PARASOLE CATANEA, Elisabetta (Isabetta, Isabella). – Figlia del barone Cattaneo di Bergamo – non meglio identificato – e di Faustina, forse romana, nacque presumibilmente a Bergamo intorno al 1580, come si desume, approssimativamente, dai documenti di morte (Pomponi, 2011)
Di nome Elisabetta, si fece chiamare Isabetta, mentre il nome Isabella, usato in occasione della pubblicazione del suo Studio delle virtuose dame (1597), e riportato da Giovanni Baglione nelle Vite (1642), ha finito per prevalere nella storiografia.
Cresciuta presso il conservatorio romano di S. Caterina della Rosa ai Funari, che accoglieva figlie di meretrici e orfane, fu data in moglie nel novembre 1593 al pittore Rosato Parasole, già vedovo. Visse a Roma nella parrocchia di S. Eustachio, dove sono registrate le nascite di cinque figli: Caterina (1596), Giovanni (1597), Lucrezia (1599), Cristofaro (1600), Olimpia (1602) (Pupillo, 2009, p. 846; Pomponi, 2011). In seguito abitò nei pressi della parrocchia di S. Maria in Monterone, dove morì il 12 maggio 1617 a circa trentasei anni (Pomponi, 2011).
Queste notizie contraddicono quanto riportato dal Baglione (1642, 1995, p. 395) che invece la vuole madre del pittore Bernardino Parasole e moglie dell’affermato incisore in legno Leonardo Parasole – fratello di Rosato –, presso la cui bottega Elisabetta avrebbe appreso l’arte della xilografia e forse lavorato, decedendo poi a cinquant’anni; un’età che trova pressoché corrispondenza con quella di morte della moglie di Leonardo, Geronima Parasole Cagnacci (v. voce in questo Dizionario), cognata di Elisabetta, anche lei virtuosa xilografa, omessa immeritatamente dal Baglione. È probabile che la compresenza di queste due straordinarie artiste nella bottega di Leonardo abbia generato una serie di imprecisioni nei lacunosi ricordi del Baglione, unitamente all’incompletezza del suo manoscritto riguardante gli incisori Parasole, poi pubblicato collazionando le notizie da lui raccolte.
Prima dell’apprendistato nell’incisione su legno presso la bottega di Leonardo, Elisabetta imparò fin dall’età adolescenziale a lavorare il merletto presso il conservatorio in cui era stata allevata, un’attività coltivata evidentemente in quel luogo come possibile fonte di reddito per fanciulle di condizione disagiata. Dotata di notevoli capacità disegnative e tecniche, sviluppò precocemente un’autonomia inventiva, che la predispose a comporre felicemente disegni per merletti. Affiancata dal marito, che doveva essersi avveduto del proficuo mercato editoriale dei modellari per ricami e merletti, affermatosi nel corso del XVI secolo a Venezia ma rimasto escluso da Roma, vide tradurre i suoi disegni in xilografie, con la prospettiva di ricavare dalla loro pubblicazione un lauto guadagno.
Nella produzione di libretti di ricami e merletti, monopolizzati al maschile da incisori di fama come Cesare Vecellio e Giacomo Franco, e da pittori-miniatori come Aurelio Passarotti, il ruolo di donna autrice affermato con successo da Elisabetta costituisce un primato, anche se prima di lei altre donne avevano fornito disegni per queste pubblicazioni, senza però superare la soglia dell’anonimato. Con Elisabetta s’innescò un fenomeno che indusse a stampare nel 1616, sotto il nome di Isabetta Alberti (C. Paggi Colussi, Alcune osservazioni sui modellari di ricami e merletti del XVI e XVII secolo, in Il vestito e la sua immagine. Atti del Convegno… 2001, Belluno 2002, p. 168), un modellario – privo di titolo – che riproponeva disegni di Vecellio; come pure a nome di ‘Lucrezia Romana’, erroneamente identificata come pseudonimo di Elisabetta, fu stampato l’Ornamento nobile, per ogni gentil matrona... (Venezia 1620). Evidentemente ciò fu dettato da una strategia di mercato utile a sfruttare il successo al femminile e di marca romana promosso da Elisabetta. D’altronde la stessa Elisabetta venne impropriamente accreditata come romana, una qualifica che a quell’epoca doveva equivalere come garanzia di novità nel campo delle arti. L’editoria romana, impegnata nell’ornato di stampo classico e di grande formato, si rivolse, in ritardo rispetto a Venezia, ai repertori d’ornato più commerciali inerenti alle diverse produzioni tecniche, e intraprese ciò proprio con le pubblicazioni di Elisabetta.
La vicenda artistica di Elisabetta risulta oltremodo esemplare riguardo alla larga propensione della società romana nei confronti del riconoscimento delle attività artistiche femminili, in primis a partire dallo stesso marito Rosato Parasole – pittore al seguito di Cristoforo Roncalli e di Giuseppe Cesari, nonché affiliato della Congregazione di S. Luca –, che si fece egli stesso promotore della produzione della moglie in veste di coeditore, con Antonio Facchetti, della sua prima pubblicazione intitolata Specchio delle virtuose donne (Roma 1595) con trentacinque tavole. La richiesta di imprimatur, datata dicembre 1594, ad un anno dal matrimonio, induce a ritenere che la costosa operazione editoriale fosse pagata con la dote di Elisabetta, pressantemente richiesta al suddetto conservatorio di S. Caterina della Rosa (Pupillo, 2009, p. 847).
Avviata da poco all’incisione, è lecito dubitare che Elisabetta sia stata in grado di riprodurre da sé le tavole, nonostante l’utilizzo della più facile tecnica con disegno riprodotto a risparmio su carta bianca, per favorire la ripresa del modello. Se per un verso Elisabetta attese al più consueto repertorio decorativo manieristico inerente le specifiche tecniche di merletti, riprendendo talune novità veicolate dal bolognese Aurelio Passarotti ne Il libro di lavorieri (Bologna 1591), dall’altro ridisegnò una varietà di motivi con sbrigliata, personale, creatività. Il successo dello Specchio delle virtuose donne consentì a Elisabetta di ristampare il testo l’anno dopo grazie al finanziamento di Felice Maria Orsini Caetani (Roma, Pietro Spada, 1596), che figura in veste di dedicataria, e poi ancora nel 1598 (Roma, Antonio Facchetti) con il contributo economico di un’altra nobildonna.
Allo Studio delle virtuose dame (Roma, Antonio Facchetti, 1597), firmato con il nome di Isabella, seguì la Pretiosa gemma delle virtuose donne pubblicata da Lucchino Gargano prima a Roma (1598) e poi a Venezia nel 1600; questo stesso editore rieditò poi tale testo a suo nome con aggiunte e il titolo Secondo libro della pretiosa gemma (Venezia, 1601).
Da quanto evince Elisa Ricci (1911, 2007, pp. 34, 80), proprio grazie al successo e all’espansione di questi modellari, il motivo del merletto a punta accentuata con base larga ebbe notevole diffusione sia presso la produzione artigiana veneziana sia in pubblicazioni edite all’estero, come quella di Matthias Mignerak, La pratique de l’aiguille industrieuse, che vide la luce a Parigi nel 1605.
Nel 1610 uscì a Roma, presso l’editore Facchetti, Fiori d’ogni virtù per le nobili et honeste matrone, concepito sull’esempio del libretto del veneziano Federico Vinciolo Les singuliers et nouveaux pourtraicts et ouvrages de lingerie… (Paris, Jean Le Clerc, 1587), edito con dedica alla regina di Francia Louisa di Lorena; anche il testo romano ebbe il privilegio di essere dedicato a una principessa francese, Elisabetta di Borbone d’Austria, principessa di Spagna
e, in ossequio alla dedicataria, il nome Isabetta venne conformato in Elisabetta. A questa stessa principessa (nel frattempo divenuta regina), fu dedicata anche la riedizione (Maurizio Bona, Roma 1616) edita con diverso titolo (Teatro delle nobili et virtuose donne), e corredata da altre dodici tavole e da un pregevole frontespizio di Francesco Villamena con il ritratto di Elisabetta di Borbone e una lettera dedicatoria della xilografa che le si rivolgeva in prima persona. Tale valore aggiunto ne fece un’opera di straordinario successo da dedicare a nobildonne di alto rango, al punto che Maurizio Bona, editore e libraio romano presso il quale questo modellario veniva venduto, ne acquisì, una volta morta Elisabetta, le matrici, per rieditarle nel 1619 e nel 1620. Il medesimo libretto fu poi ancora una volta stampato nel 1636 a Roma da ignoto editore, ma con una dedica illustre da parte dell’antiquario Giacomo Marcucci all’editore Giovanni Orlandi.
Nel 1615, presso l’editore romano Guglielmo Facciotti, fu ridata alle stampe una parte del repertorio della prima raccolta di Elisabetta (1595) con il titolo Gemma pretiosa delle virtuose donne e l’aggiunta di qualche nuovo modello, riedita poi nel 1625 dopo la morte della xilografa.
In seguito alla riscoperta della straordinaria esemplarità dei modellari di Elisabetta, avvenuta nel corso del XIX secolo, ne furono fatte ristampe in fotolito: Pretiosa gemma delle virtuose donne (Venezia 1879), Studio delle virtuose dame (London 1884), Teatro delle nobili et virtuose donne (Berlino 1891), e altre ancora agli inizi del XX secolo.
Stando alla testimonianza di Baglione (I, 1642, p. 395), l’accurata minuziosità disegnativa e la grafica chiara, proprie della produzione di Elisabetta, indussero Federico Cesi a commissionarle l’impegnativa riproduzione, nel modo più verosimile possibile, di immagini botaniche per l’illustrazione di testi scientifici. La mancanza di altri riscontri documentari e taluni discordanti riferimenti biografici, hanno indotto Marco Pupillo (2009, pp. 847 s.) a mettere in dubbio, forse in modo troppo sbrigativo, quest’ultima produzione di Elisabetta riferendola alla cognata, Geronima. Una prova indiretta che collima con la veridicità di tale rapporto di committenza è invece da collegare al fatto che proprio nel 1618, subito dopo la morte di Elisabetta, Cesi diede l’incarico all’incisore Giorgio Nuvolo Stella dell’illustrazione di animali e, a latere, di erbe (Baldriga, pp. 258 s., n. 30). In considerazione del vasto programma di illustrazioni botaniche intrapreso da Cesi risulta molto probabile che sia Elisabetta sia Stella si avvicendarono nel corso del primo e secondo decennio del secolo nell’esecuzione di disegni e, di conseguenza, di xilografie, destinate alla pubblicazione del Tesoro messicano inserito in un progetto enciclopedico concepito da Cesi (naturalista e fondatore dell’Accademia dei Lincei) e caratterizzato da una complessa vicenda editoriale (G.B. Marini Bettolo, Una guida alla lettura del Tesoro messicano. Rerum medicarum novae Hispaniae thesaurus, Roma 1992).
Risulta inconciliabile l’attribuzione avanzata da Francesco Solinas (1989) a proposito di un intervento di Elisabetta nei disegni incisi da Leonardo Parasole per l’Herbario nuovo di Castore Durante (Roma, Giacomo Bericchia e Giacomo Tornieri, 1585) e nella illustrazione miniata per la Syntaxis plantaria, datata agli anni 1623-1628; nel primo caso infatti Elisabetta era ancora una bambina, nel secondo era già deceduta, né tanto meno si hanno notizie di lei come miniatrice.
Fonti e Bibl.: G. Baglione, Le vite de’ pittori, scultori et architetti… (1642), a cura di J. Hess - H. Röttgen, I, Città del Vaticano 1995, pp. 394 s., II, 1995, p. XII; G.K. Nagler, Die Monogrammisten, IV, München-Leipzig 1871, p. 89 n. 250; G. D’Adda, Essai Bibliographique sur les modèles de lingerie, de dentelles et de tapisseries, in Gazette de beaux-arts, 1864, vol. 17, Appendice, pp. 430 s.; E. Ricci, Antiche trine italiane. Trine a fuselli (1911), Bologna 2007, pp. 33 s., 37 s., 40, 44, 51, 65-68, 77, 80, 121, 176; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVI, Lepizig 1932, p. 227; A. Lotz, Bibliographie der Modelbücher, Leipzig, 1933, pp. 25, 227-229, 231, 233 s., 244-246, 248; E. Ricci, Merletto, in Enciclopedia Italiana, XXII, Roma 1934, p. 911; F.H. Jacobs, Defining the Renaissance Virtuosa: women artists and the language of art history and criticism, Cambridge, MA, 1997, pp. 2, 6, 59 s., 105-107, 110 s., figg. 16-19; F. Solinas, L’erbario miniato e altri fogli di iconografia botanica appartenenti a Cassiano dal Pozzo, in F. Haskell et al., Il Museo cartaceo di Cassiano dal Pozzo. Cassiano naturalista, Milano 1989, pp. 60-62, 66; E. Lincoln, Models for science and craft: Isabellla Parasole’s botanical and lace illustrations, in Visual resources. An International Journal of documentation, XVII (2001), 1, pp. 1-35; I. Baldriga, L’occhio della lince. I primi lincei tra arte, scienza e collezionismo (1603-1630), Roma 2002, pp. 257-259; F. Di Castro, Isabella Catanea P. e il “Teatro delle nobili et virtuose donne”, in Strenna dei romanisti, Roma 2004, pp. 227-240; Ch.L.C.E. Witcombe, Copyright in the Renaissance. Prints and the Privilegio in Sixteenth-century Venice and Rome, Boston 2004, pp. 209, 212, 293-295; G. Finocchiaro, Cesare Baronio e la tipografia dell’Oratorio. Impresa e ideologia, Firenze 2005, p. 68; V. Cox, Women’s writing in Italy, 1450-1650, Baltimore 2008, pp. 160 s., 240-242, 250 s., 329, 341; L. Tongiorgi Tomasi, “La femminil pazienza”. Women painters and natural history in the seventeenth and early eighteenth centuries, in The art of natural history, a cura di Th. O’Malley - A.R.W. Meyers, New Have 2008, pp. 163 s.; M. Pupillo, Gli incisori di Baronio. Il maestro “MGP”, Philippe Thomassin, Leonardo e Girolama Parasole (con una nota su Isabella/Isabetta/ Elisabetta P.), in Baronio e le sue fonti. Atti del Convegno internazionale di studi, Sora… 2007, a cura di L. Gulia, Sora 2009, pp. 845-849; E. Lincoln, Invention, origin and dedication: republishing women’s in early modern Italy, in Making and unmaking intellectual property, a cura di M. Biagioli - P. Jaszi - M. Woodmansee, London-Chicago 2011, pp. 347, 350-352; R. Vodret, Alla ricerca di “Ghiongrat”. Studi sui libri parrocchiali romani (1600-1630), Roma 2011; M. Pomponi, Gli artisti presenti a Roma durante il primo trentennio del Seicento nei documenti dell’Archivio storico del Vicariato, ibid., p. 494.