ELISEO
Di nazione tedesca, canonico della cattedrale di Eichstätt in Baviera, fu eletto vescovo di Mantova probabilmente sul finire del 1054, come afferma il Capitani. Il 20 ott. 1055 l'imperatore Enrico III, residente nel palazzo regio di Mantova, gli rilasciò un privilegio in cui confermava possessi, diritti, immunità, pievi e corti appartenenti alla Chiesa mantovana, senza però menzionare il "districtus" sull'intera città per le solite 3 0 5 miglia. Forte del favore imperiale e dell'appoggio papale, E. si sforzò di riorganizzare la Chiesa mantovana. Infatti, se è falso - come ha dimostrato il Torelli - il documento del 6 ott. 1056 relativo alla concessione che E. avrebbe fatto al Comune di Mantova della giurisdizione sulle acque del Po, risulta invece autentico l'atto del 17 ag. 1057 rilasciato da E. ai canonici della cattedrale cittadina nel quale il presule, accogliendo la richiesta da essi avanzata affinché confermasse tutte le decime godute in precedenza dal capitolo della cattedrale, attribuì loro ciò che il suo predecessore Egilulfo ed altri presuli avevano già concesso, cioè l'intera decima della città, la decima delle pievi di Bagnolo San Vito, di Pietole, di Fornicata, nonché San Giorgio di Mantova, Cepata, Santa Maria in Pontariolo e Ludolo. L'atto, che venne scritto dall'arcidiacono Ubaldo e nel quale il vescovo, tra l'altro, chiedeva ai chierici di pregare a rimedio dei suoi peccati e dei peccati di tutti gli uomini, fu elargito subito dopo l'elezione al pontificato di Stefano X (IX, fratello di Goffredo il Barbuto, duca della Bassa Lorena e secondo marito di Beatrice di Toscana, nei cui domini si trovava Mantova) ed è stato inteso dal Montecchio come il primo dei provvedimenti rivolti ad assicurare al clero stabilità e sicurezza affinché potesse dedicarsi totalmente al servizio di Dio. Qualche tempo più tardi E. inviò una nuova lettera ai canonici della cattedrale, che avevano adottato un modello di vita apostolico, vivendo in comune secondo i canoni e la regola di s. Agostino. Al provvedimento non fu certo estranea la famiglia dei Canossa, marchesi e duchi di Toscana, attenti alle esigenze spirituali dei canonici mantovani e alle necessità della vita religiosa della loro città. Compiutasi, nel medesimo anno 1057, la costruzione della chiesa di S. Andrea in Mantova, voluta da Beatrice di Toscana in onore della reliquia del Preziosissimo Sangue di Cristo, E., per sostenere la vita della comunità monastica cui era stato affidato l'edificio sacro, donò al monastero di S. Andrea le decime della pieve di Castiglione Mantovano. Sempre nel 1057, probabilmente nei primi mesi dell'anno, dopo la morte di Enrico III, avvenuta nell'ottobre del 1056, E., stando nella chiesa cattedrale di S. Speciosa, di fronte ai suoi chierici, ai laici e al popolo mantovano, attribuì alcuni diritti di decima ai monaci di S. Maria di Fellonica affinché pregassero per l'anima dell'imperatore Enrico III, di sua moglie e dei suoi figli, da cui egli aveva ricevuto numerosi benefici e che egli considerava suoi "domini". Nel secondo anniversario di tale concessione, il 17 ag. 1059, E. estese anche ai cappellani della cattedrale il diritto a godere dei proventi delle decime tradizionalmente posseduti dal clero maggiore.
In questo periodo, e in ogni caso prima del dicembre 1064, E. aveva confermato ad Alberto Vicedomino e a suo figlio Rozone l'investitura feudale del "vesdomethago cum toto honore et iurisditione", cioè del feudo connesso con la carica di "vicedominus" del vescovo, da tempo esercitata dalla famiglia dello stesso Alberto.
La carica di vicedomino comportava l'obbligo di visitare i principali centri diocesani per amministrare la giustizia: "ire per episcopatum albergando, placezando, bandezando, cognoscendo lites et dando penam". Per svolgere tali funzioni in sostituzione del vescovo la famiglia di Alberto avrebbe goduto gli introiti ("lucrum") derivanti dai processi, dalle multe, dall'esercizio dei diritti sulla pesca e sulla caccia, nonché quelli gravanti sulle nomine degli amministratori, in ragione di un terzo di tutto ciò che si riscuoteva. Ogni "curtis" appartenente alla Chiesa mantovana doveva consegnare ogni anno due porci grandi alla famiglia di Alberto, alla quale competevano inoltre i proventi delle decime diocesane sulle cavalle e sui porci, nonché i dazi pagati dai vassalli per le investiture nei territori delle corti episcopali di Inculfo, di Bigarelle e di Bagnolo.
Subito dopo l'elezione al soglio pontificio di Anselmo da Baggio, che assunse il nome di Alessandro II (1º ott. 1061), E. ricevette dal nuovo papa l'incarico di portare a compimento, insieme con i vescovi di Cremona e di Ferrara, quanto aveva stabilito Leone IX circa il culto da riservarsi in Polirone alle reliquie di s. Simeone eremita, culto che era stato approvato dal predecessore di E., il quale aveva anche dedicato al santo una chiesa presso quel cenobio. Nel 1062 E. si recò in Germania: il 17 ottobre, nella cattedrale di Eichstätt, assistette alla consacrazione di un altare nella cappella di S. Maria e S. Giovanni Evangelista compiuta dal vescovo Gundecaro. Nel Natale del 1063, probabilmente dopo aver consultato E., l'arcivescovo di Colonia Annone convocò per la festività di Pentecoste, a Mantova, in nome del giovanissimo re di Germania Enrico IV, un concilio, il quale avrebbe dovuto decidere chi fosse il pontefice legittimo tra Alessandro II ed il suo antagonista Onorio II, l'antipapa eletto a Basilea il 28 ott. 1061.
Il concilio iniziò i lavori il 31 maggio 1064 e li concluse dopo alcuni giorni, riconoscendo come papa legittimo Alessandro II e dichiarando deposto e scomunicato Onorio II. Era la soluzione auspicata dall'arcivescovo Annone, dalla contessa Beatrice di Toscana, dallo stesso E., il quale, come ringraziamento per il suo operato e in seguito all'interessamento di Annone e della contessa Beatrice, ricevette dal pontefice il privilegio di portare la mitra durante la celebrazione della messa nelle principali festività dell'anno liturgico e la facoltà di trasmetterlo ai suoi successori. Il medesimo privilegio concesse Alessandro II anche all'arcidiacono e al subarcidiacono del vescovo mantovano.
Nel dicembre del 1064, come si trae dalle pergamene della cattedrale, E., che agiva in nome della sua Chiesa, effettuò una permuta di beni in località Montecleda con il prete Rustico, canonico ordinario del duomo di Mantova. Per garantire la validità giuridica dell'operazione, il presule inviò sul luogo, ove erano ubicati quei beni, Alberto Vicedomino e il gastaldo Teuzone.
Se i rapporti tra E. e l'Impero furono buoni più complessi furono i legami tra il presule e la casata canossiana, ormai rappresentata dopo la morte di Goffredo il Barbuto (21 dic. 1069) da Beatrice e da Matilde. Le due donne il 19 genn. 1072effettuarono la donazione della corte di Fornicata ai monaci di S. Andrea e, seguendo l'esempio cluniacense, che andava diffondendosi in Italia, proibirono al vescovo di Mantova di intervenire sull'amministrazione dei beni ceduti, impedendogli di operare vendite o concessioni beneficiarie in rapporto alle medesime proprietà. Che non si trattasse di sfiducia nei confronti di E., bensì di una normale adesione ai principi cluniacensi circa l'esenzione dall'ordinario diocesano, è indirettamente provato da una successiva donazione, del 10 sett. 1073, con cui Beatrice e Matilde elargirono ai canonici della cattedrale di S. Pietro in Mantova metà del castello, della corte e della pieve di San Pietro in Volta. In questo atto si specificava che i beni sarebbero stati goduti dai canonici ordinati senza alcuna contropartita economica dal vescovo E., che manteneva così un controllo sull'amministrazione dei possessi capitolari, i quali servivano all'incremento della vita comune.
E. morì molto probabilmente nel 1077, come affermano molti storici mantovani; tuttavia la prima attestazione nota, relativa al suo successore, Ubaldo Vicedomino, risale al 1082.
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