MARONGIU (Marongio) NURRA, Emanuele
– Nacque a Bessude, piccolo paese presso Sassari, il 28 marzo 1794 da Diego Marongiu, giureconsulto discendente da una nobile famiglia di feudatari le cui origini risalgono al 1443, e da Nicoletta Nurra.
Ebbe per precettore il poeta gesuita F. Carboni che lo indirizzò allo studio delle lettere e delle arti. Dopo essersi laureato in teologia e poi in utroque iure all’Università di Sassari, nel 1817 fu iscritto nell’albo degli avvocati e ordinato sacerdote. Accolto da Vittorio Emanuele I alla Accademia di Superga a Torino, il M. ne divenne il bibliotecario su indicazione di P. Balbo e successiva determinazione di Carlo Felice. Furono anni di intenso studio e di fecondo lavoro durante i quali scrisse i commentari alle Selectae s. Gregorii papae I Epistulae de sacris Sardorum antiquitatibus historicis commentariis illustratae (Torino 1825). Frequentava intanto il convitto della Consolata e il suo cappellano G. Cafasso.
Al termine di questa esperienza torinese, il M. tornò a Sassari, ove l’11 dic. 1825 fu nominato canonico nella cattedrale e preside dell’annesso seminario; nel 1830 fu eletto vicario del capitolo vacante e quindi vicario generale, carica che ricoprì per 12 anni.
L’interesse per la cultura, la storia patria, le lettere e l’archeologia, già espresso nell’elogio funebre di Carlo Felice (1831), lo indusse a pubblicare le migliori opere latine del suo maestro Carboni (1834) e a illustrare con un commentario latino (1835) una preziosa epigrafe marmorea romana di cui fece dono al museo archeologico dell’Università. Sempre a Sassari fu promotore e presidente di una piccola accademia, nella quale lesse nel 1840 alcune sue Considerazioni filologiche intorno ai nuraghe (poi pubblicate a Roma nel 1861) in cui avanzò l’ipotesi – originale e innovativa, e oggi accettata dagli studiosi – che le costruzioni megalitiche fossero principalmente abitazioni.
La decisione di Carlo Alberto di proporlo a Gregorio XVI quale arcivescovo di Cagliari costrinse il M. a sospendere i suoi studi. Avvenuta la consacrazione il 28 ag. 1842, il 3 ottobre prese possesso della sede. Già nella prima lettera pastorale indirizzata ai fedeli il 28 ag. 1842 aveva espresso con chiarezza un punto di vista politico per il quale tra il Sacerdotium e l’Imperium, preposti dalla Divina Provvidenza a guidare l’umanità credente, il primo aveva la preminenza sul secondo. Rispetto a un eventuale processo di secolarizzazione del Regno sardo il M. metteva in guardia i fedeli contro le «imperfette cognizioni che l’orgoglio umano lumi del secolo appella» (lettera pastorale del 10 febbr. 1844), paventando il timore che ne scaturissero «sentimenti fomentati da una certa superbia nascosta di voler tutto misurare col proprio intelletto, tutto intendere per la sola ragione naturale». Denunziava così sia i pericoli insiti nella libertà intellettuale e in quella di coscienza, sia la diffusione degli scritti di protestanti e giansenisti, «perniciosissimi per il bene della società non meno che delle anime» (pastorale del 27 genn. 1845).
Malgrado che lo stesso sovrano non approvasse taluni suoi atteggiamenti, il M. aveva dalla sua il consenso popolare: e grazie a tale consenso fu nominato nel 1847 nella deputazione inviata a Torino per chiedere la piena fusione dell’isola con le province continentali. Il risultato positivo della missione segnò la fine del regime vicereale, ed equiparò la legislazione dell’isola a quella degli Stati di terraferma, ma costituì la premessa di quel malcontento politico e istituzionale che sfocerà nella esigenza di autonomia, peculiare nel pensiero e nell’azione dei politici sardi. Rapida, se pur breve evoluzione subivano le valutazioni politiche del M. in seguito alla diffusione dei moti costituzionali e alla concessione dello statuto albertino, da lui salutato con entusiasmo ma anche con qualche timore circa il possibile sconfinamento della libertà in «licenza, libertinaggio, arbitrio» (pastorale del 3 apr. 1848). Già nel giugno dello stesso anno tali timori erano diventati allarme «contro i fomentatori di disordini e sull’obbedienza alla autorità» (pastorale del 6 giugno 1848), provocando la reazione di parte della stampa sarda, assai critica verso la protezione da lui accordata ai padri gesuiti.
Il solco che divideva il M. dall’orientamento liberaleggiante del governo sardo si fece molto più profondo dopo che il primo ministro M. Taparelli d’Azeglio e il guardasigilli G. Siccardi ebbero promossa una legislazione intesa a ridurre i privilegi ecclesiastici nel Regno sardo. Già protagonista di alcune prese di posizione assai ostili verso il potere pubblico – per esempio, dopo la morte di Carlo Alberto, avvenuta il 28 luglio 1849, e l’espropriazione dei beni dei gesuiti, il 13 nov. 1849 aveva pubblicato un editto monitoriale con il quale dichiarava che sarebbe incorso nella scomunica maggiore chiunque usurpasse i beni ecclesiastici –, quando il governo affrontò il problema delle decime ecclesiastiche il M. si rifiutò di fornire qualunque informazione alla commissione governativa incaricata di raccogliere i dati necessari per lo studio del problema delle decime, precisando che, senza il beneplacito della S. Sede, mai avrebbe favorito l’inizio di una azione di spoglio; di conseguenza, messi i sigilli al tribunale della Contadoria, dichiarò violato il suo domicilio e violata da un delegato del governo l’immunità locale e reale; infine la mattina del 5 sett. 1850 affisse un monitorio con il quale dichiarava incorsi «nella scomunica maggiore ipso facto gli autori, cooperatori, consenzienti» e vietava «a tutti i confessori di assolverli, tranne l’articolo di morte». Rimessa la questione al ministero, Torino ingiunse al M. di ritrattare il monitorio entro 24 ore o di lasciare la diocesi per l’esilio.
Pochi giorni dopo il presule si imbarcò su un piroscafo diretto a Civitavecchia. Il provvedimento del governo destò enorme scalpore e il nome del M. fu accostato a quello dell’arcivescovo di Torino L. Fransoni. L’inflessibilità del M. meravigliò anche i suoi avversari, come Siotto Pintor che, vedendosi negare il sacramento penitenziale, gli scrisse una infuocata lettera aperta, ma tosto inviò al presule nel suo alloggio romano una lettera riservata in cui esprimeva il rammarico per il bando impostogli e il sincero desiderio che l’esilio finisse al più presto. I sentimenti di Siotto Pintor rispecchiavano fedelmente le convinzioni politiche e religiose della maggioranza della classe politica sarda, lacerata tra la passata adesione al giobertismo e la scelta della lealtà alle istituzioni liberali.
Anche il M. volle restare fedele al suo ministero. Trascorse quindi sedici anni a Roma, in un convento dell’Isola Tiberina, prima di tornare nella sua sede episcopale. In quel periodo Pio IX gli offrì il titolo di vicario generale della basilica Vaticana (1851), poi il patriarcato di Costantinopoli (1855), infine l’arcipretura della basilica Liberiana (1865): ma il M., continuando a considerarsi pastore della sua diocesi, rifiutò ogni altro incarico.
Ne approfittò per riprendere i suoi studi, traducendo, primo in Italia, la Regula pastoralis seu Cura pastoralis di Gregorio Magno e componendo poesie religiose in cui era la prova della sua serenità di spirito. Continuò a inviare lettere pastorali con le quali difendeva i diritti della Chiesa e ammoniva i suoi diocesani sui pericoli connessi ai problemi del potere temporale. Anche i suoi lavori letterari come Il libro dei salmi, solo parzialmente edito, furono il veicolo per denunciare pericolose teorie, mascherate sotto la veste della libertà. Nell’ultima pastorale del 3 maggio 1865 annunziò alla sua diocesi il giubileo concesso da Pio IX.
Finalmente, il gran numero di sedi vescovili vacanti, conseguenza del dissidio tra lo Stato italiano e la S. Sede, indusse nel 1865 Vittorio Emanuele II a cercare un accordo distensivo che prevedeva il rientro dei pastori allontanati dalle loro sedi.
Il 1° marzo 1866 il M. poté quindi tornare a Cagliari, dove morì il 12 settembre dello stesso anno.
Scritti: Elogio funebre di Carlo Felice I di Savoia, re di Sardegna, Torino 1831; Selectiora Francisci Carboni carmina nunc primum in unum collecta opus cum Latinis orationibus de Sardorum literatura, Karali 1834; Turritanum T. Flavii Iiustini marmor commentario illustratum, Saceri [post 1835]; Compendio della dottrina cristiana per l’uso dell’archidiocesi di Oristano (testo in lingua italiana e sarda), Cagliari 1847; Editto monitoriale (13 nov. 1849); Breve esposizione della mente del dott. Angelico all’Immacolata Concezione della B. Vergine Maria, Loreto 1851; Della cura pastorale… libro del sommo pontefice s. Gregorio Magno, Torino [1858]; Lettere pastorali (fuori dalla porta Flaminia), 15 ag. 1860; 8 dic. 1864; 3 maggio 1865; Lettere pastorali (1842-1865), Sassari-Cagliari 1865.
Restano manoscritti: Sacri ozi d’un esule (versi); Il libro dei salmi secondo la Volgata, I-II, Roma 1863, in folio (solo le prime 80 pp. furono stampate a Sassari nel 1877).
Fonti e Bibl.: G. Siotto Pintor, Storia letteraria di Sardegna, III, Cagliari 1844 (rist. anast., Bologna 1966), ad ind.; E. Cano, Elogio funebre di mons. E. M., Cagliari 1866; P. Serci, Elogio funebre di mons. _E. M., Cagliari 1866; Id., Storia civile dei popoli sardi dal 1798 al 1848, Torino 1877, p. 425; L. Biginelli, Mons. M. arcivescovo di Cagliari, in Ateneo religioso, I (1869), p. 9; P.P. Flores-Marongio, Memorie di mons. E. M., Sassari 1911; S. Deledda, Un vescovo sardo del Risorgimento ed una polemica in materia di stampa, in Mediterranea. Riv. mensile di cultura e di problemi isolani, II (1928), 7, pp. 17 ss.; D. Filia, La Sardegna cristiana, Sassari 1929, pp. 386-412; A. Saba, Storia della Chiesa, IV, Torino 1954, p. 286; R. Bonu, Scrittori, II, Sassari 1961, pp. 243-260; M. Corrias Corona, Stato e Chiesa nelle valutazioni dei politici sardi (1848-1853), Milano 1972, pp. 19, 30-43 (v. in Appendice, pp. 129-198: lettere del M. a Siotto Pintor e le risposte di questo); R. Turtas, Storia della Chiesa in Sardegna: dalle origini al Duemila, Roma 1999, pp. 559, 569-577; R. Ciasca, Bibliogr. sarda, III, pp. 71 s.; Enc. cattolica, VIII, p. 176.