MONTEFELTRO, Elisabetta di
MONTEFELTRO, Elisabetta di. – Secondogenita di Federico e di Battista Sforza, nacque a Urbino nel 1462, ereditando il nome dalla bisnonna materna. Come le sorelle Giovanna, Costanza, Aura, Girolama e Agnese, fu battezzata dal cardinale Giovanni Bessarione.
Con la madre si recò spesso in visita ai territori dello Stato urbinate in compagnia dei familiari e della corte, con cui condivise il sostrato culturale; sono noti, inoltre, l’affetto e la tenerezza di Federico nei confronti delle figlie, sentimenti che non contrastavano affatto con l’estrema severità con cui le faceva educare.
Si cominciò a pensare al matrimonio di Elisabetta quando era ancora bambina, in vista di un nuovo legame tra le casate rivali dei Malatesta e dei Montefeltro. L’unione doveva portare da un lato alla risoluzione formale del pluridecennale contrasto fra le due famiglie, dall’altro a una politica di prevenzione contro le mire accentratrici del Papato volte a far sparire le piccole signorie. Tale progetto, che metteva al riparo Rimini e rassicurava Urbino, si concretizzò dunque nella promessa di matrimonio tra Elisabetta e Roberto Malatesta, figlio di Sigismondo Pandolfo, conclusasi nell’aprile 1471 e accompagnata da grandi festeggiamenti di cui la Cronaca di ser Guerriero da Gubbio riporta dovizia di particolari. Se è probabile che l’unione matrimoniale fosse stata negoziata da autorevoli intermediari, quali il marchese di Mantova, Ludovico III Gonzaga, è certo che il duca di Milano, Galeazzo Maria Sforza, scrivendo a Federico da Montefeltro (29 gennaio 1471), aveva già espresso parere favorevole alle nozze.
Nel 1475, quando la promessa sposa uscì dall’età minorile, si prepararono le nozze, celebrate a Rimini nel duomo di S. Colomba il 25 giugno con festeggiamenti protrattisi sino al 2 luglio, cui prese parte la maggior parte delle principali potenze regionali italiane, soprattutto quelle territorialmente vicine, fra Romagna e Marca.
Rispetto all’encomiastica Cronaca di Gaspare Broglio, che maggiorò volutamente le spese (45.000 ducati) delle sontuose nozze per esaltare lo sfarzo della corte malatestiana, la testimonianza più attendibile e quasi coeva all’evento sono gli Ordini e offici del matrimonio medesimo, redatti da un anonimo autore, identificato (Lombardi, 1986, p. 16) in un cortigiano di Leonardo Della Rovere, nipote di papa Sisto IV. Costui trascrisse da una lista ufficiale le spese sostenute per le nozze nella settimana compresa tra il 23 e il 30 giugno 1475 (25.000 ducati circa), i regali ricevuti dagli sposi, gli approvvigionamenti espletati, le portate servite e gli apparati culinari predisposti nel pranzo nuziale, nonché l’elenco degli ambasciatori e delle autorevoli personalità convenute. Il rito matrimoniale, con le cerimonie di accompagnamento e le feste luculliane, era finalizzato non solo a consacrare i legami di una ritrovata concordia fra Malatesta e Montefeltro, ma anche a ostentare magnificenza e potere da parte delle famiglie contraenti. Significativo, al riguardo, è il famoso quanto prolisso Epithalamion pro principibus Roberto Malatesta Arimini domino et Elisabeta Pheretrana ducis Urbini filia pronunciato da Giovanni Mario Filelfo (Turchini, 2001, pp. 191-198) al cospetto degli sposi durante il banchetto nuziale: richiamandosi alla tradizione del genere letterario, ma ben consapevole dell’illustre condizione dei due novelli consorti, Filelfo esaltava il matrimonio appena celebrato, la Montefeltro e la nobile stirpe feltresca, la progenie malatestiana e il valore militare di Roberto, temi ripresi anche negli sfarzosi allestimenti scenici predisposti per l’occasione a Rimini.
Ad appena pochi giorni dalle nozze, il 5 luglio, i festeggiamenti cittadini furono rinnovati per la nascita di Pandolfo, figlio di Roberto Malatesta e della sua concubina, Elisabetta Aldobrandini, nonché erede della signoria. A dispetto degli obblighi coniugali, Malatesta non interruppe la relazione con l’Aldobrandini, che, di fatto, assicurò al casato malatestiano la successione dinastica. Elisabetta ebbe infatti da Roberto una sola figlia femmina, Battista, così chiamata in onore dell’ava materna, che nel 1492 risulta già deceduta.
Roberto Malatesta morì il 10 settembre 1482. Rimasta vedova, Elisabetta si avvalse della facoltà, contemplata negli Statuti cittadini, di far redigere l’inventario dei beni mobili di casa, dal quale risultò una notevole quantità di preziosi in parte ricevuti in dono per le sue nozze; poi, tramite procuratori, diede esecuzione alle volontà testamentarie di Roberto, salvaguardando i propri diritti e provvedendo a recuperare dai lasciti del marito la sua dote, equivalente a 12.000 ducati d’oro, per il cui pagamento, tuttavia, dovette attendere diversi anni.
I dissensi sorti con gli altri eredi del Malatesta, che non riconobbero alla vedova nemmeno la proprietà di alcuni regali nuziali, costrinsero Elisabetta a lasciare Rimini e a ritornare a Urbino, dove si consacrò alla vita religiosa con il nome di suor Chiara Feltria. Qui, imitando la magnificenza paterna, si prodigò per l’edificazione del monastero dell’osservanza di S. Chiara, fondato nel 1456 per volere dello stesso Federico da Montefeltro. Neppure nella terra natia, tuttavia, trovò pace, a causa dell’improvvisa e violenta conquista della capitale ducale da parte di Cesare Borgia (1502). Mentre il fratello Guidubaldo si diede alla fuga per congiungersi alla moglie Elisabetta Gonzaga, già riparata a Mantova, e spostarsi con lei a Venezia, Elisabetta, rimasta a Urbino, fu strappata dal monastero e catturata dal Valentino il quale, tuttavia, poco dopo la scarcerò in cambio del riscatto di due prigionieri spagnoli caduti nelle mani degli urbinati. Ottenuta la libertà, Elisabetta abbandonò la sua patria e si rifugiò a Venezia nel cenobio di S. Francesco della Croce, dove si trattenne fino al novembre 1503; il mese seguente ritornò a Urbino, rientrata nel dominio dei Montefeltro all’indomani del crollo delle fortune borgiane.
Distaccandosi dalle consorelle veneziane, Elisabetta elargì loro, come segno di riconoscenza per l’ospitalità ricevuta, 1000 ducati provenienti da una parte dell’eredità del marito, di cui poteva ormai disporre grazie a un breve emesso dal papa Alessandro VI (13 gennaio 1497). Per la riscossione della restante quota dell’eredità, che avrebbe voluto impiegare nella fondazione di opere pie anche a Rimini, dovette ancora attendere alcuni anni: la situazione di incertezza attraversata dalla città romagnola – occupata dal Valentino (1500), ripresa da Pandolfo (IV) Malatesta (1503), venduta ai Veneziani (1503) e infine tornata alla Chiesa (1509) – determinò un ostacolo nella gestione delle questioni dotali malatestiane e solo dopo essersi appellata direttamente al Consiglio riminese (1514), nel 1515 Elisabetta ottenne il dovuto, equivalente al possesso della tenuta di Castelleale, fondata nel 1385 dal vescovo Leale Malatesta, insieme con molti altri beni. Il ritardo con cui acquisì il residuo della dote la costrinse a desistere dal pio progetto di istituire a Rimini, nel palazzo del Cimiero, da lei ricevuto in permuta dal Comune (2 novembre 1517), un monastero Mendicantium primae regulae come si ricava anche dal breve inviato il 13 dicembre 1517 da papa Leone X al provinciale degli osservanti di Romagna; nel 1530, quindi, il palazzo tornò al Comune.
Intanto Elisabetta si era spostata al convento di S. Bernardino di Ferrara. Qui la sua presenza è ancora attestata il 28 novembre 1525 ed è qui, e non a Urbino, che probabilmente morì sul finire degli anni venti del Cinquecento.
Fonti e Bibl.: Rimini, Biblioteca civica Gambalunga, ms. 1161, G. Broglio, Cronaca universale, cc. 263v-270v; Guerriero da Gubbio, Cronaca, a cura di G. Mazzatinti, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XXI, 4, p. 88; C. Clementini, Raccolto istorico della fondatione di Rimino e dell’origine e vite de’ Malatesti, II, Rimini 1627, pp. 518-538, 670; B. Baldi, Vita e fatti di Federico di Montefeltro duca di Urbino, III, a cura di F. Zuccari, Roma 1824, pp. 229, 277 s.; F. Ugolini, Storia dei conti e duchi d’Urbino, II, Firenze 1859, p. 113; L. Tonini, Rimini nella signoria de’ Malatesti, V, 1, Rimini 1880, pp. 351-372; C. Yriarte, Un condottiere au XVe siècle, Rimini-Paris 1882, pp. 334, 336, 344, 350, 448 s.; R. de La Sizeranne, César Borgia et le duc d’Urbino, Paris 1924, pp. 13, 15 s., 42 s.; G. Franceschini, I Malatesta, Varese 1970, pp. 431 s.; W. Tommasoli, La vita di Federico da Montefeltro, Urbino 1978, pp. 128, 154, 222, 363; F.V. Lombardi, «Liste» di nozze di Roberto Malatesta ed E. da M. (25 giugno 1475), in Romagna arte e storia, XVIII (1986), pp. 13-26; P. Meldini, Le nozze di Roberto e Isabetta, in La Gola, agosto 1988, pp. 5 s.; M. Bonvini Mazzanti, Battista Sforza Montefeltro, Urbino 1993, pp. 101, 149 s., 153 s.; A. Turchini, La signoria di Roberto Malatesta detto il Magnifico (1468-1482), Rimini 2001, pp. 42, 177 s., 182, 191 s., 194, 196, 206 s., 211, 289-294, 427-467, 535; G.L. Masetti Zannini, Le tre Elisabette, in Le donne di casa Malatesti, a cura di A. Falcioni, Rimini 2005, pp. 709-719; A. Falcioni, Malatesta, Roberto, in Diz. biogr. degli Italiani, LXVIII, Roma 2007, pp. 104-107.