FENZI, Emanuele
Nato a Firenze il 18 apr. 1784 nella nobile famiglia dello stimato magistrato e giurista lacopo Orazio e da Luisa Bardini, ricevette la prima educazione presso il collegio "S. Caterina" di Pisa, compiendo studi classici e filosofici. Terminati gli studi alt'età di quindici anni, entrò nella banca di uno zio paterno, dedicandosi con profitto al tirocinio. Morto in tragiche circostanze il padre e fallita la casa bancaria dello zio, il F. si trovò a soli diciannove anni ad essere capo della famiglia e a dover far fronte a tutte le necessità. Le sue doti morali e commerciali erano tuttavia già tanto mature da avere affidata nel 1805 la direzione della ditta Bosi Mazzarelli e C., che condusse dimostrando perizia e competenza: questo impegno rappresentò il primo passo della fortuna economica che il F. seppe accrescere di anno in anno con avveduti e sapienti investimenti.
Durante il blocco continentale che sanciva, nei primi anni dell'Ottocento, la chiusura del commercio in entrata e in uscita con l'Inghilterra, l'ingegnosità del F. si rivelò concretamente. Si era interessato ai metodi per l'estrazione dello zucchero da prodotti nazionali come le castagne o le barbabietole nel momento in cui quello di canna proveniente dalle colonie inglesi veniva a mancare. L'opera del F. si ricollega alla sperimentazione effettuata da G. Guerrazzi presso la fabbrica istituita a Firenze nel convento di S. Felicita, dove si estraeva lo zucchero dalle castagne. Ma la caduta del blocco, alla fine dell'avventura napoleonica, rappresentò un ulteriore elemento di crisi per la nascente industria saccarifera per la vivace concorrenza del reintrodotto zucchero di canna di provenienza coloniale.
Nel 1810 il F. acquistò un palazzo in Firenze, in corso dei Tintori, costituendo così il primo nucleo del suo patrimonio immobiliare, e sposò Ernesta Lamberti, figlia di un facoltoso commerciante di Codogno (Milano), dalla quale avrebbe avuto quattro figli: Eugenia, Orazio, Sebastiano e Carlo. Nello stesso anno fondò una nuova società, la Baldi, Orsi, Fenzi e C., alla quale nel 1814 venne appaltata, fino al 1820, la fabbricazione e la vendita del tabacco nel Granducato.
Di grande iniziativa imprenditoriale e di notevole capacità nella gestione degli affari, il 1ºgenn. 1821 fondò una propria banca, che da lui prese il nome e si affermò ben presto in Italia e in Europa. Il F. partecipò attivamente alla promozione degli scambi della Toscana con l'estero, suggerendo un ribasso dei dazi gravanti su determinate materie di corrente esportazione, soprattutto verso l'Inghilterra, come seta, lino, olio, e su manufatti particolari come i cappelli di paglia, la cui produzione in Toscana era elevatissima e la cui richiesta dai paesi esteri non era inferiore.
Nel 1835, con la soppressione dell'antica Magona - l'amministrazione statale delle miniere e fonderie del Granducato - il governo decise di concedere a livello a privati tutti gli edifici posseduti nei distretti di Pistoia e di Pietrasanta: il F. se li aggiudicò in gran parte. Si trattava per lo più di ferriere e "distendini" (impianti per la riduzione del ferro in barre piane o tonde). Era l'epoca della costruzione delle prime ferrovie, e ciò fu determinante nel risollevare l'interesse per l'industria siderurgica in Toscana. Fu proprio nel 1835 che venne sollevato con insistenza da alcuni giornali toscani il problema del collegamento ferroviario tra la capitale del Granducato e lo scalo marittimo di Livorno. Negli anni seguenti il governo granducale, convinto della fattibilità del progetto da alcuni studi - fra cui quello dell'ing. P. Dini Castelli e del conte L. Serristori -, promosse il progetto di una linea ferroviaria da Livorno a Firenze e, consapevole di non poter gravare lo Stato di un debito enorme, si rivolse all'iniziativa privata. Il F., che già aveva condotto con l'amministrazione granducale alcuni affari di ragguardevole entità, si accordò con la ditta P. Senn e C. di Livorno e costituì una società anonima per stipulare col governo il contratto (14 apr. 1838) di concessione della costruzione della strada ferrata, che avrebbe assunto il nome di Leopolda in onore del sovrano. Nell'affare, che fu condotto non senza difficoltà e contrasti, i concessionari costituirono un capitale iniziale di 30 milioni di lire del quale il F. ebbe la quota di maggioranza.
Lo stesso F., pubblicizzando i vantaggi dell'affare in modo da favorire un ampio concorso di azionisti in Italia e in Europa, fece si che, successivamente, i titoli della Leopolda rivelassero una notevole stabilità anche nei momenti di crisi del mercato mobiliare. La ferrovia andò sviluppandosi negli anni successivi dall'inaugurazione del primo tronco Livorno-Pisa nel marzo 1844 fino al giugno 1848, quando fu completato il collegamento con Firenze attraverso Pontedera ed Empoli. Per sottolineare il grande interesse che attribuiva a quest'affare, il F., che aveva acquistato nel 1838 dai Brunaccini il seicentesco palazzo di via S. Gallo, nell'occasione della ristrutturazione dell'edificio da parte dell'architetto G. Martelli fece apporre sulla facciata principale, oltre all'arma di famiglia raffigurante un braccio vestito che tiene un giglio sormontato da un capo d'Angiò, anche un singolare stemma raffigurante una locomotiva tra le sagome della cattedrale di Firenze e della torre del Marzocco di Livorno. Le sale del palazzo, rimaste proprietà della famiglia fino alla fine del secolo, furono teatro di ricevimenti che accoglievano, soprattutto nel periodo in cui Firenze fu capitale del Regno, il fior fiore dell'aristocrazia fiorentina, i nomi più altisonanti della politica dell'epoca, nonché i personaggi più in vista del governo. A questo edificio, i cui quartieri si estendevano fino a via Larga, si affiancarono, a costituire il solido patrimonio immobiliare del F., i possedimenti terrieri posti nelle vicinanze della città, nelle località di Sant'Andrea in Percussina e di Granatieri (Scandicci): si trattava di due fattorie composte di numerosi poderi e appezzamenti vari, con case coloniche per contadini e pigionali; erano di sua proprietà inoltre cinque casamenti a Firenze e uno stabile a Livorno, oltre ai già ricordati stabilimenti per la lavorazione del ferro nel Pistoiese. Possedeva un palco di secondo ordine al teatro della Pergola.
Nel 1844 il F. subentrò alla Società Larderelli, Franchetti, Mondolfi e Fermi nell'appalto del tabacco in Toscana, che avrebbe tenuto fino alla caduta del regime granducale. Da sempre sostenitore del libero mercato, il 29 apr. 1847, nel corso di un banchetto in onore del noto esponente della scuola di Manchester, R. Cobden, fondatore della Lega per l'abolizione delle leggi sul grano, pronunciò un memorabile discorso in favore del liberismo che a suo parere era ancora ben lungi dall'essere applicato in Toscana. Sulle questioni economiche e finanziarie il F. fu più volte apprezzato consulente del governo granducale, al quale indirizzò un gran numero di memorie e pareri tutti ampiamente circostanziati e di notevole spessore tecnico. Era inoltre convinto che il progresso dell'economia passasse attraverso il progresso del tenore di vita dei ceti popolari e delle masse rurali.
Fu infatti convinto assertore dell'istruzione popolare, non tanto per seguire la vaga filantropia di ispirazione evangelica.in voga a quel tempo fra i grandi proprietari terrieri toscani, quanto perché la riteneva efficace strumento di miglioramento sociale e quindi di prevenzione della rivoluzione e di quella instabilità sociale e politica che avvertiva come perniciosissima per il libero svolgimento delle attività commerciali e finanziarie degli imprenditori. Nel 1850, non senza contrasti con l'amministrazione granducale, fondò una scuola rurale a Sant'Andrea in Percussina per i figli dei suoi contadini e dei suoi pigionali e, negli anni che seguirono, patrocinò anche l'istituzione di asili infantili e la costruzione di abitazioni popolari come grande azionista della Società edificatrice fiorentina nata nel 1848.
La sua attività di banchiere, che svolgeva recandosi quotidianamente al suo banco in piazza del Granduca - poi piazza della Signoria - lo assorbiva al punto che provava un grande imbarazzo ogni qual volta gli offrivano una carica o un incarico politico perché il più delle volte era costretto per i suoi numerosi impegni a rinunciarvi. Tuttavia, quando in momenti cruciali per la vita del Granducato fu chiamato ad incarichi pubblici, non si tirò indietro. Nelle sessioni legislative del 1848 e 1849 partecipò alle sedute del Senato toscano dimostrando grande equilibrio, rispetto per le leggi e ripulsa severa nei confronti degli estremismi. Dopo gli eccessi delle "squadracce" livomesi fatte venire a Firenze dal Guerrazzi, fu tra i fautori del rientro in Toscana di Leopoldo II, che servì sempre con lealtà tanto da consigliargli, nel 1859, per salvare il Granducato, di allearsi con Vittorio Emanuele II nel dichiarare guerra all'Austria. Dopo la caduta del regime granducale il F. giurò fedeltà al nuovo governo ed entrò a far parte della Consulta. Nel marzo 1860 fu nominato senatore del Regno e nel periodo in cui Firenze fu capitale d'Italia fu assiduo alle sedute del Senato, e al tempo del governo Menabrea parlò in difesa della Regia Cointeressata dei tabacchi.
Nel 1872, a ottantotto anni, il F., che in quel periodo rivestiva anche la carica di consigliere comunale in Firenze, sedette nel Consiglio di amministrazione della Società per l'industria del ferro, di cui la sua società bancaria insieme con la Banca del popolo di Firenze e con la Banca generale di Roma fu la principale azionista e promotrice.
Morì a Firenze il 10 genn. 1875.
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