gli effetti delle limitazioni antisemite emanate dallo Stato, Pugliese non era mai sembrato consapevole del mutato clima politico interno alla comunità.
La polemica si chiuse infine ‘in chiaroscuro’ solo il 20 gennaio 1961, quando Lussu dichiarò: «Lealmente devo dire oggi, dopo approfondite indagini, che il generale non ha fatto che obbedire disciplinatamente ad ordini ricevuti e non era affatto in combutta col fascismo» (Michaelis, 1962, p. 283). La dichiarazione probabilmente rasserenò il vecchio generale, che nel dicembre del 1962 fu insignito del cavalierato di Gran croce dell’Ordine della Repubblica italiana.
Morì a Roma il 26 settembre 1967.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio dell’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’Esercito, Biografie, b. 93; Archivio dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, Unione delle comunità israelitiche italiane, bb. 83B, 85B.
M. Michaelis, Il Generale P. e la difesa di Roma, in La Rassegna mensile di Israel, s. 3, 1962, vol. 28, 6-7, pp. 262-283; Id., Gli ufficiali superiori ebrei nell’esercito italiano dal Risorgimento alla marcia su Roma, ibid., 1964, vol. 30, 4, pp. 155-171; A. Rovighi, I militari di origine ebraica nel primo secolo di vita dello Stato italiano, Roma 1999; G. Santomassimo, La marcia su Roma, Firenze 2000, pp. 76 s.; M. Mondini, L’identità negata. Materiali di lavoro su ebrei ed esercito, in Gli ebrei in Italia tra persecuzione fascista e reintegrazione postbellica, a cura di I. Pavan - G. Schwarz, Firenze 2001, pp. 167 s.; P. Briganti, Il contributo militare degli ebrei italiani alla Grande Guerra, conferenza del 9 dicembre 2010 presso il Centro di studi militari di Bologna, p. 13, http://www.centrostudimilitari.it/Conferenze%20testi/2010-12-06.pdf (16 gennaio 2016).