ELIOPOLI di Siria
Fu così denominata dai Greci, che identificarono Baal con Elios, il Sole, la città siriana nota ancora oggi come Bá′albek (v.). La sua origine e la sua storia più antica, sono oscure. Fu dichiarata colonia romana all'inizio del sec. I d. C; restano pochi avanzi del teatro e le cospicue rovine dell'acropoli.
È questa la più grandiosa costruzione romana pervenutaci; succedette forse a un più antico luogo di culto della popolazione fenicia, eretto in onore di una triade eliopolitana, identificata poi con Giove, Mercurio e Venere. Sopra una piattaforma tutta in blocchi, intersecata da ampî corridoi a vòlta, vera collina artificiale di ardita soluzione tecnica, s'innalzano, coprendo una superficie di circa sei ettari, due templi e i loro annessi; il più grande di essi è preceduto da due vasti cortili, in uno dei quali, rettangolare, circondato da gallerie e da esedre, sorgeva l'ara per i sacrifici (nel sec. IV fu ridotto da Teodosio in basilica cristiana), mentre l'altro, esagono, costituiva quasi un atrio, nonché da ampî propilei ai quali si giungeva dal basso per mezzo di una gradinata monumentale.
Il tempio maggiore, detto di Giove (metri 80 × 48), si eleva su un podio alto dal suolo metri 13,50; era periptero, ma delle 54 colonne che lo circondavano solo sei del lato meridionale restano in piedi, composte di tre enormi tamburi lisci sovrapposti: sono alte m. 20 e le sormonta un cornicione di cinque metri d'altezza. Al suo confronto sembra quasi piccolo il secondo tempio, detto di Bacco, collocato sul margine sud della terrazza; esso è però molto meglio conservato dell'altro ed è riccamente decorato; essendo anch'esso periptero (possedeva in origine 42 colonne alte metri 18,20), aveva la vòlta del corridoio perimetrale coperta da grandi lastre di pietra finemente scolpite a cassettoni con figure di divinità, fogliame, viticci, ecc. Il grande portale, che nell'architrave presenta un'aquila che adunghia un caduceo, è aperto fra due piloni in cui sono praticate delle scale che salgono fino in alto. La mole dell'acropoli appare in tutta la sua grandiosità visitando la muraglia di sostruzione nell'angolo NO., ove, tra gli altri, sono messi in opera i famosi tre blocchi (il trilithon degli antichi) lunghi oltre m. 19, alti 4,50 e larghi 3,75, pari ciascuno a circa mc. 300 e a 700 tonnellate, e pure così ben connessi che tra le fessure non passa la più piccola cosa. Un quarto di questi blocchi si vede ancora nelle cave, nelle quali fu abbandonato dopo il taglio. La costruzione, iniziata forse da Antonino Pio, fu portata a termine da Caracalla. Essa ha costituito sempre, anche in antico, una meraviglia per le sue eccezionali proporzioni; noi ne ammiriamo anche le forme architettoniche e la decorazione, a nicchie rientranti e in aggetto con timpani di varie forme, che siamo soliti definire come espressioni di un "barocco romano". Di questa tendenza artistica, in vivace contrasto con i canoni tradizionali dell'arte classica, è caratteristico prodotto il cosiddetto tempietto di Venere, sorgente a circa m. 200 dall'acropoli, con la cella rotonda e un colonnato periptero collegato da un cornicione a cinque archi di cerchio rientranti, sotto i quali, nella parete esterna, si aprono altrettante nicchie.
L'acropoli fu dal 1900 in poi largamente esplorata da una missione tedesca, che ha riassunto le sue ricerche in un'opera di gran mole: Baalbek, Ergebnisse der Ausgrabungen und Untersuchungen, Berlino-Lipsia 1921-1925.
(V. tavv. CXXVII e CXXVIII).