MUZIO, Emanuele Donnino
MUZIO (Mussio, Muzzio), Emanuele Donnino. – Nacque a Zibello, nel Parmense, il 24 agosto 1821, da Silvestro, calzolaio, e da Maria Stagnaro, da poco trasferitisi da Sestri Levante.
Nel 1826 la famiglia intera, che comprendeva anche i fratelli Giuseppe, Monica, Antonio, Giulio e Maddalena, si stabilì in via definitiva a Busseto, non lontano da quella di Giuseppe Verdi. Avviato al mestiere paterno, a Busseto il precoce Emanuele ebbe però l’occasione di studiare canto con Ferdinando Provesi, istruttore dei Filarmonici e direttore della cappella della collegiata, la cui morte nell’estate 1833 inaugurò un lungo periodo di trambusti nelle istituzioni musicali ecclesiastiche e civili della cittadina. Il posto vacante di docente di musica venne rilevato nell’aprile 1836 dal giovane Verdi, ma non vi sono prove che Muzio fosse tra i suoi allievi; pare invece che abbia preso lezioni dalla prima moglie di Verdi, Margherita Barezzi; di certo ebbe modo di frequentare la casa del padre di lei, Antonio, primo mecenate del genero Giuseppe.
Escluso dalla Ducale Scuola di musica di Parma (il futuro conservatorio), fu avviato dal padre agli studi classici e quindi ecclesiastici presso don Pietro Seletti e don Giovanni Avanzi. Compiuti i 16 anni, ottenne una piccola sovvenzione per studiare con don Andrea Pettorelli. Nell’autunno 1839 il posto di maestro di musica venne assegnato a Giovanni Ferrari: la riunificazione dell’incarico d’insegnamento e quello di organista e maestro di cappella della collegiata permise a Muzio, che viveva appunto sotto l’egida ecclesiastica, di continuare gli studi musicali col nuovo maestro. Dopo la prematura morte di questi nel 1841, rilevò pro tempore l’incarico di organista, a mezzo stipendio, mantenendolo per due anni. Fu un periodo caratterizzato da incertezze e indecisione circa il proprio futuro: la mancata concessione di un’ulteriore sovvenzione lo sviò definitivamente dalla carriera ecclesiastica.
Nel 1843 ottenne finalmente una borsa di 300 lire annue per poter completare gli studi musicali nel conservatorio di Milano, dove, tuttavia, non poté ottenere l’ammissione, in quanto forestiero. Barezzi si adoperò allora per affidare la sua istruzione a Verdi, che lo accolse a partire dall’aprile 1844. Muzio manifestò sempre grande riconoscenza e devota ammirazione per l’uomo che sarebbe stato il suo maestro, amico e – al pari di Barezzi – protettore d’una vita. La posizione privilegiata di unico allievo di un operista proprio allora avviato verso grandi successi comportò da subito l’assunzione di qualche incarico per suo conto: con gli anni l’allievo si trasformò in aiutante e quindi in fidato collaboratore.
L’impegno didattico di Verdi nei confronti di Muzio era esemplare e serrato, e l’allievo impegnava nello studio tutte le energie e i mezzi economici disponibili, studiando le opere di Rossini, Mozart e i contemporanei, ma anche musiche di Corelli, Tartini, Beethoven, Schubert, Haydn, e addirittura del Palestrina. Tuttavia il rapporto strettissimo e l’affetto quasi fraterno tra i due non si convertì mai in effettiva intimità.
Dall’autunno 1844 abitò a Milano, dove poté assistere alla creazione dei primi capolavori verdiani e conoscere gli editori musicali Giovanni e Tito Ricordi: nel marzo 1845, con l’Ernani di Verdi, cominciò l’attività di riduttore per pianoforte di melodrammi per gli editori Ricordi e Lucca. Già nel 1846 diresse le prove di alcune opere del maestro. Nel 1846-47 rinunciò a concorrere per il posto di maestro di musica a Busseto; tentò poi d’averlo un paio di volte, fino al 1853, senza esito. Nel frattempo seguì Verdi in vari viaggi, assistendo alle prime del Macbeth a Firenze (marzo 1847) e dei Masnadieri a Londra (luglio).
Proprio nel Macbeth al carnevale di Lodi del 1848, tenne per la prima volta il ruolo di maestro concertatore al cembalo. Nell’ottobre dello stesso anno sfumò l’occasione di concertare la prima del Corsaro di Verdi a Trieste, forse anche per l’aggravarsi della posizione di Muzio nei confronti della polizia austriaca: già dal 1844 infatti aveva cominciato a frequentare il salotto della contessa Clarina Maffei, incubatoio di fermenti risorgimentali.
Dopo le Cinque Giornate (18-23 marzo 1848), sospettato d’aver preso parte alle barricate, dovette riparare a Mendrisio, in Svizzera, dove continuò a collaborare con Ricordi attraverso la succursale ticinese dell’editore (tenuta da Carlo Pozzi). Al ritorno in Italia (maggio 1849) venne tenuto d’occhio dalla polizia austriaca e parmigiana come sovversivo. Verdi, preoccupato per la sua incerta carriera, ottenne per lui un posto da maestro concertatore al Théâtre du Cirque di Bruxelles per l’intera stagione 1850-51.
Oltre a curare una dozzina di opere di Rossini, Donizetti e dello stesso Verdi, poté mandare in scena, a chiusura della stagione (8 aprile), la prima della propria opera seria in tre atti, Giovanna la Pazza (libretto di Luigi Silva), al cui insuccesso contribuì un gravissimo crollo vocale del tenore Giacomo Radaelli. Fino ad allora il giovane compositore aveva dato alle stampe qualche spartito di musica da camera, genere che continuò sporadicamente a coltivare almeno fino al 1870. Ripresa la Giovanna, ritoccata, al teatro della Canobbiana di Milano il 6 settembre 1852, fece altri tentativi in ambito teatrale: il dramma lirico in tre atti Claudia (di Giulio Carcano) cadde rovinosamente al teatro Re di Milano il 7 febbraio 1853 ma ebbe miglior esito nelle riprese del 1855 nello stesso teatro e del 1858 al teatro dei Concordi di Padova; il melodramma tragico in tre atti Le due regine (di Giovanni Peruzzini), dato alla Canobbiana il 17 maggio 1856; infine, su libretto adespoto (ma sempre di Carcano), La Sorrentina, dramma lirico in quattro atti, andato in scena al teatro Comunale di Bologna a partire dal 14 novembre 1857 con un discreto successo. La scommessa, un’ultima opera cui attendeva attorno al 1861, non fu forse nemmeno terminata.
Se lo stile operistico e il dettato melodico di Muzio recano il segno dell’influenza verdiana, la scrittura vocale, assai impervia, abbonda negli abbellimenti mutuati dallo stile belcantistico. Felice e facile la vena melodica, evidente l’ossequio della solita forma nel taglio dei numeri chiusi, di conio donizettiano. I brani pianistici o strumentali, spesso intessuti su nuclei motivici insistiti, indulge a una certa qual complicatezza e, come nei brani vocali, a frequenti cambi di tempo e metro.
La direzione d’orchestra fu l’occupazione prevalente per gran parte della vita di Muzio, con poche interruzioni. Si contano circa 800 allestimenti da lui diretti per un repertorio di circa 70 opere (Meyerbeer, Gounod, Mozart, Thomas, Weber e Wagner, oltre ai compositori italiani già citati). A un primo periodo come concertatore al cembalo, per lo più in Italia (Milano, Bologna, Padova ecc., ma anche Zara e Anversa), fino a tutto il 1857, seguirono un episodio britannico nel 1858 come maestro del coro (Londra, Dublino, Liverpool, Glasgow, Edimburgo) e un lungo soggiorno negli Stati Uniti fino all’estate 1866 (interrotto solo da due stagioni all’Avana, nel 1861-62 e ai primi del 1866).
Muzio diresse centinaia di allestimenti in decine di stagioni stabili di molti importanti teatri della costa atlantica e dei grandi laghi (New York, Filadelfia, Washington, Boston, Chicago, Baltimora, St. Louis, Cincinnati, Cleveland, Buffalo, Louisville ecc.), passando anche per New Orleans, San Francisco e, in tournée con diverse compagnie (nelle quali spesso si esibiva anche al pianoforte), in altri centri ancora, inclusa Toronto.
Al ritorno dall’America diresse stagioni alla Fenice di Venezia e al Liceu di Barcellona, e infine, nel 1869-70, al teatro Khediviale del Cairo, diresse lo sfarzoso concerto inaugurale del canale di Suez; designato dallo stesso Verdi per dirigere la prima cairota dell’Aida l’anno dopo, gli venne infine preferito Giovanni Bottesini. Dopo un’ulteriore giro per i principali teatri del Nordest americano (settembre 1873 - marzo 1875) concluse la carriera artistica nel 1876-77 al Théâtre Italien di Parigi e 1878-79 al teatro Payret all’Avana.
Non diresse mai la prima assoluta di un’opera verdiana; introdusse però in America Un ballo in maschera, Aida, la Messa da Requiem, nonché il Lohengrin di Wagner (in italiano), e fece conoscere a Parigi La forza del destino.
Il 3 aprile 1863, a Washington, aveva preso in moglie una sua allieva, Lucy Simons (o Simmons), giovanissima cantante americana di origine transilvana, che fece una breve carriera, spinta dal marito. L’unico figlio della coppia morì a un mese dalla nascita nel 1866 e il matrimonio durò dieci burrascosi anni.
Un futuro ben più brillante ebbero due altre sue allieve di canto all’Academy of Music di New York: l’americana Clara Louise Kellogg e l’italiana Adelina Patti, che fu poi una delle dive più acclamate del secolo; anche la sorella di lei, Carlotta, prese lezioni da Muzio. L’allievo cui si sentì più legato fu una sua scoperta: il tenore Eugène Durot. Come pubblicista, fu corrispondente per la Gazzetta musicale di Milano e, sotto il nom de plume di Ariodante, per la Gazzetta dei teatri.
Morì il 29 novembre 1890 a Parigi, dove si era stabilito dopo l’abbandono delle scene.
In testamento lasciò un sussidio destinato a studenti bussetani meritevoli. Il Fondo Emanuele Muzio della Biblioteca della Fondazione Cassa di Risparmio di Parma in Busseto conserva 330 lettere (1875-1890) indirizzate in prevalenza all’agente teatrale Carlo d’Ormeville.
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