ELIA lo Speleota, santo
Secondo la Vita, che rappresenta la fonte principale per la sua biografia, nacque a Reggio Calabria da genitori agiati, Pietro e Leontò, tra l'860 e l'865. La data convenzionale dell'864 è una pura ipotesi che non poggia su prove documentarie. Ancora bambino in un incidente perse una mano e perciò ebbe dai contemporanei il soprannome di μονόχειρ. Dopo aver ricevuto un'educazione cristiana nella città natale, a diciotto anni decise di farsi monaco. Insieme con un parente che aveva fatto la stessa scelta si ritirò a vita eremitica nella chiesa di S. Aussenzio sulle pendici del monte San Nicone presso Taormina. Dopo che il consanguineo, abbandonata la vita ascetica, fu ucciso dagli Arabi, E. intraprese un pellegrinaggio alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo a Roma. Qui condusse, all'inizio da solo, vita ascetica in condizioni di estrema povertà, ma poi fu accolto come discepolo da un monaco più vecchio ed esperto, Ignazio, che lo educò alla vita monastica.
Dopo un soggiorno dalla durata imprecisata E. fu rimandato da Ignazio in patria dove si legò ad un anziano monaco allora famoso, Arsenio, che viveva nei dintorni di Reggio a Mindinon, un μετόχιον del monastero di S. Lucia, da cui ricevette l'abito monacale. In questo periodo si ebbe un contrasto tra E. e lo stratego bizantino della Calabria, Niceta Botherites, residente a Reggio, il cui governo non è databile con precisione. Un ricco chierico della cattedrale di Reggio si era appropriato di terreni di proprietà del monastero di S. Lucia e aveva corrotto lo stratego affinché non desse ascolto alle proteste dei monaci. Quando Arsenio ed E. denunciarono il chierico disonesto furono picchiati e scacciati: ma poco dopo lo stratego morì, nonostante si fosse nel frattempo pentito. In seguito i due monaci si trasferirono nella chiesa di S. Eustrazio presso il villaggio di Armo, non lontano da Reggio. Per sfuggire ad un attacco dei Saraceni contro la città (probabilmente quello dell'888-89), i due monaci si rifugiarono a Patrasso, dove vissero asceticamente per otto anni in una torre infestata da demoni. Nella città greca E. ed Arsenio vissero in buoni rapporti con la popolazione e con il vescovo, che solo controvoglia li lasciò partire, tentando addirittura di trattenerli con uno stratagemma.
Dopo il loro ritorno a S. Eustrazio i due monaci ebbero rapporti con un famoso asceta ormai anziano, Elia il Giovane. Questo Elia, noto per le sue virtù profetiche, prima della sua partenza per la Grecia, dove morì poco dopo, il 17 ag. 903 0 904, predisse che E. sarebbe stato il suo successore, non come abate del suo monastero bensì come guida carismatica del monachesimo che si andava diffondendo nella regione delle Saline. Questa località è identificata generalmente col territorio attraversato dal fiume Petrace, pressappoco la zona compresa tra i centri di Oppido Mamertina, Palmi e Gioia Tauro. Dopo la morte di Arsenio a S. Eustrazio, E. si recò effettivamente nel monastero delle Saline dove aveva vissuto il suo predecessore. All'inizio visse con l'eremita Cosma ed il suo discepolo Vitalio in una grotta. Quando la sua fama crebbe e attrasse sempre più monaci, E. si vide costretto ad interrompere la sua vita eremitica e a istituire un cenobio in una grotta più grande, dove morì novantaseienne, dopo settantun anni di vita eremitica, l'11 settembre di un anno imprecisato, in presenza di Vitalio vescovo forse di Tauriana.
Il 960, tramandato convenzionalmente come anno della morte, è altrettanto incerto quanto la data di nascita: l'ultimo avvenimento databile con certezza nella vita di E. è la rivolta del patrizio e stratego della Calabria Giovanni Byzalon contro l'imperatore bizantino. E. avrebbe esortato invano il ribelle a ravvedersi e ne previde infine la morte violenta (921-922).
Il raggio di azione di E. fu circoscritto alla Calabria meridionale o meglio al territorio circostante i monasteri in cui visse. La loro localizzazione non è accertabile con sicurezza: mentre S. Eustrazio si trovava probabilmente presso il villaggio di Armo, a 10 chilometri ad est di Reggio, sembra che il monastero rupestre fosse presso Melicuccà. E quest'ultimo non coincide con il vicino monastero di Elia il Giovane, situato nei pressi di Seminara. I malati e gli indemoniati che E. guarì, durante la sua vita e dopo la sua morte, e i peccatori che egli punì, provenivano per lo più dalla zona tra Reggio e Mesiano. Pellegrinaggi sulle tombe degli apostoli a Roma erano allora una consuetudine dei monaci greci della Calabria e sono un topos ricorrente nella relativa agiografia. La fuga dinanzi agli Arabi nella lontana Patrasso si chiarisce invece alla luce degli stretti rapporti tra la città del Peloponneso e Reggio: infatti tra la fine del sec. VI e l'inizio del IX, durante l'occupazione slava della Grecia, una colonia piuttosto cospicua di abitanti di Patrasso si era stabilita a Reggio. Più o meno contemporaneamente ad Arsenio e a E. sarebbe fuggito da Reggio a Patrasso il già ricordato Elia il Giovane, a meno che non si tratti di una ripetizione della stessa notizia riguardante E.: infatti, a causa dell'omonimia, dopo la morte i due santi furono spesso confusi tra loro.
La vita di E. e dei suoi contemporanei in Calabria fu largamente condizionata dal conflitto tra Bizantini ed Arabi: anche questo è un tema ricorrente nelle fonti calabresi del tempo. La paura di un attacco arabo costrinse Arsenio ed E. a fuggire a Patrasso; nel corso di successive spedizioni arabe la tomba di Arsenio in S. Eustrazio fu profanata e anche il monastero rupestre fu seriamente minacciato. Ma la Vita di E. mostra anche che alcuni cristiani calabresi apprezzavano le conoscenze degli Arabi in taluni campi come ad esempio la medicina e consultavano i loro medici a Palermo: per evitare un intervento di medici musulmani, si narra che E. li precedette con un tempestivo miracolo.
Secondo una tendenza diffusa nel monachesimo greco E. preferì la vita eremitica a quella in comune nei cenobi. Per anni o decenni visse in rigoroso ascetismo prima in compagnia di Ignazio e poi di Arsenio. Ciò significava lunghi digiuni (fino a dieci giorni di seguito), veglie, preghiera continua e incessante meditazione sulla morte. A questo scopo nel monastero rupestre egli usava dormire sul sito che aveva prescelto come tomba. Solo quando i discepoli accorsero sempre più numerosi E. rinunciò a malincuore alla vita eremitica e divenne abate e guida carismatica di un fiorente monastero. Come abate pretese ubbidienza assoluta, ma sembra fosse benevolo e misurato nei rapporti con i monaci. Oltre all'ubbidienza e all'ascesi E., che aveva ricevuto una buona educazione letteraria, diede importanza anche alla cultura dei confratelli. Egli stesso era presumibilmente amanuense, sebbene nessun codice di suo pugno sia conservato; fu lui, sembra, che avviò i suoi monaci, come ad esempio Fantino il Giovane e Luca d'Armento, a studi approfonditi.
Con i vescovi delle diocesi in cui condusse vita eremitica, E. sembra aver avuto buoni rapporti. Ciò viene affermato in particolare nel caso del vescovo di Patrasso, anche se nell'agiografia monastica la rivalità spirituale tra asceti e clero secolare si risolve sempre a favore dei primi. Accanto al letto di morte di E. c'era un vescovo, forse quello di Tauriana. Le relazioni con le autorità bizantine sembrano invece essere state tese: lo stratego della Calabria Niceta Botherites sarebbe morto a causa del suo comportamento malvagio nei confronti di Arsenio ed Elia. Negativo è anche il ritratto che la Vita dà dell'altro stratego, Giovanni Byzalon, con cui il santo ebbe a che fare. Costui si ribellò all'imperatore e fu ucciso dai suoi stessi seguaci. E. ne previde la morte violenta da circa 50 chilometri di distanza. Ma la superiorità degli asceti sui grandi della terra è un topos quasi obbligatorio nella letteratura agiografica. Solo nella redazione latina della Vita si dice che l'imperatore di Costantinopoli Leone VI (886-912), ammalato di lebbra, avrebbe fatto chiamare E. presso di lui: ma questo episodio è sicuramente tratto dalla Vita di s. Elia il Giovane, che effettivamente ubbidì a un ordine siffatto di Leone VI e morì in Grecia durante il viaggio. Tuttavia, nella seconda metà dell'XI secolo, il monastero di E. aveva il titolo di "imperiale monasterium", segno di particolare attenzione da parte dell'imperatore.
La fonte principale su E. è una Vita greca conservata da un unico manoscritto, il codice Messin. 30, cc. 29v-49v, che fu scritto nel 1308 nel monastero di S. Salvatore in lingua Phari a Messina. Autore della Vita fu un anonimo monaco del monastero di E. che, pur avendo conosciuto il santo, basò gran parte della sua narrazione su notizie trasmessegli da monaci più anziani. Il testo deve dunque risalire alla seconda metà del X secolo. Una traduzione latina abbreviata di questa o di una Vita molto simile, che contiene alcuni episodi e miracoli mancanti nella redazione greca, è tramandata dal codice Neapol. lat. AA 13 del XII secolo ed è ancora inedita. Il traduttore anonimo che dedica la sua opera ad un abate Roberto - da identificare forse con Roberto di Grandmesnil abate di S. Maria di Sant'Eufemia (1062-82), visto che alla sua abbazia fu donato nel 1062 da Roberto il Guiscardo l'"imperiale monasterium Sancti Elie" - menziona come autore della Vita il monaco Ciriaco, allievo del santo. Questo è anche il nome del poeta di un canone greco su E. il cui testo segue strettamente la Vita. Probabilmente allo stesso autore va attribuito un secondo canone di struttura molto simile. Il più antico manoscritto noto di entrambi i canoni risale ai secc. XI-XII. L'importanza di E. nel monachesimo greco della Calabria del X secolo è testimoniata anche dal fatto che il suo nome è messo in relazione con molti altri santi dell'Italia meridionale: s. Fantino il Giovane e s. Luca d'Armento furono probabilmente suoi discepoli; s. Nicodemo di Cellarana lo raccomandò come sicuro autore di miracoli e visitò il suo monastero rupestre; s. Luca vescovo di Isola Capo Rizzuto, originario di Melicuccà, predicò nell'anniversario della sua morte. Questa ricorrenza, che è riportata in diversi sinassari dell'Italia meridionale, non fu mai accolta nel calendario liturgico della Chiesa di Costantinopoli. Mancano fonti documentate sulla vita di E., ma dalla metà circa del secolo XI il monastero da lui fondato (τοῦ ῾Αγίου ᾿Ηλίου τοῦ Στηλαιωτου) è citato in diversi documenti greci e latini.
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