Elia
Profeta d'Israele che visse e vaticinò ai tempi di Achab e Achazia (919-896 a.C.), come leggesi in III Reg. 17 ss.
D. lo menziona due volte nella Commedia, in If XXVI 35, insieme con il discepolo e successore Eliseo (v.) - E qual colui che si vengiò con li orsi / vide 'l carro d'Elia al dipartire, / quando i cavalli al cielo erti levorsi, / che nol potea sì con li occhi seguire..., richiamandone l'ascensione (cfr. IV Reg. 2, 11 ss.), in Pg XXXII 79, insieme con Mosè e gli apostoli Pietro, Giovanni e Giacomo: Quali a veder... / Pietro e Giovanni e lacopo condotti / ... videro scemata loro scuola / così di Moïsè come d'Elia, / e al maestro suo cangiata stola... - e una volta nella Monarchia (III IX 11) ancora e sempre con gli stessi figuranti: Item scribit [Matteo] quod in monte transfigurationis, in conspectu Cristi, Moysi et Elyae et duorum filiorum Zebedei, [Pietro] dixit… -, ricordando invece la trasfigurazione di Cristo (cfr. Matt. 1-8; Marc. 9, 2-8).
È da rilevare la profonda differenza nell'ambito e nell'impiego del nome del profeta nei passi e negli episodi citati, e massime se si considera la non poca fortuna che proprio E. ha tradizionalmente goduto nelle Scritture, e in quei testi più o meno direttamente a esse correlate. Infatti mentre la prima menzione del profeta sembra esaurirsi nell'ambito stilistico e inventivo di una similitudine ardita, intesa come appare a rendere più evidente e solenne l'immagine della fiamma che invola i consiglieri fraudolenti, le due altre menzioni invece trascendono i confini stilistici e nell'economia della Monarchia e della Commedia si aprono a istanze che ampliano le occasioni diventando addirittura emblematiche se traguardate attraverso la lunga tradizione esegetica ancorata al nome del profeta.
La tradizione infatti ha elaborato specificamente due momenti del testo biblico: quello dell'ascensione dà un lato, per cui E. è diventato facilmente una figura Christi e, dall'altro, quello meno evidente della sua missione presso la " vidua Sareptana ", per cui il profeta è diventato figura Apostolorum.
La prima figura formulata per la prima volta da s. Cipriano - " Elias, qui interpretatur Deus Dominus, sive Deus meus, aut fortis Deus, significat Christum Dominum de quo scriptum est: Dominus fortis, Dominus potens in proelio. Idem propheta in desertum abiens, a corvis nutritus et in coelum aereum sublatus, Christum exprimit ab angelis nutritum in deserto, at ascendentem in coelos; et sic in plurimis vitae suae circumstantiis " (Patr. Lat. 4, col. 615) - è stata raccolta e ulteriormente elaborata da s. Ambrogio (ibid 17, col. 834), s. Gregorio Magno (ibid 76, col. 1217), s. Isidoro (ibid 83, col. 113), Rabano Mauro (ibid 109, coll. 206-207), Ruperto di Deutz (ibid 167, col. 1256) e dal ven. Ildeberto (ibid 174, col. 1089). La seconda figura originata dalla prima da Ruperto di Deutz - " Elias, ad Sareptanam viduam missus, et illius duplex spiritus, praefigurat apostolos missos ad gentes " (Patr. Lat. 176, col. 1240) - è stata raccolta ed elaborata da s. Bernardo (ibid 183, col. 322) e ulteriormente sviluppata culminando nell'equazione tipologica Elia = s. Francesco nello Arbor Vitae Crucifixae Jesu di Ubertino da Casale, ma conclusa nella profezia apocalittica (Apoc. 11, 3-8) legata cioè all'apparizione di E. e di Enoch quali testimoni della vittoria sull'Anticristo.
Correlata e quasi gemmata sullo stesso originario fittone v'è ancora una terza tradizione, quella delle visioni medievali e massime quella di Matilde di Magdeburgo (Lux Divinitatis, VII, p. 57) nella quale il nome del profeta E., in coppia con quello di Enoch, appare in un Paradiso terrestre (ricondotto ai metri danteschi dal Gardner, e considerato anche ‛ fonte ' per Matelda), mentre nella Visio Pauli che termina addirittura con il nome di E. quale intercessore - " Ego sum Elyas propheta dei; ego sum Elyas qui horavi, et propter verbum meum non pluit coelum annis tribus et mensibus. VI. propter iniusticias hominum ... Pacienter agite quoadusque servus meus Elyas horet et precetur propter hoc, et ego mittam pluviam super terram; Explicit Visio Sancti Pauli ", la coppia dei profeti è diversa, ed E. appare con Eliseo.
Delle due tradizioni, quella gioachimita e apocalittica, anche se suggestiva, non può essere presa in considerazione. Più valida è invece la prima, ripetuta come appare sia nella Monarchia che nella Commedia, dove il profeta E. è in coppia con Mosè e nominato con gli apostoli presenti alla trasfigurazione.
La presenza del profeta insieme con Mosè dev'essere dunque interpretata in funzione dell'intero episodio e cioè di un'ulteriore testimonianza relativa al grifone quale simbolo cristologico e conditio sine qua non perché siano insieme autenticate sia la trasfigurazione e l'ascensione del grifone - Cristo sia la nuova funzione di Beatrice, qui più che mai typus Trinitatis (e speciatim typus Spiritus Sancti), lasciata come appare a guardia del plaustro, cioè della Chiesa.
Il nome del profeta sanziona dunque non una soluzione gioachimita o apocalittica (e l'assenza di Enoch diventa la più valida prova sia pure ex silentio) ma quella più dantesca d'imminente riscatto a opera del profetizzato " messo di Dio ", espresso per mezzo di un altro simbolo cristologico - DXV - da interpretare, sulla scorta della teologia politica, cristomimeticamente come simbolo dell'imperatore, typus Christi gerens.
Bibl.-Si leggano i testi relativi alla tradizione esegetica nella Patrologiae Cursus Completus, Series Latina, ediz. Migne.
Si leggano i testi delle Visioni e nelle Revelationes Gertrudianae ac Mechtildianae, ediz. dei Solesmensi (II, Parigi 1877) e nella Visio Sancti Pauli, in Apocrypha Anecdota, a c. di I.M. Rhodes (II, Cambridge 1893); e Ubertino Da Casale, Liber qui intitulatur Arbor Vitae Crucifixae Iesu, Venezia 1485. Sulla simbologia cristologica e sulla teologia-politica, si veda G.R. Sarolli, Prolegomena alla D.C., Firenze 1969; E.G. Gardner, D. and the Mystics, New York 1968.