MUSATTI, Elia
– Nacque a Venezia il 15 aprile 1869 da una famiglia alto-borghese e molto benestante di origine ebraica.
Il padre, Giuseppe, avvocato e valente imprenditore, era stato nominato, proprio per il suo prestigio, presidente della comunità ebraica di Venezia. La madre, Adele Franchetti, proveniva a sua volta da una agiata famiglia ebraica della Lombardia.
Per seguire le orme paterne Musatti si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Pavia. Già attratto dalla politica e di sincero orientamento democratico, all’epoca militava nel Partito repubblicano. Fu il trasferimento a Roma a segnarne in parte il percorso: nella capitale, dove si era recato per terminare gli studi, frequentò infatti i corsi di Antonio Labriola. In seguito a questa esperienza decise di approfondire lo studio del marxismo e si avvicinò al socialismo, optando infine per abbandonare la milizia repubblicana e iscriversi al PSI (Partito socialista italiano).
Nel frattempo si era sposato con Emma Leanza, cugina del deputato e leader della sinistra liberale Giuseppe Zanardelli; dal matrimonio nel 1897 nacque Cesare, futuro notissimo psicanalista.
Musatti, ben inserito negli ambienti professionali, tanto della capitale come del Veneto, dopo aver terminato gli studi iniziò a esercitare la professione di avvocato, ma la passione politica, animata da un fervente idealismo, lo assorbiva in misura crescente. A rompere i suoi indugi giunse la crisi di fine secolo, quando le misure repressive contro i moti popolari per l’aumento del prezzo del pane portarono allo scioglimento della federazione del PSI di Venezia. Scosso dalla vicenda, Musatti, non ancora trentenne, decise di sacrificare la carriera forense per la militanza politica socialista. La successiva ‘svolta liberale’ ne incoraggiò i propositi, perché grazie al ritrovato clima di libertà poté dare un contributo di primo piano, insieme a Cesare Sarfatti, alla ricostituzione della federazione socialista veneziana. Sull’onda di questi iniziali successi, nei mesi successivi si adoperò per l’istituzione di circoli e leghe di resistenza e svolse un’incessante azione di propaganda.
A suggellare tanto impegno politico venne il primo incarico nazionale: nel settembre 1900 si recò a Roma per partecipare al congresso del PSI in rappresentanza della federazione veneziana. Tuttavia, durante l’assise, pur apprezzando i vantaggi della svolta liberale e di un regime di democrazia parlamentare, non si schierò a favore della corrente riformista di Filippo Turati. Anzi, aderì alle correnti di sinistra intransigenti-rivoluzionarie, compiendo una scelta che lo avrebbe sovente posto in conflitto con i dirigenti del partito. Pur stimato e apprezzato per il suo impegno, non ricoprì infatti incarichi nazionali di rilievo per tutta la prima parte dell’età giolittiana. Anche nel 1904, quando il PSI fu guidato per una breve fase dalle correnti rivoluzionarie di Arturo Labriola, Costantino Lazzari ed Enrico Ferri, non riuscì a essere eletto alla Camera. Guadagnò il seggio di deputato solo nel 1909, al ballottaggio, vincendo contro il candidato del blocco moderato.
Trasferitosi nuovamente a Roma, visse un’esperienza parlamentare intensa, caratterizzata altresì da polemiche molto aspre. Alle prese con la difficile opera di produzione legislativa, che chiedeva trattative, compromessi e attenzione ai dettagli, assunse infatti una posizione articolata. Da un lato sviluppò una viva sensibilità per i bisogni concreti delle masse popolari, che potevano essere almeno in parte soddisfatti grazie all’azione all’interno delle istituzioni, accettandone le regole; si adoperò quindi intensamente, sia in commissione sia in aula, in un’attività fatta di alti e bassi, di risultati parziali, di faticose transazioni e numerose sconfitte. D’altro canto non portò mai questa sensibilità all’estrema conseguenza di accettare il metodo gradualista, né aderì alle proposte, periodicamente avanzate da Turati, di collaborare con le forze di governo; anzi, fermo su posizioni di intransigente classismo, respinse sempre con vigore ogni ipotesi di alleanza con i partiti ‘borghesi’.
Questa intransigenza lo pose presto in rotta di collisione con i dirigenti riformisti che guidavano partito e gruppo parlamentare. Al volgere del nuovo decennio Giolitti tornò infatti al governo con un programma molto ambizioso, che prevedeva tra l’altro l’introduzione del suffragio universale maschile, e nel riferire sui risultati delle riforme sociali affermò baldanzosamente che Marx era «stato mandato in soffitta». Nonostante questa affermazione provocatoria, i dirigenti riformisti (che avevano appena vinto largamente il congresso socialista di Milano) decisero di votare a favore del governo, suscitando gli immediati anatemi da parte delle correnti rivoluzionarie, di cui Musatti si fece portavoce in Parlamento. Quando, nell’aprile 1911, il gruppo parlamentare socialista diede voto favorevole al ministero Giolitti, Musatti si dimise dal gruppo e, insieme a Gregorio Agnini, votò contro. Ma la sua iniziativa non si fermò qui: poche settimane più tardi, insieme ad altri esponenti della sinistra rivoluzionaria come Giovanni Lerda e Costantino Lazzari, contribuì a fondare una rivista, denominata La Soffitta in polemica con le parole di Giolitti. L’obiettivo era chiaro: offrire una tribuna a tutti coloro che intendevano opporsi al cosiddetto ‘ministerialismo’ dei riformisti.
Ormai il clima stava cambiando, nel paese come nel partito. Il disagio economico aumentava la rabbia delle masse popolari, stanche dei risultati parziali e lenti del riformismo e desiderose di riscatto immediato. Al congresso socialista di Modena dell’ottobre 1911 il gruppo di Filippo Turati prevalse solo di misura, al termine di un dibattito dove prese la parola anche Musatti, con un intervento durissimo contro l’appoggio al governo. A gettare ulteriore benzina sul fuoco giunse la guerra di Libia, che vide Musatti esporsi in prima fila. Numerosi furono infatti i suoi interventi sulla natura imperialista dell’impresa, sia alla Camera sia in infuocati comizi nel paese, durante i quali subì anche minacce e aggressioni da parte di giovani nazionalisti. Infine nel settembre 1911 promosse lo sciopero generale contro il conflitto.
La guerra in Tripolitania mutò definitivamente gli equilibri interni al PSI, perché contribuì ad accelerare la crisi dei riformisti e rinvigorì la campagna delle correnti rivoluzionarie. Il congresso straordinario di Reggio Emilia nel luglio 1912 registrò quindi il netto successo della sinistra intransigente. Fu una svolta nella storia del PSI, che ebbe importanti riflessi anche nella biografia di Musatti, il quale, grazie alla vittoria della sua corrente di appartenenza, entrò nella direzione nazionale del partito. A coronamento della sua ascesa, rieletto deputato nel 1913, venne anche nominato segretario del gruppo parlamentare. Non appoggiò tuttavia le posizioni più estreme del neodirettore dell’Avanti! Benito Mussolini, da cui anzi ben presto prese le distanze.
La Grande guerra lo vide impegnato soprattutto nel tentativo di riannodare i fili strappati dell’Internazionale socialista. A tale scopo partecipò, in rappresentanza del partito italiano, al convegno di Lugano del settembre 1914 e alla conferenza di Kienthal dell’aprile 1916. L’attività in ambito internazionale non lo portò comunque a dimenticare gli impegni all’interno del paese, tanto che nel 1918 contribuì, nella sua qualità di avvocato, alla difesa nel processo contro militanti e dirigenti socialisti imputati per gli scontri avvenuti a Torino nel 1917.
La crisi politica e sociale del primo dopoguerra lo spinse verso un parziale cambiamento delle posizioni. Preoccupato per le divisioni interne che stavano lacerando il PSI, Musatti cercò di svolgere opera di mediazione tra riformisti e massimalisti per evitare che la rottura portasse a una scissione. Al congresso di Bologna del settembre 1918 non aderì alla mozione dei massimalisti di Giacinto Menotti Serrati, bensì a quella di Lazzari che, in nome dell’unità del partito, aveva presentato un documento molto più sfumato. Questa sua evoluzione subì un'accelerazione dopo la scissione di Livorno e davanti all’offensiva dello squadrismo fascista. Nell’estate del 1921 Musatti rappresentò infatti il gruppo parlamentare socialista alla firma del ‛patto di pacificazione’ con i fascisti e in Parlamento, considerando ormai controproducente la rigida contrapposizione di classe, promosse una tattica più flessibile e aperta alla collaborazione con gli altri partiti democratici. Quando infine nell’estate del 1922 Turati compì il gesto clamoroso di salire le scale del Quirinale per le consultazioni, Musatti si dichiarò favorevole ad appoggiare un governo liberale, purché fosse pronto a stroncare la violenza fascista e a ripristinare la legalità democratica. Infine nell’ottobre 1922, in occasione della nuova scissione che colpì il PSI, non rimase coi massimalisti e gli intransigenti, ma aderì al Partito socialista unitario di Turati e Giacomo Matteotti, nella speranza, rivelatasi vana, di contribuire alla formazione di una nuova maggioranza parlamentare capace di sbarrare la strada al fascismo.
Dopo la marcia su Roma i fascisti gli resero la vita particolarmente difficile. Gli squadristi lo minacciarono più volte fisicamente e infine gli devastarono la casa di Venezia, rendendo impossibile la sua permanenza nel luogo natio e costringendolo a un definitivo trasferimento a Roma. Intanto la crisi del sistema liberale precipitava e Musatti, dopo il delitto Matteotti, partecipò con particolare impegno all’Aventino.
Quando la dittatura fascista si consolidò, Musatti pagò fino in fondo il prezzo della sua opposizione al regime. Radiato dall’ordine degli avvocati, non poté più esercitare la professione. Nel 1928 fu condannato a due anni di ‘ammonizione speciale’ e poi sottoposto a un regime di rigida sorveglianza da parte della polizia, che implicava, tra l'altro, il divieto di lasciare Roma. Furono anni di profonda malinconia, vissuti nel più completo isolamento.
Ormai vecchio e malato, ottenne infine il permesso di trascorrere i suoi ultimi giorni a Venezia, dove morì il 3 settembre 1936.
Fonti e Bibl.: Arch. centr. dello Stato, Min. dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; S. Cannarsa, Il socialismo in Parlamento. Il biennio rosso, Napoli 1958, pp. 87, 185 s., 290, 300, 312; F. Pedone, Il Partito socialista italiano nei suoi congressi, II, 1902-1917; III, 1917-1926, Milano 1961-1963; G. Mammarella, Riformisti e rivoluzionari nel Psi, Padova 1968, pp. 292 s., 326; L. Cortesi, Il socialismo italiano tra riforme e rivoluzione, Bari 1969, ad ind.; A. Landuyt, Le sinistre e l’Aventino, Milano 1973, ad ind.; M. Degl’Innocenti, Il socialismo italiano e la guerra di Libia, Napoli 1976, ad ind.; F. Piva, Lotte contadine e origini del fascismo: Padova e Venezia, Venezia 1977, ad ind.; G. Albanese, Alle origini del fascismo. La violenza politica a Venezia, Venezia 2001, ad ind.; S. Caretti, M. E., in Il movimento operaio. Diz. biografico 1853-1943, a cura di F. Andreucci - T. Detti, III, Roma 1977, pp. 626-629.