MARI, Elvira
– Nacque a Ferrara il 16 nov. 1884 da Luigi, bracciante, e Rosalia Bottoni, massaia. Nel corso di tutta la carriera la M. utilizzò il cognome del marito, Umberto Casazza, bussetano, professore di violino, che aveva sposato a Ferrara nel 1907.
Appartenente a un’ideale dinastia di voci ferraresi che tra Otto e Novecento scrissero un capitolo importante nella storia dell’interpretazione operistica (il tenore G. Borgatti, i soprani Ernestina Poli Randaccio, Bianca Lenzi, Ersilde Cervi Caroli, Lucia Crestani e Mafalda Favero, i mezzosoprani Giuseppina Zinetti e Guerrina Fabbri, i bassi A. Brondi e G. Azzolini furono tutti di area ferrarese per nascita o adozione), la M. si formò alla scuola di Adelaide Borghi, mezzosoprano anch’essa e popolarissima Carmen tra la seconda metà degli anni Ottanta e gli anni Novanta dell’Ottocento. Fu, forse, una sorta di timore reverenziale nei confronti dell’interpretazione della maestra a fare accostare la M. solo in via episodica al personaggio bizetiano.
Il debutto, ufficialmente, avvenne nel 1910 a Sanremo quale Azucena nel Trovatore di G. Verdi, un ruolo tra i più impegnativi dell’intero repertorio, destinato a diventare uno dei cavalli di battaglia della M. (solo The New Grove Dict. of opera ipotizza un esordio predatato al 1909, a Varese, in un’opera non identificata). Sempre al 1910 risale la prima scrittura in un teatro importante – La Fenice di Venezia – e una tournée negli Stati Uniti (proseguita nel 1911), con una compagnia di giro minore, la Lombardi Opera, comunque preziosa per cominciare a fare esperienze di respiro internazionale. Di poco successivi furono i debutti a Buenos Aires e Roma (1913), dove fu Emma Carelli, grande soprano trasformatasi in impresario del teatro Costanzi, a imporla all’attenzione del pubblico, soprattutto nel 1914, quando le affidò la parte di Ulrica in Un ballo in maschera di G. Verdi, accanto a quello che era all’epoca il più prestigioso protagonista di quest’opera, il tenore A. Bonci. In seguito i rapporti tra le due si guastarono per un’eccessiva ingerenza della M. nel proporre i titoli che avrebbe voluto interpretare.
Più lunga si dimostrò l’anticamera per l’approdo alla Scala, avvenuto nel 1916 come Amneris in Aida di Verdi, sebbene del teatro milanese la M. sarebbe poi diventata ospite assidua (le ultime apparizioni saranno nel 1940), anche grazie al sodalizio professionale instauratosi con A. Toscanini. Al 1917 risale il debutto in sala d’incisione, con pagine dal Trovatore, La favorita di G. Donizetti e La Gioconda di A. Ponchielli: tutti duetti, nel primo caso con B. De Muro, nelle altre due opere con B. Gigli ancora agli esordi. Un’esperienza destinata a bruciarsi rapidamente (la M. si limiterà a incidere ancora un paio di brani l’anno successivo), a testimonianza della sua scarsa empatia con la sala di registrazione, dovuta sia a una vocalità poco fonogenica sia, soprattutto, a un temperamento che riusciva a esprimersi compiutamente solo in palcoscenico.
Già questi primi anni mostrano quanto fosse ampia l’estensione vocale della M., capace di passare da ruoli di mezzosoprano acuto (La favorita) alla tessitura profonda, autenticamente contraltile, di un personaggio come Ulrica. E sebbene con il tempo – soprattutto grazie a figure fortemente caratterizzate come Quickly del Falstaff di Verdi o la strega di Hänsel e Gretel di E. Humperdinck – fu soprattutto la M. contralto a restare nella memoria e nell’immaginario degli spettatori, ancora agli inizi degli anni Trenta la cantante sottolineava di aver mantenuto intatto il registro acuto: in una corrispondenza del 1932 con G. Barberi, direttore amministrativo dell’Opera di Roma, si faceva un vanto di cantare, dopo oltre vent’anni di carriera essenzialmente spesa nelle regioni più basse del pentagramma, l’invocazione a Satana di Ortruda nel Lohengrin di R. Wagner nella tonalità prescritta, senza necessità di abbassare.
Sta di fatto, comunque, che la sbalorditiva ampiezza delle note gravi della M. indusse Toscanini a fare di lei la sua Quickly di fiducia (documentata da una foto storica del Museo teatrale della Scala) in innumerevoli recite di Falstaff; e che furono queste stesse caratteristiche a spingere I. Pizzetti a sceglierla per il ruolo della profetessa biblica in occasione della prima del suo Debora e Jaele (Milano 1922).
D’altronde il tenore G. Lauri Volpi, che la ebbe come partner in varie occasioni, nel suo libro Voci parallele parlò esplicitamente di una «coesistenza dei due sessi [nella sua voce]» che «la divideva in due emissioni diverse»; mentre Magda Olivero – che agli inizi della carriera sostenne un piccolo ruolo nell’Incoronazione di Poppea di C. Monteverdi al Maggio musicale fiorentino del 1937, accanto all’Arnalta della M. – la ricordò come «un colore [di voce] che oggi non c’è più» (Guandalini).
Furono queste caratteristiche vocali, unite a una fisicità particolare (poca mascella e quasi niente collo, naso corto ma grosso, occhi neri e penetranti, seno formoso, un indefinibile fascino sensuale all’interno di una bellezza non certo canonica), che spinsero la M. ad accostarsi spesso anche a titoli contemporanei: oltre a Debora e Jaele prese parte alle prime esecuzioni di Abul del brasiliano A. Nepomuceno (Buenos Aires 1913), Canossa di G.F. Malipiero (Roma 1914), I cavalieri di Ekebù di R. Zandonai (Milano 1925), Il diavolo nel campanile di A. Lualdi (ibid. 1925), oltre che alla prima italiana de La donna silenziosa di R. Strauss (Milano 1936).
Nel 1929 fu, come Azucena e Quickly, una delle mattatrici, accanto a Lauri Volpi (Manrico), e M. Stabile (Falstaff) della fortunatissima tournée – sei titoli in tutto – effettuata dalla Scala a Berlino sotto la guida di Toscanini. Tuttavia, nel corso del decennio successivo, il naturale affievolimento dei mezzi portò la M. a concentrarsi progressivamente su titoli rari, meno esposti ai giudizi «vociologici», e ruoli di carattere (oltre alla citata strega di Hänsel e Gretel si può ricordare la goldoniana Margarita dei Quatro rusteghi di E. Wolf-Ferrari), fino ad arrivare, negli anni Quaranta, a dei meri cammei, come la madre alcolista della Zazà di R. Leoncavallo. Aveva iniziato nel frattempo a insegnare canto (nel 1945 ottenne una cattedra al conservatorio di Pesaro), senza però mettere fine alla vita di palcoscenico, sia pure ormai molto diradata: l’ultima apparizione in teatro fu a Roma, nel 1948, con un ennesimo Hänsel e Gretel. Continuò a insegnare a Pesaro fino al 1949 e poi, fino al 1956, al conservatorio di Roma.
La M. morì a Milano il 26 genn. 1965.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. stor. del Teatro dell’Opera, f. Elvira Casazza (contratti e scambi epistolari con la dirigenza del teatro, 1932-48); A. Carelli, Emma Carelli, Roma 1932, pp. 174, 220; D. Rubboli, Le voci raccontate, Bologna 1976, pp. 103 s.; G. Lauri Volpi, Voci parallele, Bologna 1977, p. 102; D. Rubboli, fascicolo di accompagnamento al disco Le grandi voci ferraresi, Bologna 1978; G. Lauri Volpi, L’equivoco, Bologna 1979, p. 185; G. Guandalini, Magda Olivero, in Musica, 1983, n. 30 (ottobre), p. 270; Enc. dello spettacolo, III, coll. 165 s. (s.v. Casazza, Elvira); The New Grove Dict. of opera, I, pp. 751 s. (s.v. Casazza, Elvira); Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, II, p. 134 (s.v. Casazza-Mari, Elvira).