Englaro, Eluana
Englaro, Eluana. – Giovane donna italiana (Lecco 1970 - Udine 2009), la cui vicenda ha aperto un’accesa discussione nel campo della bioetica. Vittima di un incidente stradale all’età di 21 anni, E. riportò un grave trauma cranico e cervicale con conseguente tetraplegia che la costrinsero in stato vegetativo permanente per 17 anni. Viste le condizioni disperate della ragazza, la famiglia Englaro chiese l’interruzione dei trattamenti medici, poiché in precedenza la figlia stessa aveva più volte sostenuto di non ammettere accanimenti terapeutici. Dal 1999 in poi il padre, Beppino Englaro, ha condotto una battaglia giudiziaria per ottenere l’interruzione dell’alimentazione forzata che manteneva in vita la figlia, in quanto «trattamento invasivo della sfera personale, perpetrato contro la dignità umana».
I passaggi giudiziari. – Dopo il passaggio nelle corti territoriali (tribunale di Lecco e Corte d’appello di Milano) il caso è approdato alla Cassazione. Le sentenze di primo e secondo grado hanno rigettato la richiesta, con l’argomento che le decisioni di fine vita sono un diritto personalissimo, non suscettibile di rappresentazione; pertanto nessuno può pronunciarsi in merito, anche se nominato dal paziente stesso. Con sentenza n. 21748 del 16 ottobre 2007, la Cassazione ha annullato i giudizi precedenti e ha rinviato la causa a una diversa sezione della Corte d’appello di Milano. Il decreto del 25 giugno-9 luglio 2008 emesso da quest’ultima Corte ha ammesso la sospensione di alimentazione e idratazione per spegnere la residuale esistenza vegetativa. In base all’art. 32, secondo comma, della Costituzione nessuno può essere sottoposto a trattamento sanitario, se non previsto come obbligatorio dalla legge; ne consegue il diritto del malato a rifiutare le cure. La Procura di Milano tuttavia presenta ricorso contro il provvedimento della Corte d’appello, ma il 13 novembre 2008, con sentenza n. 27145/08, la Corte suprema dichiara inammissibile il ricorso e autorizza il distacco del sondino. Il 6 febbraio il Consiglio dei ministri vara con decreto legge un testo sul testamento biologico, allo scopo di ripristinare la nutrizione della donna, ma il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano rifiuta di controfirmarlo, ritenendo che un provvedimento d’urgenza non si possa varare in contrasto con sentenze passate in giudicato. Il 9 febbraio 2009, tre giorni dopo la sospensione di alimentazione e idratazione, E. muore per arresto cardiaco da blocco renale per disidratazione. Il padre Beppino e altre 13 persone sono stati prima indagati (27 febbraio 2009) con l’accusa di omicidio volontario aggravato, ma poi prosciolti (11 gennaio 2010). Secondo il giudice delle indagini preliminari di Udine la morte non è stata «conseguenza di pratiche diverse da quelle autorizzate e specificate nei provvedimenti giudiziari».
Gli aspetti etici. – La vicenda giudiziaria del caso di E. ha lasciato tracce importanti nelle diverse pronunce che si sono susseguite nei vari gradi di giudizio. La Cassazione è partita dal presupposto che ogni persona capace possa decidere a quali trattamenti sottoporsi, in armonia con il proprio concetto di vita degna. Facendo un passo ulteriore, qualora la persona diventi incapace, il giudice, ricostruendo la personalità del malato, può arrivare alla conclusione che le condizioni in atto non corrispondono alla volontà del malato. Il principio di diritto affermato dalla sentenza prevede che il giudice possa autorizzare la disattivazione di un presidio salvavita quando sia stata verificata la presenza di due presupposti: che il paziente si trovi in una condizione valutata in base a rigorosi criteri medici come stato vegetativo irreversibile e che l’istanza di interruzione sia espressiva, con elementi di prova chiari, univoci e convincenti, della voce del paziente stesso, «tratta dalle sue precedenti dichiarazioni ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti». La ricostruzione della presunta volontà del paziente incosciente è perciò condizione indispensabile per assicurare la legittimità della decisione. La Cassazione ha respinto invece la richiesta al giudice di autorizzare il distacco del sondino naso-gastrico in quanto «forma di accanimento terapeutico» poiché questo trattamento è stato valutato come «presidio proporzionato». Il giudice deve limitarsi a esprimere una forma di controllo della legittimità della scelta nell’interesse dell’incapace, secondo i due criteri dell’irreversibilità dello stato vegetativo e della volontà certa del paziente. Il dibattito sull’accanimento terapeutico aperto dal caso di E. ha raggiunto l’opinione pubblica attraverso una vasta risonanza mediatica e ha riproposto l’urgenza di una legge sulla fine della vita (v. ; ).