PATERNO, Emanuele
PATERNÒ, Emanuele. – Nacque a Palermo il 12 dicembre 1847, da Giuseppe e Caterina Kirchner.
La famiglia Paternò era di nobili e antichissime origini, risalenti all’infante don Pedro de Aragon, vissuto in Spagna nel XIII secolo e figlio di Giacomo I il Conquistatore. Vi è da dire peraltro che nei secoli e con l’abolizione, all’inizio del XIX secolo, dei privilegi feudali le condizioni economiche della famiglia avevano cessato di essere particolarmente floride. Ulteriori difficoltà derivarono dall’impegno che il padre di Emanuele, Giuseppe, prese nella rivoluzione antiborbonica del 1848. Quando i Borboni tornarono al potere, egli fu condannato all’esilio e gran parte dei suoi beni residui vennero confiscati.
La moglie e i figli seguirono Giuseppe in un peregrinare che li portò infine ad Alessandria, in Egitto. Lì, nel 1858 Giuseppe Paternò morì e la madre di Emanuele venne accolta a Genova dal proprio fratello, anche lui dedito alla causa dell’indipendenza italiana. L’influenza di queste figure familiari accompagnò Paternò per tutta la vita. Anche lo zio successivamente morì, ma finalmente pochi mesi dopo, a seguito dell’impresa dei Mille, la famiglia Paternò riuscì a tornare a Palermo.
Il giovane Emanuele all’epoca aveva tredici anni e, a causa delle vicissitudini passate, non aveva compiuto fino allora studi regolari. Recuperato tuttavia rapidamente il tempo perduto, si iscrisse all’istituto tecnico di Palermo, dove suo fratello Franco, per raccomandazione di Stanislao Cannizzaro, aveva ottenuto il posto di assistente del professore di fisica e chimica, il francese Alfredo Naquet. Cannizzaro era stato amico di Giuseppe Paternò e suo compagno nell’impegno civile. Tra l’altro, durante gli anni dell’esilio era stato proprio lui a tenere a battesimo Franco e fu in quella occasione che Emanuele Paternò incontrò per la prima volta quello che sarebbe stato il suo maestro e la sua guida non solo scientifica. Analoga sollecitudine per il figlio dell’antico amico e compagno di imprese mostrò Giuseppe Garibaldi, che, con decreto del 21 ottobre 1860, nominò il giovane Emanuele guardiamarina di 2a classe.
Naquet fu, sia pur per breve tempo, uno dei maestri del giovane Paternò. Altri due chimici stranieri ebbero in quegli anni lo stesso ruolo, Adolf Lieben e Wilhelm Körner. Tutti costoro erano giunti a Palermo grazie all’opera di Cannizzaro il quale, fin dal momento della sua chiamata all’università del capoluogo siciliano, aveva voluto difendere il carattere policentrico della scienza italiana e aveva operato in particolare perché Palermo si dotasse di strutture, soprattutto in campo chimico, che fossero competitive a livello italiano ed europeo.
Nel 1871, Paternò si laureò in fisica e chimica. Ancor prima di laurearsi, egli aveva pubblicato 15 articoli sul Giornale di scienze naturali ed economiche di Palermo.
Tra questi articoli, particolarmente noto è quello – Intorno all’azione del percloruro di fosforo sul clorale, V (1869) pp. 117-122) – in cui presentò suoi esperimenti che escludevano l’esistenza di isomeri del composto di formula C2HCl5, in contrasto con precedenti affermazioni di altri chimici stranieri. Se fossero esistiti, questi isomeri avrebbero messo in discussione uno dei principi fondamentali della teoria della costituzione dei corpi organici, basata sulla nozione della tetratomicità del carbonio, vale a dire l’identità delle quattro valenze dei suoi atomi. C’era in realtà all’epoca un’altra apparente minaccia alla teoria, l’esistenza di isomeri del dibromoetano. In questo secondo caso, per Paternò, l’esistenza di due o anche tre di questi isomeri non avrebbe costituito una violazione del principio generalmente accettato: essi si potevano spiegare facilmente, senza bisogno di ammettere una differenza tra le quattro affinità dell’atomo di carbonio, quando si supponevano le quattro valenze di questo nel senso dei quattro angoli di un tetraedro regolare. L’articolo, che in qualche misura anticipava le concezioni stereochimiche, restò sconosciuto per lungo tempo. Solo nel 1889, ben dopo che la pubblicazione della teoria di Jacobus Henricus van’t Hoff aveva aperto la strada alla concezione delle molecole come oggetti con struttura e forma tridimensionale, lo scienziato olandese venne a conoscenza, grazie alla segnalazione dello stesso Paternò, dell’articolo di questi pubblicato venti anni prima. A questo punto van’t Hoff lo fece inserire in una pubblicazione commemorativa, nel capitolo che citava tutti i precursori della stereochimica. Occorre peraltro riconoscere che questa anticipazione di Paternò era rimasta nelle sue ricerche fine a sé stessa, non sviluppata e non esente da nebulosità. Essa merita di essere ricordata più che altro come testimonianza dell’indubbia creatività mostrata dal chimico siciliano.
Nel 1872, pochi mesi dopo essersi laureato, gli articoli pubblicati furono comunque sufficienti per far vincere a Paternò il concorso per la cattedra di chimica generale all’Università di Torino. Poiché, però, proprio in quel periodo Cannizzaro si stava trasferendo a Roma, la facoltà di scienze fisiche, matematiche e naturali dell’Università di Palermo chiese al ministero di poter nominare Paternò professore ordinario per la stessa materia nell’Università del capoluogo siciliano. Egli, grazie all’assenso del ministro, divenne quindi nell’ottobre del 1872 professore di chimica generale a Palermo, cattedra che mantenne per circa venti anni.
Nel periodo in cui fu professore a Palermo, Paternò tenne, dal 1885 al 1890, anche la carica di rettore dell’Università. In quegli anni, inoltre, partecipò attivamente alla vita politica municipale, ricoprendo dal 1890 al 1892 la carica di sindaco della città. Più tardi, egli fu anche presidente della provincia palermitana. Dal punto di vista personale un evento importante di questo periodo fu il suo matrimonio nel 1878 con Giuseppina Paleologo Vassallo, dalla quale ebbe tre figli, Giuseppe, Caterina ed Eleonora Michela.
La ricerca scientifica di Paternò a Palermo si collocò inizialmente nel campo della sintesi e caratterizzazione di molti composti organici. Una svolta si ebbe nel 1886, quando egli entrò nel campo di ricerche aperto dal francese François-Marie Raoult.
Questi, che dal 1880 aveva iniziato a occuparsi dell’abbassamento del punto di congelamento delle soluzioni in funzione della concentrazione di soluto disciolto in esse, aveva trovato tramite i suoi esperimenti una relazione empirica che correlava tale abbassamento alla massa molecolare dei soluti, consentendone così la determinazione.
Paternò fu tra i primi a utilizzare il metodo di Raoult, prima ancora che i lavori di van’t Hoff del 1887 ne chiarissero le motivazioni teoriche. Usando altri solventi organici rispetto ai pochi proposti da Raoult, Paternò, insieme a Raffaello Nasini, in un articolo del 1886 (Sulla determinazione del peso molecolare delle sostanze organiche per mezzo del punto di congelamento delle loro soluzioni, in Gazzetta chimica italiana, XVI (1886) pp. 262-275) pubblicò il peso molecolare di alcuni composti, quali gli acidi maleico e fumarico, l’acetaldeide e la paraldeide, indicando quando sostanze dalla stessa composizione elementare erano degli isomeri o invece erano una un polimero dell’altra.
A partire da queste ricerche, Paternò giunse poi a occuparsi di un altro tema, quello dei colloidi. Pubblicò nel 1889 un primo articolo (Comportamento delle sostanze colloidi rispetto alla legge di Raoult, in Gazzetta chimica italiana, XIX (1889) pp. 684-688) in cui notava come alcuni composti di natura colloidale quali il tannino, l’albumina ecc., in acqua non abbassavano significativamente il punto di congelamento. Un’altra notevole osservazione sperimentale fu che il tannino in soluzione acquosa generava un colloide, mentre in acido acetico si comportava come una sostanza dal peso molecolare determinato. Da questo e da altri esperimenti, egli concludeva che la proprietà colloide di una sostanza non era una qualità intrinseca, ma una proprietà relativa che può manifestarsi o meno a seconda del solvente utilizzato. Con queste ricerche dava quindi un notevole contributo allo studio della chimica colloidale, puntualizzando come i colloidi non fossero vere soluzioni, ma sospensioni meccaniche, diverse da quelle studiate fino a quel momento solo per l’estrema piccolezza delle particelle disperse. Anche in questo caso Paternò fu tra i pionieri in un campo di ricerca che muoveva all’epoca i suoi primi passi.
Nel frattempo, anche il suo prestigio scientifico aumentava e fu chiamato a far parte di importanti società scientifiche. Tra quelle italiane citiamo l’Accademia dei Lincei, di cui fu socio corrispondente dal 1879 e socio ordinario dal 1883. Fu proprio l’appartenenza a tale Accademia a consentire a Paternò, il 4 dicembre 1890, la nomina a senatore per titoli, in base a quanto stabilito dall’art. 33 dello Statuto albertino.
Questa nomina spinse Paternò ad accettare le pressioni di Cannizzaro affinché si trasferisse all’Università di Roma e fu così che, nel 1892, egli divenne ordinario di applicazioni della chimica alla Sapienza. Da allora fino al 1910, furono contemporaneamente presenti nell’Istituto di via Panisperna sia Cannizzaro, che restava il professore ordinario di chimica generale nonché direttore dell’Istituto, sia Paternò. Forse la convivenza tra due personalità così forti non risultò sempre facile, tuttavia la grande stima reciproca tra i due non venne mai meno.
Al periodo romano risale un altro grande tema di ricerca, la sintesi organica per mezzo della luce, a cui Paternò si dedicò insieme ai suoi collaboratori, realizzando molte pubblicazioni negli anni tra il 1909 e il 1914.
A questo tema egli accennò a partire dal 1909 nella conferenza plenaria tenuta al Congresso internazionale di chimica applicata (I nuovi orizzonti della sintesi in chimica organica - Conferenza fatta il 29 maggio 1909 al VII Congresso di chimica applicata riunitosi a Londra, in Gazzetta chimica italiana, XXXIX (1909), 2, pp. 213-219). In tale conferenza Paternò passava in rassegna tutte quelle metodologie che avevano il fine di rendere più diretta, più vicina alle condizioni in cui avviene in natura, la sintesi delle sostanze organiche. Tra esse, oltre alle trasformazioni operate dalla luce, si faceva riferimento a quelle a opera di microrganismi, enzimi e catalizzatori.
Merita inoltre di essere ricordata l’opera che Paternò prestò per la costituzione di un’associazione chimica nazionale. L’idea che i chimici italiani si riunissero in una società, come stava avvenendo in Germania e negli altri Paesi europei, aveva portato, già nel 1870, a una prima riunione tenutasi a Firenze. A essa avevano partecipato, però, solo sette chimici, i quali convennero che la situazione non florida della chimica italiana rendeva impensabile la costituzione di una società. Fu proprio Paternò a proporre la pubblicazione di un giornale, che avrebbe aiutato e catalizzato la pubblicazione da parte dei chimici italiani delle loro ricerche. Così nacque la Gazzetta chimica, che ebbe la sua prima redazione a Palermo e di cui Paternò fu direttore, da allora e per ben cinquanta anni. Nel 1919 cedette la rivista all’Associazione italiana di chimica pura ed applicata, non prima di avervi fatto ristampare i suoi articoli giovanili, allo scopo di riunire così in questo unico periodico tutta la sua produzione chimica.
Nel corso della sua vita Paternò fu membro o presidente di molte importanti istituzioni, quali il Consiglio superiore dell’istruzione pubblica, il Laboratorio chimico degli esplosivi, il Laboratorio chimico della sanità pubblica (germe del futuro Istituto superiore di sanità), la Stazione chimico-agraria.
Onorò anche il proprio seggio nel Senato del Regno, partecipando in maniera attiva alle sue attività ininterrottamente dal 1892 al 1930. Ne fu anche vicepresidente, nel periodo dal 1904 al 1919. I suoi numerosi interventi in questi quarant’anni furono in parte, come naturale, connessi con le sue competenze di chimico e docente universitario. Molti altri però documentano la sua piena partecipazione alla vita politica.
La posizione politica di Paternò fu inizialmente influenzata dai sentimenti di ammirazione da lui provati per Francesco Crispi, motivati anche dal ricordo della spedizione dei Mille, e dalla comune origine siciliana. Morto Crispi, aderì politicamente al nuovo corso intrapreso da Giovanni Giolitti. Il sodalizio tra Giolitti e Paternò si mantenne saldo fino al conflitto mondiale e oltre. È a Giolitti che il 3 maggio 1915, nell’imminenza dell’intervento dell’Italia in guerra, Paternò scrisse una lettera (Roma, Accademia delle scienze detta dei XL, Archivio storico, Fondo Paternò, fasc. 66) in cui deplorava il comportamento tenuto con chi per oltre venti anni era stato nostro alleato e paventava le conseguenze negative del nostro coinvolgimento nel conflitto. Tale posizione favorevole alla pace e alla neutralità del nostro Paese non gli impedì, una volta scoppiata la guerra, di offrire, insieme a molti altri scienziati italiani, il proprio contributo di chimico, occupandosi, con un ruolo di primaria responsabilità, delle ricerche sugli esplosivi, sui gas da utilizzare a fini di offesa e sulle relative maschere di difesa dagli aggressivi chimici.
Finita la guerra, Paternò continuò per diversi anni a prestare la sua opera in Senato e fu da lì che assistette all’avanzata e all’affermazione del fascismo. Nei confronti di Mussolini e del suo movimento egli fu diffidente sin dall’inizio, probabilmente per la sua formazione culturale e sociale. Con il tempo tale diffidenza si tramutò sempre più manifestamente in estraneità. Ebbe occasione di rendere pubblica la sua posizione quanto meno in due occasioni: nel 1928, quando espresse parere contrario nelle votazioni per appello nominale sul disegno di legge relativo alla riforma della rappresentanza politica, che sostituiva con una sola lista le molte liste in passato presentate dai vari partiti; e ancora nel 1929, quando si trattò di rendere esecutivo il concordato precedentemente sottoscritto fra Stato e Chiesa.
Nel frattempo, nel 1923, al raggiungimento del settantacinquesimo anno di età, era stato collocato in pensione dall’insegnamento e dalla carica di direttore dell’Istituto chimico. Tuttavia, negli anni immediatamente successivi, Paternò continuò a operare attivamente come senatore e, dal punto di vista scientifico, come presidente della Società dei XL nel periodo 1921-32.
Gravi problemi di vista lo afflissero negli ultimi anni di vita, in cui preferì tornare a Palermo, la sua città natale. Poco prima di morire, l’ostilità più volte mostrata nei confronti del fascismo lo spinse a rifiutare come linceo di sottoporsi a un giuramento di fedeltà, imposto ai membri da parte del Regio commissario Vittorio Rossi. Questo rifiuto costò al vecchio scienziato siciliano la decadenza dall’Accademia dei Lincei, di cui era stato membro per oltre cinquant’anni.
Poche settimane dopo, il 18 gennaio 1935, morì all’età di 87 anni.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero della Istruzione pubblica, Direzione generale dell’Istruzione superiore. Fascicoli del personale docente: E. P.; Archivio storico dell’Università, Personale docente: E. P.; Roma, Accademia delle scienze detta dei XL, Archivio storico, Fondo P.
Necrologi e biografie: W.J. Pope, E. P., in Journal of chemical Society, 1937, 1, pp. 181-183; G. Provenzal, E. P. (1847-1935) in Profili bio-bibliografici di chimici italiani, Roma 1938, pp. 233-246; D. Marotta, E. P., Scritti e ricordi editi ed inediti, in Rendiconti dell’Accademia Nazionale dei XL, Memorie di scienze fisiche e naturali, LXXXVII (1964), pp. 33-425; A. Di Meo, E. P. in Storia della chimica in Italia, Roma 1989, pp. 283-290; F. Calascibetta, E. P. (1847-1935), in M. D’Auria, Synthesis in oganic chemistry by means of light, Roma 2009, pp. 25-71.