LEONARDI, Elvira (Biki)
Nacque a Milano, il 1° giugno 1906, da Salvatore, agente teatrale, e Fosca Gemignani, terzogenita dopo Franca e Antonio.
Le fu imposto il nome della nonna materna, Elvira Bonturi, che in prime nozze aveva sposato Narciso Gemignani (dal quale aveva avuto i figli Fosca e Renato) e nel 1904, in seconde nozze, Giacomo Puccini, l'amato "nonno Tato" che le impose il vezzeggiativo Biribicchina e poi Bicchi. La L. trascorse quindi l'infanzia in un ambiente agiato, colto e sensibile alle arti. Tra i molti amici di famiglia ebbero un ruolo importante nella sua formazione i Crespi, i Visconti di Modrone, Arturo e Carla Toscanini e la loro figlia Wally, G. D'Annunzio e G. Forzano, G. Morandi, Eleonora Duse, Isadora Duncan.
Compì gli studi superiori al liceo linguistico femminile A. Manzoni; studiò anche musica e canto. Nella prima metà degli anni Trenta divise la sua esistenza tra attività sociali, mondane e benefiche, compiendo una volta all'anno un viaggio a Parigi per rinnovare il guardaroba, frequentare i teatri e aggiornarsi sulle novità culturali. Completò così un'educazione al gusto di stampo internazionale e una formazione alle relazioni umane negli ambienti più raffinati d'Europa.
Profondamente religiosa, all'inizio del 1934 guarì da una grave malattia e si recò a Lourdes con la madre. Al ritorno a Milano ricevette la prima proposta di lavoro nel campo della moda da parte di Vera Borea, proprietaria a Parigi di una boutique specializzata in moda per il mare, che cercava una rappresentante in Italia; la L., se pure fortemente interessata, non aderì subito alla proposta e infine la declinò, convinta che i soli abiti da mare non avessero in Italia un mercato sufficientemente ampio da garantire il successo.
Con l'occasione, però, compì un'esplorazione negli atelier parigini, confermandosi nell'idea che la moda richiede estro e fantasia, ma anche un solido senso degli affari e un costante aggiornamento culturale. Osservò che, senza rivali al mondo, l'eleganza francese si nutriva di idee a contatto con gli artisti e tuttavia si appoggiava all'industria tessile e alla distribuzione. Non le parve realistico sfidare subito gli atelier parigini, e preferì entrare prudentemente nella professione.
Acquistò notevoli quantità di biancheria francese, decisa ad avviare un'attività in questo segmento poco sviluppato in Italia. Nel 1934 fondò la prima sartoria, in società con Gina Cicogna, grazie a un capitale di 3000 lire a testa, raccolto tra amici e conoscenti, ma senza il contributo dei Leonardi, decisamente contrari all'iniziativa. La serietà del progetto conquistò invece un produttore di seta, C. Piva, che concesse un credito a tre mesi rinnovabile a una sola condizione: la puntualità del rimborso. Nacque dunque la casa di moda Domina - la prima collezione venne presentata, nella sede di via Senato n. 8, il 5 maggio 1934 - così battezzata da D'Annunzio, primo cliente e attivo propagandista di quelle creazioni, il quale, nella medesima circostanza, ribattezzò anche la L., modificando il suo soprannome infantile in Biki, da allora nome "d'arte" della Leonardi.
Rimborsati i prestiti nel tempo pattuito e forte di un deposito bancario cresciuto a 350.000 lire, la L. preferì presto sciogliere la società con la Cicogna per essere indipendente e imboccare la strada dell'espansione.
Ampliò la gamma delle creazioni alla moda per il mare, intuendo una domanda crescente del pubblico femminile, sempre più numeroso nelle località di villeggiatura. Propose uno stile ricco e fantasioso, puntando su tessuti preziosi e colori decisi, accostati in modo ardito per le regole dell'epoca (blu e verde, giallo e arancione e così via). A sostenere la sua capacità di innovazione intervenne R. Gandini, che stampava e vendeva i tessuti da lei disegnati. Grazie all'appartenenza all'ambiente altoborghese e aristocratico, la L. acquisì presto una clientela fissa, che si allargò alle attrici di cinema e teatro (come Lyda Borelli Cini o Laura Adani Visconti di Modrone), e alle esponenti del nuovo potere (come Edda Ciano Mussolini o Doris Duranti).
Nel 1935, con la nascita dell'Ente nazionale della moda per la promozione del prodotto italiano, il regime impose alle sartorie di confezionare almeno per il 50% con materie prime nazionali. La L. si adeguò alle nuove condizioni, senza rinunciare al contatto con le sartorie francesi. Nell'ottobre 1933 aveva conosciuto a Parigi Robert Boyeure, antiquario e collezionista d'arte, che sposò il 14 sett. 1936. Il 7 luglio 1937 nacque l'unica figlia, Roberta.
Lo scoppio della seconda guerra mondiale non interruppe la crescita della sartoria - trasferita in un palazzo di via S. Andrea e arredata dall'architetto T. Buzzi - che continuò a operare, rispettando i due appuntamenti annuali per la presentazione delle collezioni, e arrivando a dare lavoro fino a 146 persone, pur nella carenza di materie prime e di clienti; venne anche inaugurata una nuova boutique a Roma, al primo piano dell'hotel Excelsior in via Veneto.
Mentre il marito era rientrato in Francia all'inizio della guerra, la L. era rimasta a Milano, dove, nel marzo 1942, le fu notificato che, in quanto cittadina francese, sarebbe stata deportata nel campo di concentramento di Viterbo. Per intervento del prefetto di Milano il provvedimento fu commutato in una stretta sorveglianza che non le impedì di lavorare neppure quando si intensificarono i bombardamenti. Con l'occupazione tedesca furono requisite la casa di via Manzoni e la sartoria di via S. Andrea, dove però venne concesso l'uso di alcune stanze per non interrompere l'attività.
Finita la guerra, la L. colse con prontezza le opportunità della ricostruzione, puntando soprattutto su tre fronti: l'abituale osservazione della moda francese, la collaborazione con l'industria tessile e l'ampliamento della clientela.
Prendendo ispirazione dalle tendenze parigine, al solito le sviluppò e adattò a suo gusto: se agli esordi era lo stile sobrio e signorile di L. Lelong a fornirle spunti, nel dopoguerra fu Christian Dior (allievo di Lelong e promotore del new look) a influenzare le sue collezioni. Nel biennio 1946-48 la collaborazione con l'industria si concretizzò nell'adesione alle iniziative per la promozione del tessile e abbigliamento nazionali: fra l'altro si associò all'attività del Centro italiano della moda creato da P. Marinotti della Snia Viscosa, che coordinava le sfilate e nello stesso tempo diffondeva le fibre sintetiche e artificiali; e a manifestazioni come quella organizzata al teatro Olimpico di Vicenza da G. Marzotto, o quella del 15 sett. 1948 a villa d'Este, in collaborazione con gli industriali tessili locali.
Con il nuovo decennio, grazie al miracolo economico e alla diffusione della prosperità, si affacciavano all'orizzonte della sartoria Biki nuovi possibili acquirenti, così come si era accentuata la concorrenza (a Milano soprattutto quella di Germana Marucelli, Jole Veneziani, Gigliola Curiel, e più tardi Mila Schön). La L. colse ogni occasione per farsi conoscere e ampliare la clientela. Particolarmente noto l'incontro con Maria Callas, nel dicembre 1951: la cantante, dotata di una voce prodigiosa e di straordinarie capacità drammatiche, ma imponente e goffa, affidò alla L. non solo la confezione del guardaroba ma anche la propria educazione all'eleganza. L'operazione riuscì e la Callas, ormai famosa, ricambiò la L. con una pubblicità estremamente efficace su scala mondiale.
Nel 1950 fu aperta una nuova sartoria a Zurigo, poi una boutique a Saint-Moritz, alla quale seguirono quelle di Portofino e Milano (via Montenapoleone). Nel 1951 il settimanale francese Paris Match dedicò due pagine alla collezione primavera-estate, un riconoscimento tra i più difficili da ottenere per una sartoria non francese. Nell'aprile 1952 la L. si recò per la prima volta in America e, in occasione della manifestazione April in Paris, presentò i suoi modelli, ai quali si apriva così un mercato già ricco e in piena espansione.
Gli anni del miracolo economico videro una maggiore integrazione della famiglia nell'impresa e insieme un ulteriore lancio internazionale della casa. In occasione delle sfilate parigine dell'autunno 1952 la L. propose al disegnatore venticinquenne Alain Reynaud di unirsi a lei nell'impresa; l'anno successivo Reynaud - che nel 1956 divenne genero della L. sposandone la figlia Roberta - si trasferì a Milano, arricchendo la sartoria di un talento fantasioso e versatile, integrato in una squadra che si completava con Ada Grigollo, realizzatrice dei turbanti e cappellini.
Tra la casa e l'atelier la L. riprodusse l'ambiente della sua formazione, un crocevia di idee e gusto, avendo come ospiti abituali poeti, scrittori, artisti, musicisti e uomini d'affari. La L. fu anche sensibile nel riconoscere le capacità e il talento altrui, e generosa nel porgere le opportunità: per esempio fu lei a scoprire e valorizzare, a metà degli anni Cinquanta, Ottavio e Rosita Missoni, che disegnavano e producevano maglieria contrassegnata dai più vari accostamenti di colore.
Nel 1962 iniziò a scrivere articoli su argomenti femminili quali l'eleganza, la casa e la cucina per il quotidiano La Stampa e poi per altri giornali. In questo periodo, al culmine del successo, contava sei atelier nel mondo e 180 lavoranti. Presentava sempre più spesso le collezioni anche all'estero: due volte l'anno a New York, nel 1967 in Grecia, in Canada, in Austria, nel 1968 in Svezia. A partire dalla fine degli anni Sessanta fu tra i pionieri della produzione su licenza, firmando biancheria da casa per Zucchi, piastrelle per Marazzi, moquettes per Marelli, abiti per le bambole Furga, divise per l'Alitalia, pelletteria per Raffaele Litro, il profumo Biki e una linea di abbigliamento femminile per il Gruppo finanziario tessile di Torino. Nel 1969 fondò la Biki Japan, in società con la Mitsui giapponese, per la produzione e vendita di abiti in due collezioni l'anno utilizzando il canale distributivo di due boutique con il suo nome, una a Tokyo e l'altra a Osaka.
Il rinnovamento del costume femminile negli anni Sessanta fu preannunciato nelle sue collezioni da una più accentuata semplicità e praticità, ma fu in seguito al sorgere del movimento di rivolta giovanile del Sessantotto che la L. comprese come un eccessivo sfoggio di lusso fosse ormai tramontato. All'inizio degli anni Settanta, gli anni di piombo e della crisi petrolifera, aveva già corretto la sua strategia produttiva, per cui, come ebbe a dire lei stessa, "chiuso il capitolo dei rasi, delle sete fastose", iniziò a utilizzare tessuti semplici e caldi, quali la lana e il tweed, anche per gli abiti da sera.
La L. vide le implicazioni economiche e sociali della profonda trasformazione del passato ventennio: comprese che, sul versante economico, era necessario finanziare i costi dell'alta moda affiancandola a una produzione di massa e alla vendita del marchio; sul versante sociale, individuando il processo di formazione di un ceto medio di massa desideroso di eleganza e stile, contribuì allo sviluppo del prêt-à-porter in una collaborazione con l'industria dell'abbigliamento nella quale era stata pioniera.
Dopo la morte della madre Fosca (1967) (che aveva sposato in seconde nozze Mario Crespi) contribuì alla catalogazione delle collezioni d'arte che i coniugi Crespi avevano lasciato al Museo Poldi Pezzoli, e fu presidente della Fondazione Fosca e Mario Crespi. Ereditata dalla madre una quota societaria del Corriere della sera, assunse la carica di consigliere d'amministrazione del quotidiano.
Nel 1968 era stata eletta presidente per la Lombardia dell'Associazione imprenditrici donne e dirigenti d'azienda. Nominata cavaliere del lavoro, negli anni Ottanta sedette nel consiglio dell'Ente Fiera di Milano, fu presidente della Fondazione italiana di cardiologia, e ricoprì, unica donna in tale carica, la responsabilità di commissario di sconto alla Cassa di risparmio delle province lombarde.
La L. morì a Milano il 24 febbr. 1999.
Consapevole di essere nata e cresciuta in un ambiente privilegiato, dichiarò di avere positivamente approfittato della propria posizione sociale senza mai rinunciare al rischio imprenditoriale e senza abdicare alla fatica del lavoro. Come donna d'affari espose la sua filosofia di rispetto, ma non di schiavitù, nei confronti del denaro affermando: "I soldi vanno guardati dall'alto in basso ma non bisogna mai perderli di vista".
Fonti e Bibl.: Necr., in La Stampa e Corriere della sera, 25 febbr. 1999; A. Rizzotti Veronesi, Biki, la decana giovane, in Voi, aprile 1962, n. 4; N. Villa, Le regine della moda, Milano 1985, pp. 17-43; S. Artom - A.R. Calabrò, Sorelle d'Italia, Milano 1989, pp. 35 s.; A. Santini, D'Annunzio andava pazzo per le mie camicie da notte, in Oggi, 26 sett. 1990, pp. 55 ss.; H. Blignaut, La scala di vetro, il romanzo della vita di Biki, Milano 1995; S. Artom, La signora dal turbante, in Il Giornale, 3 genn. 1996; L. Baldrighi, Biki, un impero che va ancora di moda, ibid., 24 dic. 1996; B. Barzini, Biki, uno stile, una vita, in Amica, 7 febbr. 1997, pp. 58-62; A. Checchi, Diceva: "Sono solo una sarta", però inventò lei il made in Italy, in Oggi, 10 marzo 1999, pp. 65-68; G. O'Hara, Il dizionario della moda (ed. ital. a cura di R. Panuzzo - J. Valli), Milano 1990, pp. 33 s.; Diz. biogr. delle donne lombarde, a cura di R. Farina, Milano 1995, pp. 628 s.; Diz. della moda, a cura di G. Vergani, Milano 2003, pp. 131-133.