ELISABETTA di Carinzia, regina di Sicilia
Nacque, probabilmente a Klagenfurt, intorno al 1300, da Enrico, duca di Carinzia, e da Anna di Boemia.
Come per la maggior parte delle donne del Medioevo, la figura di E. assume concreta dimensione storica solo al momento delle nozze. Nulla conosciamo infatti della sua vita prima del matrimonio con Pietro II d'Aragona, celebrato a Messina con grande solennità il 23 apr. 1323 (Chronicon, XCIII, p. 217).
Non sappiamo neppure quale sottile gioco di preferenze avesse indotto Federico III (II) di Sicilia a portare a termine per il figlio primogenito una trattativa matrimoniale i cui obiettivi, sul piano politico e delle alleanze, rimangono poco chiari. Un accenno di F. Testa (De vita, p. 189), non confermato peraltro da altre testimonianze, lascia intendere che la scelta di E. abbia fatto seguito al fallito tentativo di ancorare le sorti dell'isola all'Impero attraverso l'unione fra Pietro e Beatrice, figlia di Enrico imperatore, andata invece sposa a Carlo II di Pannonia.
Per Federico comunque era certamente necessario stringere legami in grado di assicurargli solidarietà al di fuori delle relazioni tradizionali. In effetti la situazione della Sicilia non era delle più favorevoli: isolata sul piano dei rapporti internazionali, fortemente indebolita dalle ininterrotte ostilità con gli Angioini in corso ormai da un quarantennio, travagliata da violente lotte intestine, l'isola viveva una fase di notevole precarietà della quale il sovrano aragonese dimostrava lucida consapevolezza. Nel tentativo di consolidare la posizione della monarchia e di porre freno alla faziosità della classe baronale, ma certamente anche per avviare il figlio al difficile compito di sovrano, Federico III volle associare al trono il primogenito, che veniva incoronato re a Palermo il 19 apr. 1322 (Chronicon, XCII, p. 214).
A quella data i negoziati per il matrimonio fra Pietro ed E. erano certamente già stati conclusi se è vero che la celebrazione delle nozze avrebbe dovuto essere di poco posteriore alla cerimonia dell'incoronazione. Entrambi gli avvenimenti furono motivo di solenni festeggiamenti, ma divennero soprattutto occasione propizia per accrescere le file della feudalità. Riferisce infatti l'anonimo autore del Chronicon Siculum che re Federico, per celebrare degnamente le nozze del figlio, "invitavit multos suos fideles ad suscipiendum ordinem militarem" (XCIII, p. 216), aumentando così i ranghi di quel baronaggio rissoso e turbolento che, già diviso in due opposti schieramenti, sarebbe stato causa negli anni successivi di uno dei periodi più critici della storia siciliana.
I primi anni di matrimonio trascorsero per E. secondo modelli e ritmi ampiamente codificati: dovere precipuo di una sposa era quello di assicurare al marito una numerosa prole e una regina doveva oltretutto garantire la sicurezza della successione al trono. E., già sovrana di Sicilia, nel febbraio 1324 dava alla luce a Messina un figlio maschio, cui veniva imposto il nome di Federico: purtroppo il bambino moriva appena pochi mesi dopo (ibid., XCIII, p. 217). A questa prima maternità fece seguito la nascita di ben sette figlie femmine (R. Pirro, Chronologia regum, I, pp. XLVI s.); soltanto nel 1338 E. giungeva finalmente a rendere certa la discendenza maschile alla dinastia aragonese di Sicilia. Il 4 febbraio di quell'anno nacque infatti a Catania l'erede tanto desiderato, il cui arrivo si colorì immediatamente di un significato soprannaturale e miracoloso cui si attribuirono i segni di un evento preannunciato.
Si racconta infatti che i sovrani di Sicilia, disperando di poter assicurare la continuità della monarchia, si fossero recati a Palermo per implorare "beatum Gerardum ut a Domino filium exoraret". Si dice anche che la regina ne fosse stata così rassicurata: "antequam Panormo discedas, concepturam te filium scias, cui Ludovico nomen imponas" (O. Gaetani, Vitae sanctorum siculorum, II, p. 242). Ad un anno dalla nascita di Ludovico E. dava ancora alla luce Giovanni, morto in tenera età, e nel 1342 partoriva un altro figlio maschio che nel 1355, col nome di Federico IV (III), sarebbe divenuto re di Sicilia (R. Pirro, Chronologia regum, I, p. XLVI).
Intanto, il 25 giugno 1337, moriva Federico III e le tensioni latenti nel Regno esplosero con inusitata violenza. Si apriva per la Sicilia una fase di incertezza politica, aggravata da pesanti condizioni economiche e da instabili rapporti di forza tra i due gruppi in cui era divisa la classe feudale. Sembra che l'influenza di E. sulle decisioni di Pietro II sia stata in quegli anni determinante: la simpatia e la benevolenza che ella prodigò a Matteo e Damiano Palizzi, esponenti senza scrupoli di una potente famiglia messinese che insieme con i Chiaramonte costituivano il polo aggregante della cosiddetta parzialità latina della feudalità, ebbe certamente un peso decisivo nel favore che costoro seppero conquistarsi presso il re, di cui divennero in breve i più temuti consiglieri.
Uomo debole e di scarse iniziative, Pietro II si lasciava d'altronde facilmente condizionare dalle opinioni di coloro che lo circondavano: la riappacificazione col fratello Giovanni e la distensione dei rapporti con Blasco Alagona, già fedele ed abile collaboratore del padre ed esponente di prestigio della fazione catalana, segnarono infatti la sconfitta rovinosa dei Palizzi ed un mutamento di rotta nella politica della monarchia. Non restò ad E. che intervenire tempestivamente presso il marito perché i suoi protetti avessero almeno salva la vita. Riusciva così ad ottenere che i due fratelli, nel 1340, lasciassero la Sicilia per Pisa (M. da Piazza, Historia Sicula, I, XIV, p. 556).
Con la morte di Pietro II, avvenuta nell'agosto 1342, E. restò tagliata fuori dalla gestione politica del Regno. Vicario generale fin dal 1340 e, dopo la morte del fratello, tutore del piccolo Ludovico, il duca Giovanni prese in mano con fermezza le redini della situazione, giungendo ad assicurare al paese un periodo di stabilità e di relativo benessere. Istigata dai Palizzi, ai quali restava precluso il ritorno in patria, E. esigeva comunque che il figlio, malgrado la tenera età, venisse incoronato re di Sicilia: ciò nel tentativo di bilanciare il potere del cognato e di tenere salda intorno all'erede legittimo della corona la fedeltà dei sudditi (ibid., XXIV, p. 557).
Gli ultimi anni della vita di E. appaiono febbrili e segnati dal trascorrere precipitoso di eventi caotici e contraddittori. Dopo l'improvvisa scomparsa del duca Giovanni, morto nell'aprile 1348 di peste nera, rientrava nell'isola Matteo Palizzi, immediatamente richiamato in patria da E.; intanto le ostilità latenti all'interno della classe baronale sfociavano nell'esplosione di una vera e propria guerra civile. Le iniziative di E. furono tutte finalizzate a capovolgere a favore dello schieramento guidato da Palizzi e Chiaramonte una situazione che, durante il vicariato di Giovanni, aveva visto predominare Blasco Alagona e i baroni della fazione catalana. A quest'ultimo del resto il vicario aveva particolarmente raccomandato re Ludovico e aveva affidato la gestione politica e amministrativa del Regno (ibid., I, passim).
Da Messina, dove si era recata approfittando della minore virulenza della peste subito dopo la morte del vicario, E. si dette da fare per ritessere le trame della riconquista del potere da parte dei suoi protetti. Riuscì abilmente a sottrarre a Blasco la tutela del piccolo re e incitò alla sommossa il popolo della città; elusi gli ordini dell'Alagona, che voleva riportarla insieme con Ludovico a Catania, nel mese di luglio 1348 si trasferì con uno stratagemma a Montalbano, luogo in cui le era più facile incontrare il Palizzi per mettere a punto una strategia volta alla definitiva sconfitta della fazione avversa. Sempre a Messina, ormai apertamente schierata dalla parte dei latini, era intenta, qualche mese dopo, ad organizzare il matrimonio fra Matteo e la tedesca Margherita, sua parente e già nutrice del giovane Ludovico, ai quali affidò la custodia del figlio (ibid., passim).
Furono mesi convulsi, durante i quali si ha l'impressione che E. si adoperasse per raggiungere un peso e un'importanza politica che né re Pietro, né il vicario Giovanni le avevano in alcun modo trasmesso e riconosciuto. La convocazione, nel 1349, di un Parlamento a Lentini nell'estremo tentativo di organizzare una vasta intesa contro Blasco Alagona è l'ultimo evento importante del quale risulta protagonista. Subito dopo le sue tracce si perdono. Sembra infatti che sia morta in un giorno imprecisato fra il 1349 e il 1350, consapevole, sostiene Isidoro La Lumia, "de' mali che aveva procacciato e fomentato ella stessa" (Storie siciliane, II, p. 101).
Volle essere sepolta a Messina in S. Francesco, chiesa che aveva eretto a cappella reale e in cui nel 1377 venne tumulato anche il suo ultimo figlio, re Federico IV (R. Pirro, Sicilia sacra, I, 1, not. 2, p. 414).
Fonti e Bibl.: Michaelis Platiensis Historia Sicula, I, in R. Gregorio, Bibliotheca scriptorum, qui res in Siciliae gestas sub Aragonum imperio retulere, I, Panormi 1791, pp. 541-74; Nicolai Specialis Historia Sicula, ibid., p. 482; Anonymi Chronicon Siculum ab anno DCCCXX usque ad MCCCXXVIII, ibid., II, Panormi 1794, pp. 214-17; Anonymi Historia Sicula vulgari dialecto conscripta ab anno MCCCXXXVII ad MCCCCXII, ibid., pp. 273-80; O. Gaetani, Vitae sanctorum Siculorum ex antiquis Graecis Latinisque monumentis…, II, Panormi 1657, p. 242; F. Maurolico, Sicanicarum rerum compendium, Messinae 1716, pp. 171, 176, 180; T. Fazello, De rebus Siculis decadis secundae, a cura di V. M. Amico et Statella, III, Catanae 1753, L IX, pp. 85, 89, 91, 93-96; F. Testa, De vita et rebus gestis Federici II Siciliae regis, Panormi 1775, pp. 189 s.; doc. XLV, pp. 284 s.; R. Pirro, Chronologia regum penes quos Siciliae fuit imperium post exactos Saracenos, in Sicilia sacra disquisitionibus et notitiis illustrata, Panormi 1783, pp. XLVI s., 414; G. E. Di Blasi, Storia del Regno di Sicilia dall'epoca oscura e favolosa sino al 1774, II, Palermo 1846, pp. 507, 522, 527 ss., 541; B. Caruso, Storia di Sicilia, III, Palermo 1875, pp. 154-69; C. D. Gallo, Gli annali della città di Messina, Messina 1877, pp. 123, 198, 204, 213-16; S. V. Bozzo, Note stor. sicil. del sec. XIV, Palermo 1882, pp. 509-12, 516; G. La Mantia, Il testamento di Federico II aragonese, re di Sicilia, in Arch. stor. sicil., II-III (1936-37), pp. 40 s.; V. D'Alessandro, Politica e società nella Sicilia aragonese, Palermo 1963, pp. 70-82; S. Tramontana, Michele da Piazza e il potere baronale in Sicilia, Messina 1963, pp. 20, 53, 111 n., 168, 187-205; I. La Lumia, Storie siciliane, II, Palermo 1969, pp. 9-101; R. Gregorio, Considerazioni sopra la storia di Sicilia dai tempi normanni sino ai presenti, Palermo 1972, pp. 228-31, 261 -66; F. Giunta, Aragonesi e Catalani nel Mediterraneo, I, Dal regno al viceregno in Sicilia, Palermo 1973, pp. 25, 29, 31 s.; J . Zurita, Anales de la Corona de Aragón, a cura di A. Canellas Lopez, Zaragoza 1978, III, pp. 151 s., 461 s., 517; IV, pp. 137 ss., 179-83; F. Giunta, La Sicilia aragonese, in Storia di Sicilia, III, Napoli 1980, pp. 331, 336; E. Pispisa, Messina nel Trecento. Politica, economia, società, Messina 1980, pp. 88, 136, 162-205; I. Peri, La Sicilia dopo il Vespro. Uomini, città e campagne (1282-1376), Bari 1982, pp. 150, 173, 181, 183 s., 190 s.