ĚLĪSHĀ‛ ben ĂBŪYĀH
Dottore ebreo della prima metà del sec. II d. C. Insegnò nelle accademie tannaitiche, ed ebbe tra i suoi scolari Rabbī Mē'īr; ma poi abbandonò l'ebraismo, e da allora fu designato nelle cerchie ebraiche col nome di Ahēr ("un altro" cioè: "colui che non merita di essere nominato"). Che egli fosse stato attratto dalle dottrine gnostiche è congettura largamente accolta dagli studiosi moderni, specialmente perché il suo distacco dall'ebraismo è posto in connessione con studî metafisici; è però possibile pensare che egli non avesse sostituito l'ebraismo con alcun sistema religioso, e che semplicemente fosse stato indotto dalla famigliarità che si era acquistata con la cultura greca e col pensiero greco ad assumere una posizione di scetticismo. Intorno alla sua persona e alla sua vita, che evidentemente fecero grande impressione sull'animo dei contemporanei, si formarono molte leggende che si trovano narrate nei libri rabbinici: fra l'altro si racconta della reverente devozione conservatagli dal suo discepolo Rabbī Mē'īr, il quale sarebbe riuscito a indurlo al pentimento in punto di morte e a ottenergli la salvezza nel mondo di là.
Mē'īr Letteris (1807-1871) ha fatto di Ĕlīshā‛ b. Ăbūyāh il protagonista del suo rifacimento ebraico del Faust di Goethe.
Bibl.: Graetz, Gnostizismus und Judenthum, Krotoschin 1846, pp. 16 segg., 62 segg.; Jellinek, Elischa b. Abuja, Lipsia 1847; Hoffmann, Tōlědōt Ělīshā‛ Àbūyāh, Vienna 1880; Baeck, Elischa b. Abuja-Acher, Francoforte sul M. 1891; Bacher, Agada der Tannaiten, I, Strasburgo 1903, p. 432 segg.; Friedländer, Der vorchr. jüd. Gnostizismus, Gottinga 1898, p. 100 segg.