CAMINER, Elisabetta
Nacque a Venezia il 29 luglio 1751 da Domenico, storico e giornalista assai attivo ma di modeste ambizioni, e da Anna Meldini. Dopo aver ricevuto un'educazione sommaria da parte della madre, la C. fu affidata alla guida di una conoscente perché imparasse un mestiere. Non aveva ancora dodici anni quando cominciò a praticare la bottega di una crestaia, destinata a far la modista; bastò tuttavia a sconvolgere i piani materni la sua precoce intelligenza e l'avida curiosità che trovavano alimento nei molti romanzi, soprattutto francesi, che erano parte importante della biblioteca paterna. La C. così proseguì il suo anomalo corso di studi, imparando pian piano il francese per avvicinare direttamente i libri più amati, coltivando in segreto la sua passione poetica e letteraria.
L'aver affrontato ben presto la vita fuori di casa la maturò anzi tempo; e quando la madre s'accorse che evitava il lavoro per inseguire i primi sogni d'amore e decise di sottoporla a un più assiduo controllo, la C., costretta in casa, poté dedicare maggior tempo agli studi e alle letture preferite, cominciando contemporaneamente a collaborare con la piccola azienda letteraria paterna. Dapprima soltanto copista, la fanciulla dimostrò ben presto di avere più alte ambizioni e ingegno assai vivace provandosi in traduzioni, rifacimenti, compilazioni e persino in qualche creazione poetica.
Venne il giorno del debutto e nel 1769, mentre al teatro di S. Luca si recitava con successo L'onesto colpevole ossia L'amore filiale di Fenouillot de Falbaire in una sua traduzione, in una raccolta padovana di Poesie di diversi autori in morte della contessa Antonia Dondi Orologio-Borromeo comparivano a stampa i suoi primi versi, e il Colombani pubblicava in un volumetto un'altra traduzione: l'Efemia ovvero Il trionfo della Religione del D'Arnaud (Venezia 1769).
La giovane età, l'avvenenza e l'ingegno della C. bastarono a concentrare su di lei la curiosità e l'interesse del pubblico veneziano, avvezzo ormai a inseguire scrittori alla moda e ad appassionarsi alle polemiche letterarie e teatrali. Il debutto d'altronde si presentava insolitamente aggressivo e polemico: da un lato infatti la C. prendeva apertamente partito per la più spregiudicata cultura d'oltralpe, sia segnalando sull'Europa letteraria - il nuovo giornale paterno iniziato nel '68 - alcune opere di Voltaire, sia traducendo alcuni esempi della nuova comédie larmoyante;dall'altro poi, scegliendo i generi più in voga - dal giornalismo alla commedia - manifestava una tenace e decisa volontà di successo e di affermazione autonomi.
Nel '68 inoltre la C. aveva iniziato una fitta corrispondenza - durata poi parecchi mesi - con il marchese Francesco Albergati, dalla quale era nato un tenero e poi appassionato amore che rappresenterà per lei la speranza di una rapidissima ascesa sociale e il segno delle proprie possibilità: ma l'amore e il progettato matrimonio svanirono al primo incontro, trasformandosi in una ininterrotta e profonda amicizia. Il matrimonio tuttavia significava per la C. la conquista dell'indipendenza e così, poco dopo, nel 1769, si sposò con il medico vicentino Antonio Turra, intelligente e appassionato studioso di botanica, autore di numerosi studi scientifici. Il matrimonio comunque non cambiò la vita della C., la quale continuava, anzi, con maggiore entusiasmo, la sua attività letteraria, collaborando all'Europa letteraria - che, grazie soprattutto all'assidua collaborazione di Alberto Fortis, acquisterà una più originale e precisa fisionomia -, traducendo commedie francesi e componendo arcadiche rime.
L'incontro col Fortis fu senza dubbio l'avvenimento più importante della biografia culturale della C.: l'abate padovano che arrivava al giornalismo da un'inquieta esperienza spirituale saprà dare più solidi e organici fondamenti ideologici alle ansie di rinnovamento e di apertura europea della scrittrice, maturate attraverso le appassionate ma disordinate letture della giovinezza. La C. riuscirà nel corso di questi anni a dare coerenza e organicità alla sua cultura di autodidatta, diventando una dei protagonisti di quell'illuminismo veneto e veneziano, i cui contorni sono stati efficacemente delineati dal Torcellan: anche per il Fortis "l'incontro con la congeniale Elisabetta Caminer segnò... l'inizio di una comunità d'affetti e d'intenti che resistette per vent'anni al logorio del tempo e delle vane loro vicende, e che sempre li tenne uniti, con il garbo e la riservatezza dell'intelligenza moltiplicati nei momenti difficili, idillio assai tipico dell'atmosfera e del tempo, misto di sentimento e d'attrazione spirituale" (p. 277).
L'Europa letteraria, che era nata come uno dei tanti giornali d'informazione letteraria e bibliografica, si trasformò progressivamente in un foglio di tendenza, sempre più apertamente impegnato a diffondere la letteratura moderna d'oltralpe e a riunire attorno a un comune programma di spregiudicato aggiornamento le forze migliori dell'"intelligenza" italiana contemporanea: anche in questa continua tessitura di rapporti la C. seppe assumere una parte di primo piano trasformando il suo salotto in un centro di raccolta non solo mondano.
Quando il padre penserà di recuperare il controllo del "suo" giornale allontanando il Fortis, ormai troppo invadente, sarà tardi. Infatti basterà la figlia a contrastare la progettata, smobilitazione ideologica e a mantener vivo il progetto diverso elaborato in comune; se ne accorgerà tra gli altri il Cesarotti, il quale inviterà la Caminer a superare l'originaria impostazione puramente informativa per dare più spazio, come nei "magazzini" stranieri, alle proprie scelte e alle proprie idee, inserendo "quelque chose de votre façon qui mettrait vos talens dans un plus grand jour".
L'Europa letteraria pertanto anche dopo il '70, quando il Fortis si allontanerà da Venezia, continuerà a combattere i pregiudizi e le chiusure della cultura contemporanea, con la coscienza che fosse necessario lottare per difendere con decisione la libertà delle proprie scelte letterarie e ideologiche. Non è un caso pertanto che all'inizio degli anni Settanta appaiano alcuni violenti libelli con lo scopo di ridicolizzare e avvilire il lavoro letterario e intellettuale della C.: Carlo Gozzi non le perdona la sua difesa dell'immorale "commedia lagrimevole", Tommaso Antonio Contini si inalbera di fronte alla scarsa pietà religiosa e alla sua insofferenza per le dispute teologiche, Antonio Piazza infine, mal sopportando la spregiudicatezza della condotta e la libertà del suo spirito critico, la farà protagonista di uno sferzante raccontino dei suoi Castelli in aria (s.l. né a.), La poetessa, tracciandone un ritratto niente affatto benevolo: "questa decima Musa, comparisce di tanti ghiribizzi adornata, che pare una Bottega portatile, di galanterie all'ultima moda. L'aria sprezzante, il portamento virile, una mano in un fianco, e l'altra in un moto perpetuo, per serrar ed aprire il ventaglio, parer la fanno piuttosto un granatiere sull'armi, che una Poetessa da nozze... Mostrata a dito sino dagli artigiani volgari, e dalle donnette plebee, non sa più dove dare un passo, senza suscitar i motteggi, le risate, e le ingiurie, che di mira la prendono. Si giunse persino alla temerità di credere che quanto v'ha di cattivo nelle opere sue, sia parto legittimo della sua fantasia, e che tutto il buono che trovasi nelle medesime sia una collezione di amorosi regali" (p. 19-20).
Mentre divampano le polemiche la C. continuava in un'attività intensa e feconda: nel 1772 il tipografo veneziano Pietro Savioni pubblicò quattro volumi di Composizioni teatrali moderne da lei tradotte, che raccoglievano ben diciassette testi a conferma della continuità di un impegno che non si fermava alle stampe, ma invadeva le scene conquistandosi un pubblico via via più numeroso. Infatti, mentre i letterati avversavano il dramma borghese, la C. si difendeva ricordando che "la moltitudine... unicamente condotta dal proprio buonsenso si affollò a' Teatri, s'intenerì, chiese la replica de' nuovi drammi, vi ritornò sovente, e colla insistenza dell'applauso provò dimostrativamente agli studiosi disapprovatori che l'acutezza dell'ingegno è fallace quantunque volte per qualunque modo fa torto alla rettitudine del cuore" (vol. I, p. IX).
Come traduttrice d'altronde essa non si preoccupò tanto di una scrupolosa fedeltà all'originale, quanto invece di svolgere un'efficace mediazione tra l'originale e il pubblico italiano, giacché quel che conta non è solo il fascino letterario di quei testi, ma piuttosto la funzione pedagogica e ideologica che essi possono e debbono svolgere; infatti, affermava: "non saprei come credere pernizioso quel genere di spettacolo per cui 'l vizio fosse messo in abbominazione dal confronto medesimo dell'afflitta virtù... Direi che se dalle Galere si possono trovare esempi di Eroica virtù, dalle Galere più popolate e più vicine al minuto popolo che non sono i Troni si debbono forse a preferenza cavare". Così del Disertore di Louis-Sébastien Mercier la C. mutò perfino il finale, perché "noi non siamo avvezzi alla durezza sanguinaria contro gli infelici che disertano", ma "a Venezia, dove lo feci rappresentare l'anno scorso, fu replicato per 23 sere consecutive" (p. XIII).
Continuava così la goldoniana polemica contro le commedie all'improvviso e le stravaganze delle "fiabe", e che ricollegarsi alla lezione del "ristauratore della Scena Italiana" fosse una scelta programmatica della C. lo provano, oltre i numerosi richiami a quella esperienza che troviamo nei suoi articoli, la pronta traduzione, nel 1772, de Le bourru bienfaisant diventato così Ilcollerico di buon cuore.
Due anni dopo soltanto, comincia a uscire una Nuova raccolta di composizioni teatrali (Venezia 1774-1776) questa volta in sei volumi con ventiquattro testi non solo francesi ma anche tedeschi, inglesi, danesi e russi, tutti tradotti dalla C. che si avvaleva di precedenti traduzioni francesi: vinto il primo scontro per il rinnovamento del teatro veneziano, la commedia lagrimevole si conquistò un suo pubblico e il vuoto lasciato dalla partenza del Goldoni venne prontamente colmato. In questi anni la C. in seguito al matrimonio col Turra si era trasferita a Vicenza, continuando tuttavia un'intensa collaborazione all'Europaletteraria, nellaquale anzi le più generiche ansie di rinnovamento culturale si precisavano in una sempre meno velata adesione alla filosofia dei lumi: Voltaire soprattutto si impose come un modello da difendere ed esaltare, mentre più ampia e articolata diventava l'influenza del mondo culturale europeo e più organico e continuo l'intervento dei collaboratori italiani. Il disaccordo della C. con le iniziali direttive paterne si accentuava così a ogni numero, in quanto il periodico d'informazione tendeva a diventare uno strumento assai più personale, senza tuttavia riuscire a liberarsi del tutto dei vincoli dell'impostazione originaria.
Nel maggio 1773 L'Europa letteraria venne chiusa mentre contemporaneamente si annunciava per l'anno seguente l'uscita del Giornale enciclopedico opera sempre dei Caminer, padre e figlia. Il Giornale continuava il precedente, soltanto ritoccandone la struttura in vista di un allargamento dell'orizzonte culturale e del fronte dei collaboratori.
Tra i primi ricomparirà il Fortis e nel corso di qualche anno troveremo le firme di studiosi come il Sibiliato e Giulio Trento, lo Spallanzani e Antonio Dondi dall'Orologio, Lorenzo Tornieri e Clemente Bondi, il Lorgna e il Toaldo. Ma perché il Giornale enciclopedico acquisti tutt'intera la sua autentica fisionomia, per cui spicca tra gli altri coetanei, bisognerà che il Caminer padre rinunci alla direzione, lasciando finalmente autonoma la C., e che a questa ormai matura e decisa si affianchi l'avvocato vicentino Giovanni Scola, uno dei più lucidi e radicali ingegni dell'Illuminismo veneto.
Dal 1777cosìil Giornale sistamperà a Vicenza sotto la vigile sorveglianza della C., la quale anzi, qualche anno dopo, nel 1780, convinto il marito all'impresa, aprirà a Vicenza, in via Canove, una tipografia Turra, diventandone anche l'editore e stampatore.
Il progetto della C. in questo modo si compie in un disegno organico che prevede un impegno culturale ed editoriale di più vasto respiro, collegato e non solo idealmente con le forze più vive e battagliere della nuova cultura italiana. Si infittiscono quindi i rapporti con letterati e scienziati e si cercano nuovi centri di diffusione, nel Sud per esempio.
Di fronte a queste ambizioni viene meno a un tratto - nel 1781 - l'accordo con lo Scola, evidentemente restio a lasciarsi coinvolgere in tanto ottimismo, mentre subito dopo si rinsaldano i rapporti col Fortis, col quale la C. fonderà una vera e propria società di gestione che durerà dal 1782 al 1787: "l'affare del mio giornale - scrive in quei giorni al conte Pagani Cesa - è divenuto serissimo: cambiamenti decisivi, una società formata, un carteggio più esteso assai, tutto questo unito alle mie infinite altre occupazioni fan di me una schiava" (Bassano, coll. Gamba).
Già lo Scola aveva progressivamente trasformato gli estratti delle novità librarie in articoli originali, distruggendone lo schema tradizionale, e contemporaneamente aveva affrontato temi socialmente più vivi affrontando questioni di diritto. La definitiva estromissione del padre consentirà poi alla C. di formulare più puntuali progetti: "s'egli è vero che le cognizioni dell'intelletto, per una certa concatenazione di cause e d'effetti, di fisico e di morale, sieno utili al cuore, e che il sapere contribuisca alla felicità, un repertorio di siffatte cognizioni, una relazione esatta e seguita del loro stato e de' loro progressi, un mezzo onde conoscer quell'opere che i vari amatori possono quindi procurarsi, un'unione de' diversi pensieri di genti colte, non sarà per avventura inutile affatto" (foglio volante, 1777, ora in M. Berengo, Giornali..., p. 386).
Per segnalare l'avvenuto cambiamento nella direzione in seguito alla società col Fortis il Giornale dal gennaio 1783 diventerà il Nuovo Giornale enciclopedico, "unodei periodici più brillanti e informati della cultura settecentesca" (Torcellan, p. 293).Non basterà neppure l'abbandono dell'amato Fortis a far desistere la C. che resisterà fino alla fine del 1789prima di cambiare rotta: gli avvenimenti di Francia segnano drammaticamente la fine di ogni illusione riformatrice, e d'altra parte l'impresa tipografica era in situazione di grave dissesto.
Il Nuovo Giornale enciclopedico d'Italia che esce dal 1790, nuovamente stampato a Venezia, non riuscirà più a trovare la vivacità e il coraggio dei suoi antecedenti contentandosi di raccogliere soprattutto notizie erudite e scientifiche, le sole delle quali sembra possibile fidarsi in un momento di profondi e radicati rivolgimenti che di fatto smentiscono l'utilità di quella battaglia ideale nella quale la C. si era sentita impegnata per più di vent'anni.
Arroccata su posizioni sempre più difensive, incapace di confrontarsi con gli avvenimenti che la sovrastano essa tuttavia non desisterà fino all'ultimo, dimostrando cosìancora una volta la tenace volontà e la caparbia decisione che avevano fatto di lei una protagonista del secondo Settecento veneto.
Certo nei giornali la C. rivelò la parte migliore di sé; tuttavia nel corso degli anni Ottanta, nello sforzo di dar forma compiuta al suo disegno organizzativo e ideologico, la ritroviamo impegnata in molte altre iniziative, tutte in qualche modo ricondotte al medesimo obiettivo riformatore. Persino le sue poesie d'occasione, pur povere d'autentica invenzione, declamavano "che il merito, ovunque splenda, / stimar si deve... / che l'Uomo è all'Uomo egual, benché non scenda / da favorito in Ciel sangue d'Eroi; / che sol Virtù che le nostr'alme accenda / può differenza stabilir fra noi" (Poesie per le... nozze del Sig. Co. Nicolò Nievo con la Sig.ra Co. Bernardina Ghellini..., Vicenza 1774, p. 19); e il suo gusto di lettrice sensibile saprà riconoscere il timbro autentico dell'Ossian del Cesarotti, dei versi del Monti e delle odi del Parini, che a lei, "che vaga e bella, in gonna / dell'altro sesso ancor le glorie ottiene, / fra le Muse immortali / con fortunato ardir spiegando l'ali", invierà La Magistratura perché l'inserisca nella raccolta Tributo alla verità offerta a Camillo Gritti (Vicenza 1788).
Anche l'Alfieri troverà in lei una lettrice attenta e pronta a riconoscere che "per la sola forza del suo immaginare, per l'artifizio della condotta, per la novità delle idee, per la cognizione profonda di quanto appartiene al suo soggetto, interessa, scuote, domina lo spirito e il cuore" (Lettera... sopra le prime tragedie di Alfieri, nei Saggidell'Accad. degli Unanimi, I, Torino 1793, p. 77). Le sue stesse poesie d'altronde non sono prive di qualche momento di grazia, quando vagheggia con sospirosa nostalgia l'amata Venezia, o compone un poemetto, Ilserto (Vicenza 1791), per offrirlo a un'amica.
Risultati apprezzabili raggiunge anche come traduttrice; oltre i drammi vanno ricordati almeno i tre volumi delle Opere (Vicenza 1781) e gli Idilli (Livorno 1787) di Salomon Gessner, la Nuova raccolta di novelle morali del Marmontel in cinque volumi (Vicenza 1783), il Quadro della storia moderna... sino alla pace di Westfalia del Mehegan (Parigi, ma Vicenza, 1780), oltre a una serie di operette pedagogiche di madame de Beaumont, che mostrano da un lato l'ampiezza dei suoi interessi, dall'altro l'impegno con cui si dedicò all'attività editoriale.
Quanto l'intensa attività di traduttrice della C. abbia inciso nelle vicende del teatro italiano è problema che meriterebbe un discorso specifico; il successo che le commedie da lei tradotte ebbero sulle scene veneziane sta a dimostrare che in realtà esse rispondevano a una diffusa esigenza, com'è confermato dalla fortuna della riforma goldoniana e di una comédie larmoyante italiana. Durante il triennio giacobino, poi, un po' ovunque in Italia e soprattutto nell'effimera municipalità giacobina veneziana, le traduzioni della C. costituirono una parte consistente ed essenziale del repertorio del teatro democratico. Nel clima di entusiasmo di quei giorni mentre al teatro si assegnava il compito di educare il popolo alla libertà la commedia borghese sembrò la più adatta a svolgere questa funzione didattica e la C. ritrovò l'onore delle cronache; i patrioti infatti riconobbero la continuità ideale che legava l'impegno di lei alle loro iniziative riformatrici e resero omaggio alla "ragionevolezza della benemerita Elisabetta Caminer" contrapponendo la "cittadina colta" alla fatua letterata del tempo.
Negli anni più intensi del soggiorno vicentino, costruitosi un teatrino in casa, si dedicò anche a insegnare recitazione a un gruppo di fanciulli, ed "è fama che in tal mondo giungesse a formare attori eccellenti, i quali, in seguito, calcarono applauditi le scene" (Malamani). Circondata da un folto gruppo di amici e di ammiratori che animavano la conversazione della sua casa ospitale, tra cui bisogna ricordare almeno il Bèrtola, Francesco Gritti, Gasparo Gozzi, Giuseppe Giupponi e Giuseppe Manzoni oltre ai più numerosi vicentini da Girolamo Thiene ad Agostino Vivorio, da Giambattista Fracanzani a Lorenzo Tornieri, la C. visse dunque a Vicenza un decennio di attività febbrile e feconda, quando improvvisamente, poco piùche quarantenne, colpita da un male inguaribile (un tumore alla mammella), si spense dopo molte sofferenze, a Orgiano, il 7 giugno 1796.
Neppure la morte bastò a por fine alle chiacchiere e alle maldicenze che l'avevano accompagnata in vita: così si insinuò che in punto di morte, pentita, chiedesse di riavvicinarsi alla Chiesa, dalla quale del resto mai si era apertamente allontanata, o, al contrario, che fino alla fine si beffasse della religione; oppure, con fantasia romanzesca, si volle a ogni costo trovare l'origine dei suoi mali in una vita sregolata e viziosa favoleggiando di un pugno mortale che ella avrebbe ricevuto da un soldato ubriaco nei camerini di un teatro.
Fonti e Bibl.: Pochissime sono le lettere a stampa della C. e sparse in varie pubblicazioni: una al Bertola, è in Lettere inedite di alcune donne illustri italiane, Bassano 1848, pp. 9 s.; altre lettere mss. si trovano alla Biblioteca comunale di Bologna (Fondo Albergati), alla Biblioteca comunale di Bassano (Collezioni Gamba e Remondini)e al Civico Museo Correr di Venezia (Collezione Moschini). Varie le testimonianze sulla C. dei contemporanei: C. Gozzi, Manifesto... dedicato a' magnifici signori giornalisti..., s.n.t.; T. A. Contini in F. A. Pluquet, Dizionario delle eresie, VI, Venezia 1772, p. VI; M. Cesarotti, in Opere, XXXV, Firenze 1811, pp. 293-311; V. Monti, Epistolario, a cura di A. Bertoldi, I, Firenze 1927, pp. 123-125. Sulla C. si veda: G. A. Moschini, Della letter. ven. del sec. XVIII, IV, Venezia 1808, pp. 125 s.; A. Levati, Donne illustri, I, Milano 1821, pp. 185 ss.; B. Gamba, Alcuni ritratti di donne illustri delle prov. venez., Venezia 1826, pp. 31 s.; G. B. Baseggio, in E. De Tipaldo, Biogr. degli italiani illustri..., V, Venezia 1840, pp. 461-464; P. L. Ferri, Biblioteca femminile italiana, Padova 1842, pp. 88-93;G. Dandolo, La caduta della Repubblica di Venezia, Venezia 1855, pp. 424 s.;R. Amari, E. C. Turra, in Berico, 10 apr. 1859, p. 309; E. Masi, La vita i tempi gli amici di Francesco Albergati, Bologna 1878, pp. 205-233; G. Franceschini, E. C., in Conversazioni della Domenica, 18 dic. 1887;V. Malamani, Una giornalista veneziana del secolo XVIII, in Archivio veneto, II (1891), pp. 251-275 (rist. in Frammenti di vita veneziana, Roma 1893);T. Concari, IlSettecento, Milano s.a. [1900], pp. 145, 147; Memorie dell'I. R. Accademia... degli Agiati in Rovereto…, Rovereto 1901, pp. 511 s.; S. Rumor, Gli scrittori vicentini..., I, Venezia 1905, pp. 336-339;L. Lattes, Una letterata veneziana del sec. XVIII (E. C. Turra), in NuovoArchivio veneto, n.s., XXVII (1914), pp. 158-190;S. Stocchiero, La redazione di un giornale settecentesco, ibid., n.s., XL (1920), pp. 173-181; S. Gugenheim, Drammi e teorie drammatiche di Diderot, in Etudes italiennes, III (1921), p. 166; G. Menicucci, Una letterata veneziana del '700, in Noi e il mondo, XVI (1926), pp. 835-840; F. Fattorello, Il giornalismo veneto nel '700, Udine 1933, passim;E. Levi-Malvano, La fortuna d'una teoria drammatica in Italia, in Giornale stor. d. letter. ital., CV (1935), pp. 60-103; R. Saccardo, La stampa periodica veneziana fino alla caduta della Repubblica, Padova 1942, passim;G. Natali, IlSettecento, Milano 1955, pp. 165 s., 180; M. Berengo, La società veneta alla fine del Settecento, Firenze 1956, ad Indicem;A. Pace, B. Franklin and Italy, Philadelphia 1958, p. 83; M. Berengo, Giornali veneziani del Settecento, Milano 1962, pp. LI-LVIII e passim;N. Mangini, Considerazioni sulla diffusione del teatro tragico francese in Italia nel Settecento, in Problemi di lingua e letteratura italiana del Settecento, Wiesbaden 1965, pp. 153-155; Z. Muljačić, Le amicizie letterarie italiane di Miho Sorkočević, ibid., pp. 164 s.; R. M. Colombo, Lo Spectator e i giornali veneziani del Settecento, Bari 1966, pp. 19 s., 34, 60; W. Binni, IlSettecento letterario, in Storia della letter. italiana, Il Settecento, Milano 1968, pp. 649 s.; F. Diaz, Politici e ideologici, ibid., pp. 210 s.; G. Torcellan, Settecento veneto…, Torino 1969, pp. 194-198, 277 ss.; 293 ss.; F. Piva, Contributo alla fortuna di Helvétius nel Veneto del secondo Settecento, in Aevum, XLV (1971), pp. 454-459; Biografia universale antica e moderna, IX, Venezia 1823, pp. 194 s.; Enc. dello Spettacolo, II, coll. 1577 s.