CIACERI, Emanuele
Nato a Modica (Ragusa) il 27 dic. 1869 da Giovanni e da Maria Concetta Romeo, vi compì gli studi fino alla licenza liceale; nel 1889 divenne, per concorso, alunno della Scuola normale superiore di Pisa, e presso l'università di Pisa conseguì nel 1893 la laurea in lettere, discutendo una tesi sul culto di Demetra e Cora in Sicilia, preparata con la guida dei maestro di storia antica dell'ateneo pisano, Ettore Pais: essa venne pubblicata negli Annali della Scuola normale nel 1894, col titolo Contributo alla storia dei culti dell'antica Sicilia (serie filologia e storia, X, pp. i-v, 1-97).
Dopo la laurea il C. insegnò lettere nei licei di Messina e di Catania. Nel 1901 conseguì la libera docenza in storia antica e la esercitò nell'università di Catania. Fu poi professore incaricato di storia antica nelruniversità di Messina nell'anno accademico 1911-12; nel 1912 ebbe per concorso la cattedra di storia antica nell'università di Padova e nel 1920 fu chiamato alla medesima cattedra nell'università di Napoli, ove insegnò fino al suo collocamento a riposo, nel 1940. Fu socio corrispondente dell'Accademia nazionale dei Lincei (dal 1922), socio ordinario dell'Istituto veneto, dell'Accademia di archeologia, lettere'e belle arti di Napoli (dal 1926), delle accademie di Padova e di Palermo; membro della Deputazione di storia patria per la Sicilia e di quella per la Campania, della Società di storia patria per la Sicilia orientale, socio corrispondente della Deputazione di storia patria per gli Abruzzi: nel 1934 gli fu conferito dall'Accademia d'Italia il "premio Mussolini" per le discipline storiche. Morì a Modica il 30 dic. 1944.
Dagli anni universitari la storia dei culti greci in Occidente fu per il C. uno dei temi prediletti, come mostra la pubblicazione di un apprezzato saggio su La festa di S. Agata e il culto di Iside in Catania (in Arch. stor. per la Sic. orient., II [1905], pp. 265-298)e del libro Culti e miti nella storia dell'antica Sicilia (Catania 1911), uno studio che ha costituito un modello per analoghe ricerche in altri settori del mondo greco e che è stato integrato da altre ricerche Sulla pretesa onkine cretese del culio di Venere Ericina (in Studi stor. per l'ant. class., V [1912], pp. 164-180), "Per lo studio dei culti dell'antica Sicilia, "proposito di una pubblicazione recente [L. Pareti, Studi siciliani e italioti, Firenze 1914], ibid., VI (1913-15), pp. 422-438, e infine su Vantico culto di Gerione nelterritorio di Padova e in Sicilia, in Arch. stor. per la Sic. orient., XVI-XVII (1919-20), pp. 70-83, e su Il culto di Orione nell'antica Napoli, in Attt della R. Accad. di archeol., lett. e belle arti di Napoli, n.s., X (1928), pp. 281-289, A questa tematica si collega un denso lavoro, che diede la misura della severa preparazione filologica e storica del giovine studioso e ancora costituisce un insostituibile sussidio per l'intelligenza dell'"oscuro poema" mitologico, L'Alessandra di Licofrone (Catania 1901), in cui il testo critico e un'attenta traduzione sono accompagnati da un dotto commento puntuale. là facile riconoscere in quest'opera il primo segno e insieme la radice di quella lunga indagine sulla storia'dei Greci in Italia che ha avuto il suo coronamento, dopo circa un quarto di secolo, in una delle maggiori e più note opere del C., la Storia della Magna Grecia, il cui primo volume apparve a Napoli nel 1924.Ad indirizzare l'autore a questa indagine contribuì certamente un soggiorno a Napoli, dall'ottobre 1902al giugno 1904, presso il Museo nazionale, ove il C, era stato "comandato" dal ministro della Pubblica Istruzione per attendervi al riordinamento del medagliere classico. A questo ufficio il C. venne designato dal suo maestro Pais, che nel 1894era stato chiamato a insegnare stona antica nell'università di Napoli e aveva poi ricevuto l'incarico di dirigere il Museo nazionale: l'approfondita conoscenza che il C. poté allora acquistare della monetazione delle poleis italiote e dei suoi problemi, attraverso le collezioni numismatiche del Museo, cospicue per numero e per qualità degli esemplari, alimentò un'idea che si avverte già presente alla mente dello studioso negli anni in cui lavorava al commento del poema di Licofrone.
Nella prefazione a questo libro egli aveva infatti scritto: "Per le questioni storiche tutti i miti potranno distinguersi in due grandi categorie: indigeni e forestieri, nel senso che abbiano origine e sviluppo locale ovvero siano stati importati dal di fuori... Si comprende ben di leggieri come le trasmigrazioni o localizzamenti dei miti e dei culti in terre vicine o lontane debbano direttamente riferirsi, più che alle vicende esterne di un paese, alla storia delle colonizzazioni" (p. ix); e delineando l'arricchimento del patrimonio mitico importato dai coloni nelle nuove poleis, in relazione con lo sviluppo di queste, rilevava: "quando una di quelle città o di quegli stati è in grado di fare una politica di estensione, segue quasi costantemente un duplice procedimento: prima procura di diffondere nelle popolazioni che intende attrarre nell'orbita della sua potenza i propri culti e i propri miti; dopo, conquistata una di quelle popolazioni, mentre la sottopone alle sue leggi, ne prende in prestito riti e leggende che possono giovare a riaffermare la conquista" (p. xii). Si ravvisa qui in nuce uno dei pensieri ispiratori dell'opera sulla Magna Grecia, che è stata la prima trattazione della storia dell'Italia meridionale dalla fondazione delle colonie greche alla conquista romana: un tema che già il Pais si era proposto, nella sua Storia della Sicilia e della Magna Grecia, di cui pubblicò tuttavia soltanto il primo volume (Torino 1894), dedicato agli inizi della colonizzazione, limitandosi poi ad esporre sommariamente le vicende delle età successive in un'opera divulgativa, la Storia dell'Italia antica (I-IIRoma 1925; 2 ediz. interamente rifatta con il titolo Storia dell'Italia e della Sicilia per l'età anteriore al dominio romano, I-II, Torino 1933). L'opera del C., divisa in tre volumi (I, Napoli 1924; II, Roma 1927; III, ibid. 1932), di circa milletrecento pagine complessive, è fondata su un'attenta lettura delle fonti letterarie classiche, integrata da un'accurata informazione della moderna storiografia e dell'indagine archeologica e filologica; ma l'anima e vi si esprime più decisamente e chiaramente quella visione del rapporto fra genti del luogo e coloni greci che si era manifestata nel commento all'Alessandra. Il C. s'è proposto infatti di reagire alla comune opinione che considerava i coloni portatori di una grande civiltà in regioni culturalmente arretrate e più o meno implicitamente attribuiva all'elemento indigeno una funzione puramente ricettiva, con scarsa partecipazione alla vita delle poleis italiote. Egli sostiene, al contrario, che, anche se è innegabile "che molti dei greci venuti a stabilirsi in Italia, e in modo particolare quelli di stirpe ionica, portassero seco... i germi di uno sviluppo intellettuale ed artistico superiore", si deve ritenere che, con l'eccezione di singoli casi, "i coloni appartenessero alle infime classi sociali"; che "costumi e usanze che con il tempo apparvero di carattere barbarico" (che si inclinava pertanto ad attribuire alle popolazioni indigene) "originariamente eran forse comuni a tutte le genti che trovavansi in eguale stadio di civiltà"; che quindi "la civile convivenza fra i due elementi greco e indigeno ... in alcuni casi almeno generava un progresso di vera assimilazione" (I, pp. xii s.). E dichiara quindi, nella suggestiva sezione dedicata a "La grande civiltà del Mezzogiorno d'Italia", il concetto, "fondamentale di tutta l'opera", che "la storia della Magna Grecia è nel suo insieme l'espressione di vigorose energie fisiche e spirituali di popolazioni nuove, nate dalla fusione, sia pure parziale, di due elementi etnici diversi, il greco e l'indigeno italico" (seconda edizione, p. xv).
Alla formulazione di questa tesi che ha incontrato favore in una limitata cerchia di studiosi e ha sollecitato analoghe visioni della genesi della civiltà siceliota, come nel saggio del C. stesso su Siculi e Greci nella storia più antica della Sicilia (in Arch. stor. per la Sic. orient., XXXI [1935], pp. 3-32) e nell'ampia opera di Biagio Pace, Arte e civiltàdella Sicilia antica (1935-1949), non è stato estraneo un sentimento nazionalistico, alimentato dal clima della prima guerra mondiale e degli anni ad essa successivi: ma è doveroso, contro l'apparenza e contro possibili valutazioni non obiettive per difetto d'informazione, insistere sulla sincerità e probità scientifica dell'autore. Quanto alla validità della tesi, bisogna osservare che ha le que radici in un'esigenza di più precisa cognizione dei termini e modi del rapporto tra coloni e indigeni e nel giusto rifiuto di una tradizionale visione dell'elemento indigeno Come parte puramente ricettiva: visione certamente inadeguata di fronte ai risultati dell'esplorazione archeologica promossa in primo luogo da Paolo Orsi. Se però il positivo contributo della tesi del C. è stato soprattutto l'invito ad un approfondito studio della cultura indigena e delle sue reazioni alla penetrazione di culture esterne, della greca ed anche della fenicia, non si deve dimenticare che la grande civiltà degli Italioti e dei Sicilioti è nata da fermenti portati dagli immigrati greci. che la colonizzazione fu diretta da elementi dell'aristocrazia delle, metropoleis e che l'innegabile apporto degli indigeni si è attuato nell'ambito della loro ellenizzazione: la civiltà dei Greci d'Occidente ha pertanto assunto caratteri peculiari, analogamente a quanto è avvenuto in ogni zona del mondo antico ove la civiltà greca s'è incontrata con culture locali meno ricche e complesse; ma non si distacca però dal comune ceppo ellenico. L'opera del C. serba tuttavia grande valore, come fondamentale sistemazione critica delle tradizioni classiche, mitiche e storiche, concernenti la Magna Grecia.
Il medesimo, orizzonte storiografico include una serie di studi su problemi siciliani: La disfatta ateniese all'Assinaro (in Studi storici, III[1894], pp. 353-361), Sulla spedizione del re Pirro, in Sicilia (Catania 1901), Esame critico della storia delle guerre servili in Sicilia (in Arch. stor. per la Sic. orient., IV[1907], pp. 189-222, 369-406), Megara Iblea e Ibla Gereatis (in Studi stor. per l'ant. class., II[1909], pp. 163-183), Cadmo di Coo in Messana e alla corte di Gelone (in Arch. stor. per la Sic. orient, VIII[1911], pp. 68-81), Intorno alle più antiche relaz. tra la Sicilia e la Persia (in Studi stor. per l'ant. class., V[1912], pp. 1-42), La leggenda della colonizzazione eolica di Siracusa (in Arch. stor. per la Sic. orient., XI[1914], pp. 371-379); e saggi su temi particolari sviluppano pagine della Storia della Magna Grecia: influssi della civiltà italiota... sull'Etruria nel sec. VI a. C. (in Studi etruschi, III [1929], pp. 83-89, e Klio, XXIII [1930], pp. 457-459), Orfismo e pitagorismo nei loro rapporti politico-sociali (in Atti della R. Accad. di archeol., lett. e belle arti di Napoli, n. s., XII [1931-32], pp. 207-223).
L'interesse dei C. per la storia romana si è volto dapprima, per evidentie suggestiOne della tematica cara al maestro Pais, a problemi della storiografia sulle origini: Come e quando la tradizione troiana sia entrata in Roma (in Studi stor., IV[1895], pp. 503-529), Per Ennio e Tito Livio: periodo albano e fondazione di Roma (in Riv. di storia antica, VI[1901], pp. 58-65); ma uno dei primi lavori si intitola De ciceroniano poëmate ad Caesarem quaestiuncula (ibid., I[1896], 4, pp. 86-89), un opuscolo è dedicato ad Alcune osservazioni sulle fonti di Svetonio nella Vita di Augusto (Catania 1901), e la prolusione al corso libero di storia antica discorre Della storiografia in Roma nella prima età imperiale (Catania 1901).
Si va così delineando un altro filo che percorre tutta l'attività storiografica del C.: la ricerca sull'ultima fase della repubblica e sui primi tempi dei principato. Vari saggi, pubblicati tra il 1907 e il 1916, su episodi e aspetti significativi di quel difficile periodo (la congiura pisomana del 65 d. C., i processi del 54 a. C., il processo di perduellio di C. Rabirio nel 63 a. C., le relazioni tra Roma e Agrippa 1 di Giudea e tra Roma e l'Egitto dei Lagidi) sono, raccolti nel volume Processi politici e relazioni internazionali. Studi sulla storia politica e sulla tradizione letteraria della Repubblica e dell'Impero (Roma 1918): uno di essi, La responsabilità di Tiberio nell'applicazione della lex Iulia maiestatis prelude alla più ampia ricerca sul regno di Tiberio, anche per la posizione vivacemente critica che il C. assume verso l'interpretazione taciti della monarchia tiberiana.` Due saggi ciceroniani - uno sul De Republica in relazione con le teo . rie di Polibio sulla costituzione romana (in Rend. della R. Accad. dei Lincei, classe di scienze morali, s. 5, XXVII [1918], pp. 237-249, 266-278, 303-315), l'altro su L'atteggiamento politico di M. Tullio Cicerone di fronte a L. Cornelio Silla (in Atti dell'Ist. veneto, LXXIX[1919-1920], 2, pp. 541-562) - annunziavano intanto unanuova impegnativa opera, che il C. intraprese quando ancora lavorava alla Storia della Magna Grecia: il primo volume di Cicerone e i suoi tempi apparve infatti nel 1926 a Roma (e il II, sempre in Roma, nel 1930).
Costruito su un'assidua lettura di quasi tutta l'opera di Cicerone, e specialmente delle orazioni, degli scritti politici e delle lettere, il nuovo libro intendeva reagire con precise argomentazioni all'aspro giudizio che di Cicerone politico avevano dato il Drumann e il Momm i sen e che specialmente l'autorità di quest'ultimo aveva imposto ad una vasta parte della storiografia più recente; e infatti l'indagine sull'oratore e sul suo mondo é introdotta da una densa storia della fortuna di Cicerone politico, del quale tuttavia il C. riconosce i limiti.
Ancora un'esigenza di equanimità ha indotto il C. a riesaminare l'opera politica di Tiberio, su cui pesa nei secoli il severo giudizio di Tacito; e se nel libro Tiberio successore di Augusto (Roma 1942) la critica delle posizioni di Tacito si risolve in una polemica filotiberiana, il contributo positivo è nell'impegno di chiarire le situazioni politiche e la genesi delle interpretaziom stonografiche, oltre che nella dimostrazione della continuità della politica augustea. Negli studi sulla storia del principato rientra il profilo di Tacito (Torino 1940): ove al riconoscimento della "indiscussa probità" dello storico e del suo "caldo sentimento della grandezza morale" si abbina un giudizio che naturalmente riflette l'orientamento politico dell'autore: "per le proprie convinzioni politiche, etiche e giuridiche, e per il ricordo incancellabile della tirannide di Domiziano, [Tacito] è prevenuto verso gli imperatori romani, nonostante che all'inizio di ogni sua opera faccia precedere esplicita promessa d'imparzialità" (pp. 139 e 193).
Alla storia romana arcaica il C. era tornato, dopo il volume su Tiberio, con un libro su Le origini di Roma, la monarchia e la prima fase dell'età repubblicana (Roma 1937): un nuovo saggio di indipendenza di giudizio rispetto a certe posizioni divenute canoniche nella storiografia moderna. Il C. dichiara la sua fede nella tradizione classica (che "ha in sé qualche cosa di sacro" e "spoglia di materiali amplificazioni e d'artificiosi abbellimenti, è quasi sempre fondamento di verità": p. vii); ma vi svolge un'analisi critica che, richiamandosi algrande esempio di Mommsen e della scuola di Joseph Rubino, coincide in più d'un caso con punti di vista che si vanno imponendo nella ricerca più recente (come, ad esempio, nel temperamento della tesi del prevalente carattere etrusco di Roma arcaica: pp. 320 ss.). L'esame di questi problemi hwovviamente condotto il C. allo studio dell'interpretazione vichiana della tradizione romana; e a questo tema è dedicato uno Oegli ultimi suoi scritti: Cornelio Tacito nell'opera di G. B, Vico (in Rend. della R. Acc. di archeol., lett. e belle arti di Napoli, n. s., XXI [1941], pp. 139-164).
Bibl.: Un elenco degli scritti del C. fino al 1940 è premesso, al volume Studi di antichità classica offerti da colleghi e discepoli di E. C. al termine dei suo insegnamento universitario (Roma 1940). Una commemorazione fu tenuta da B. Pace all'Accademia dei Lincei nel 1947 (Rend. della Acc. naz. dei Lincei classe di scienze morab, che e filosofiche, s. 8, II [1947], pp. 417-422).