CROTTI, Elio Giulio
Nacque a Cremona verso la fine del sec. XV dalla nobile famiglia Crotta o Grotta, che già in passato si era segnalata in Cremona per la sua rimarchevole partecipazione alla vita politica, religiosa, culturale della città.
Le vicende della famiglia sono narrate con tono epico nel poema in versi sciolti Crotteide del sacerdote Girolamo Novelli, stampato a Milano nel 1617. Altri noti esponenti della famiglia sembrano essere stati, di poco anteriori al C., Giovanni Giacomo, giurista e letterato, e Pietro Paolo, religioso ed umanista. La data della nascita del C. non è sicura. Tra i suoi Opuscula troviamo un componimento in morte di Francesco II Gonzaga (1519), che non potrà essere di molto posteriore al 1519 (Farrag. IV, c. 195). Inoltre il conte Niccolò d'Arco, uno dei più importanti esponenti della lirica amorosa neolatina della prima metà del Qnquecento, gli dedica un carme in faleci che si trova inframezzato ad altri per l'imperatore Massimiliano e Francesco I di Francia, datati con certezza al 1511 (cod. Ashb. Laur. 266, f. 167r). Il d'Arco (nato nel 1479) si rivolge al C. come a un "veterum et fidelem amicum", al quale desidera "arcana aperire mentis". Questo fa pensare che il C. fosse un suo coetaneo, non certo dell'Arco troppo più giovane, ma a lui legato da vincoli di intimo affetto e amichevole consuetudine. Per tale motivo sembra opportuno fissare la nascita del C. non molto tempo dopo il 1485.
Poco conosciamo della formazione culturale del C.; a giudicare dalla raffinata erudizione e dall'elegante misura classica delle opere da lui pubblicate, possiamo congetturare che egli fu educato con cura e studiò a fondo la lingua e la letteratura greco-latina, con particolare riguardo per l'epigrammatica (Anthologia graeca, Catullo e Marziale), il genere bucolico-georgico (Teocrito e Virgilio), la lirica e l'elegia amorosa (Orazio, Tibullo, Properzio e Ovidio). Le fonti parlano del C. come di "religioso" secolare, ma forse questa notizia non deve intendersi nel senso che egli fu prete, ma che ebbe accesso a qualche ordine minore. Non si sa invece in quale periodo della sua vita egli sia stato "cancelliere del Sig. Giovanni da Sazadello", come risulta da un registro, citato dal Tiraboschi (p. 1404), dei corrispondenti della poetessa Veronica Gambara. Siccome costei morì nel 1550, è probabile che almeno fino a quella data il C., che forse fu anche in rapporti letterari con la piccola corte di Correggio, abbia conservato tale carica. Nella sua giovinezza il C. visse tra Cremona e Mantova, attratto dal fascino della corte dei Gonzaga e nello stesso tempo ricercato per la sua valentia poetica. In modo particolare egli fu amico di Cesare Gonzaga, colto interlocutore del Cortegiano di Baldassar Castiglione, e a lui dedicò i due epilli Susanum e Cyresium di carattere georgico.
Il C. doveva possedere una villa di campagna nel Cremonese, dal momento che il d'Arco nella poesia citata gli rivolge un pressante appello perché voglia lasciare il suo "rusculum" e precipitarsi a, Mantova. Dei resto nelle sue poesie non affiorano mai preoccupazioni economiche. Di sicuro il C. si trovava a Mantova nel 1545, quando lo stampatore veneziano Venturino Ruffinelli, chiamato a Mantova nel 1543 dal cardinale Ercole Gonzaga, pubblicò la sua raccolta poetica Hermione. Ma già da qualche tempo (forse dopo la morte di Francesco II nel 1519) il C. era stato introdotto nell'ambiente estense, prima sotto Alfonso I, poi sotto Ercole II, e a Ferrara si trasferì stabilmente dopo il 1540. Morto Ercole II (1559), il C. fece forse ritorno a Mantova, dove è annoverato da Bernardo Tasso tra i cortigiani del duca Guglielmo e lodato come "el fedel Crotto, c'ha stil sì puro, e sì colto, e sì grave" nel Floridante (XIX, 136 ss.). Ma nel 1564, egli si trovava certo a Ferrara, intento alla pubblicazione di un'ampia miscellanea delle sue poesie, gli Opuscula, dedicati al duca di Parma Ottavio Famese. Fu in rapporto di amicizia e stima con alcuni dei più insigni letterati del suo tempo: Pietro Bembo, Lilio e Giovanbattista Giraldi, Celio Calcagnini, G. B. Nicolucci detto il Pigna, Vincenzo Maggi, e da tutti concordemente fu giudicato eccellente poeta, come dimostra in particolare l'elogio che gli rivolse l'esigente Lilio Giraldi nel suo dialogo De poetis (p. 90) e quello dell'Arsilli (in Tiraboschi, p. 1670).
La prima raccolta poetica pubblicata dal C. ha per titolo Hermione. Floralium spicilegia e comprende tre libri di elegie per un totale di settantasei componimenti dedicati in prevalenza alla donna del poeta, più un certo numero di epigrammi e carmi in metro giambico e falecio. Più composita è invece l'edizione degli Opuscula, che comprende i due epilli Susanum e Cyresium, descrizione esametrica delle due ville possedute da Cesare Gonzaga nell'agro mantovano, i sette Eidylia dedicati al poeta cremonese Colombano Balletti, i quattro Farraginum libri e i tre Stromatum libri contenenti carmi di vario genere, il poemetto Veneres dedicato a G. B. Giraldi e l'epillio Hirtipiles, in cui una giovane donna lamenta che una tempesta abbia rovinato il suo giardino ed enumera le piante e i fiori che sono stati atterrati.
Antichi biografi riferiscono di un trattato sulle Divozioni, che però non fu pubblicato, mentre da una lettera che il C. stesso inviò a Niccolò Franco da Mantova nel 1547 apprendiamo che un certo Vitruvio Roscio di Parma aveva pubblicato come propri componimenti poetici del C., in prevalenza Idilli (Epist., p. 53).
Benché nel canzoniere del C. non manchino poesie che dimostrano in lui profondità di affetti famigliari e di sentimenti religiosi (carmi dedicati al fratello Caio Ortalo e allo zio paterno Muzio: Herm. II, c. 29; Strom. III, c. 269; elegie sulla resurrezione di Cristo e in lode di Dio: Strom. I, cc. 222-25) e occasionalmente compaiano temi cortigiani (elegia al "divino" Ercole Gonzaga: Herm. I, c. 2; III, cc. 57-59; epicedio per la morte di Francesco Gonzaga: Farrag. IV, c. 195) e franche allocuzioni ad amici (a Lilio Giraldi: Farrag. III, c. 166; IV, c. 184; a G. B. Giraldi: Veneres, cc. 26-27; Farrag. III, c. 168; Strom. II, c. 242; a Pietro Bembo: Herm. II. c. 39; III, cc. 43, 48; Flor. Spic., c. 96; a Colombano Balletti: Opusc., c. 72) il tono fondamentale della sua ispirazione è quello amoroso-passionale. Questo è più avvertibile nell'Hermione, pseudonimo della donna amata, il cui amore fornisce al C. lo spunto per numerose elegie.
Dopo che la donna gli comparve per la prima volta su di uno sfondo primaverile, il C. non riuscì più a dimenticarla; ma alla fiamma struggente che lo divora si contrappone costantemente la freddezza di Ermione, con la sua indifferenza, le sue improvvise partenze e forse i suoi tradimenti. La concitazione sentimentale fa sì che il C. non imponga ai suoi versi un disegno razionale; quando la convulsa intensità della passione si allenta, allora egli estrae dalla sua educazione umanistica i mezzi espressivi di una appassionata retorica d'amore, di derivazione properziana, e si abbandona qua e là al gusto delle favola erudita e della divagazione mitologica. In piena corrispondenza con la tradizione classica sono elegie in cui il C. attribuisce all'amore la paternità dei suoi carmi, o l'invettiva contro l'Aurora, che lo priverà presto dei diletti di una notte d'amore. Anche negli Opuscula compare occasionalmente Ermione, ma la stessa eterogeneità di questa silloge permette al C. di introdurre altre donne (del resto una Lesbia e una Lucina apparivano già nell'Hermione), vistefuggevolmente come datrici di piacere e sintetizzate in scorci epigrammatici, come Elia, che ha rubato l'anima al poeta, Testili, l'insensibile, Armida, che lo fa divampare "immensis favillis", Liliola, la ritrosa. All'accesa sentimentalità del C. fa riscontro l'inequivocabile sensualità e a volte il lubrico compiacimento, con cui egli indugia a descrivere i suoi amoreggiamenti con contadinelle e donne procaci e si immagina la brutalità con cui l'uomo rozzo si impossessa del corpo della donna desiderata. Benché egli si valga dei diritti di ogni poeta erotico nella rappresentazione realistica dei piaceri sensuali, i dettagli insistiti con cui, ad esempio, riproduce il furente balbettio dell'eccitazione sessuale, impediscono di credere ad un proposito di trasfigurazione poetica. E la morbosità e l'incredibile impudicizia del monologo del "vecchio lascivo", la pedantesca enumerazione degli inconvenienti della passione amorosa che appare nel Veneres a G. B. Giraldi mostrano nel C. non soltanto una reminiscenza da Catullo e dai Priapea, ma una personale compromissione con i temi lubrici dei suoi versi.
Dopo il 1564 non si hanno più notizie del C., per cui si deve credere che egli, ormai in età avanzata, sia morto poco dopo questa data.
Fonti e Bibl.: Epistol. diversorum auctorum collectanea, Mantuae 1547, p. 53; L. Cavitelli, Annales. Quibus res ubique gestas memorabiles a patriae suae origine usque ad... 1583 breviter ille complexus est, Cremonae 1588 (poi Bologna 1968), c. 308v, ad annum 1539; L. G. Giraldi, De poetis nostrorum temporum, a cura di K. Wotke, Berlin 1894, p. 90; F. Novati, Sedici lettere inedite di M. G. Vida, in Arch. stor. lomb., XXV (1898), p. 206; F. Arisi, Cremona literata, Parmae 1706, II, pp. 187-191, ad annum 1545; III, p. 98; F. Borsetti, Historia almi Ferrariae Gynnasii, II, Ferrariae 1735, p. 287; F. T. Vairani, Cremonenstum monumenta Romae extantia, Romae 1778, p. 185; G. Tiraboschi, Storia della lett. ital., VII, Modena 1792, pp. 1404, 1670; E. Costa, Antologia della lirica latina nei secoli XV e XVI, Città di Castello 1888, pp. 163-169; F. Flamini, Il Cinquecento, Milano s. d., p. 118; L. Cisorio, E. G. C. e G. Oldoini di Cremona, Cremona 1916, pp. 13-22; L. Grilli, Versioni poetiche, Firenze 1918, pp. 285-88; G. Ellinger, Italien und der deutsche Humanismus in der neulatein. Lyrik, Berlin 1929, pp. 267-277, 321; D. E. Rhodes, A Bibliography of Mantua, in La Bibliofilia, LVIII (1956), p. 169; L. W. Grant, New Forms of neo-Latin Pastoral, in Studies in the Renaissance, IV (1957). pp. 72 s.; G. Toffanin, Il Cinquecento, Milano 1973, p. 14; M. E. Cosenza, Dict. of the Ital. Humanists, II, Boston 1962, pp. 1153 s.