ELIODORO di Emesa (῾Ηλιόδωρος ᾿Εμισηνός)
Scrittore greco. Al termine del suo romanzo, Le Etiopiche o Storia etiopica, l'autore si dichiara "fenicio di Emesa, della stirpe di Helios, Eliodoro, figlio di Teodosio".
L'identificazione tentata ancora recentemente dal Rattenbury (cfr. ed., p. xv), ma combattuta già dal Rohde, che l'E. romanziere sia lo stesso E. vescovo di Tricca in Tessaglia cui allude lo storico Socrate (v, 22, ii, p. 634 Hussey) e qualche altra fonte tarda, appare piuttosto dubbia. Sembra accertato comunque che fu veramente della Siria fenicia (Emesa), di famiglia sacerdotale legata al culto solare. Il fatto di trovare esaltati nel suo romanzo il culto di Helios, fiorito sotto la dinastia dei Severi, e le dottrine neopitagoriche di Apollonio di Tiana, ci permette di datare approssimativamente il suo romanzo tra il 220 e il 250 d. C.
Dell'influenza esercitata sull'arte del suo tempo da E., non ci è dato di sapere, per quanto sia noto che il romanzo in genere ha spesso ispirato l'arte musiva (cfr., ad esempio, i mosaici antiocheni della Casa del Letterato ispirati dai romanzi di Nino e di Partenope e Metioco), ma è assai probabile che alcuni episodi abbiano costituito dei soggetti per l'arte ellenistica, specie là dove l'autore riesce a suscitare un certo pathos o ad eccitare la fantasia del lettore (ad esempio la scena iniziale nella quale Caricle, vestita come Artemide, cura le ferite di Teagene dopo la carneficina dei pirati; l'altra, all'interno della caverna in cui Tyamis aveva rinchiuso Caricle; le altre ancora della battaglia tra Persiani ed Etiopi e delle imprese di Teagene a Meroe, ecc.). Non mancano naturalmente le ἐκράσεις tanto care agli scrittori ellenistici, come la descrizione della processione espiatoria in onore di Neottolemo a Delfi (iii, i, i ss.), della scena del sacrificio al dio Helios a Meroe (x, 6), delle armature persiane ed etiopi (ix, 14-20), del mantello purpureo di Teagene con i ricami dei Lapiti e dei Centauri (iii, 3, 5), dell'entrata trionfale di Caricle, vestita di porpora, su un carro tirato da bianchi buoi, con arco, frecce e cintura d'oro (iii, 4), dell'anello offerto a Nausicle (v, 14), della spada del satrapo Oroondates (ix, 23,4), ecc. È assai probabile che per alcune di queste descrizioni E. si ispirasse a quadri o mosaici ellenistici o a qualche modello di arte barbarica realmente esistito, ma occorre tener presente che molto spesso l'immaginazione e la fantasia falsano completamente ogni riferimento storico. Ciononostante si può dire che almeno in un caso E. dovette ispirarsi ad un quadro che realmente esisteva e che dovette vedere più volte riprodotto. Si tratta di un'opera famosa, il cui originale doveva risalire a Nikias, e che rappresentava Perseo che libera Andromeda. Secondo il racconto di Kalasiris, Porsinna, moglie di Idaspe, re d'Etiopia, rimasta per dieci anni senza figli, aveva dato alla luce una figlia tutta bianca, Caricle (che poi aveva esposta per paura del marito dando origine alla vicenda) perché, al momento del concepimento, aveva avuto dinanzi agli occhi "una pittura che rappresentava Andromeda tutta nuda nel momento in cui Perseo la fa discendere dalla roccia" (iv, 8, 5; x, 15, i; descrizione molto simile anche in Filostrato Magg., i, 29, 3). Probabilmente E. si ispirava a qualche copia ellenistica del tipo di quelle che si vedono nel museo di Napoli, provenienti da Pompei, benché in esse Andromeda appaia coperta a metà da un manto drappeggiato.
In E. si ritrova menzione del tempio di Iside a Memfi (i, 18, 4), del santuario di Apollo a Delfi e della fonte Castalia (ii, 26, i ss.), del nilometro di Siene (ix, 22, 3), della città di Meroe (ix, 5), ecc., ma si ha più di una ragione per credere che siano ricordi letterarî (cfr. Herodot., ii, 176; Strab., ix, 416; xvii, p. 817 e 821 ss.; Paus., x, 8; Diod. Sic., i, 33; ecc.). Così la Grecia come l'Etiopia di E. sono regioni convenzionali, frutto di letture ampie e di ogni genere.
Bibl.: Ediz.: Corais, Parigi 1804; R. M. Rattenbury-T. W. Lumb, trad. francese di J. Maillon, Parigi 1935-1943; A. Colonna, Roma 1938; W. Christ-W. Schmid-O. Stählin, Gesch. d. Gr. Lit., Monaco 1924, II, 2, pp. 820-823; E. Rohde, Griech. Roman und seine Vorläufer, Lipsia 1914, p. 453 ss.; Muenscher, Heliodoros, in Pauly-Wissowa, VIII, i, 1912, pp. 20-28; B. Lavagnini, Eliodoro, in Encicl. It., XIII, 1932, p. 809; id., Studi sul romanzo greco, Messina-Firenze 1950, pp. 195-196; H. Haight, Essays in the Greek Romance, New York 1943, passim. Per i mosaici antiocheni: D. Levi, Antioch Mosaic Pavements, Princeton 1947, I, pp. 117-118; II, tav. XX, a, b, c; B. Lavagnini, op. cit., p. 221 ss. e tavv. Per l'Andromeda e Perseo, cfr. E. Pfuhl, Malerei und Zeichnung der Griechen, Monaco 1923, figg. 646, 647, 708 (in questa Enciclopedia, vol. I, p. 362, tav. a colori); F. Wirth, in Röm. Mitt., XLII, 1927, p. 1 ss.; G. E. Rizzo, La pittura ellenistico-romana, Milano 1929, tavv. 41, 43. Per il tempio di Apollo e Delfi: C. Weickert, Typen der archaischen Architektur in Griechenland und Kleinasien, Augusta 1929, p. 142.