LEVITA, Elia (Ēlīyyāh ben Āshēr ha-Lēwī)
Drammatico ebreo, nato a Neustadt presso Norimberga nel 1472. Venuto giovane in Italia, dimorò dapprima a Padova, poi a Venezia, e quindi, dalla fine del 1512, a Roma, ove godette la protezione del generale degli agostiniani Egidio da Viterbo, che lo incaricò di copiare per lui manoscritti ebraici e di essergli maestro nella lingua e nella letteratura ebraica. A partire dal 1517 Egidio da Viterbo, in quell'anno insignito della dignità cardinalizia, volle lui e la sua famiglia ospiti nel suo palazzo. Dopo il sacco di Roma (1527) Elia, rimasto privo di tutto ciò che possedeva, fissò di nuovo la sua dimora a Venezia (1529). Colà ebbe un altro mecenate nella persona del patriarca Marco Grimani, nella cui casa si trovava nel 1532. Invitato a Parigi da Francesco I per assumere l'insegnamento dell'ebraico alla Sorbona, non volle accettare; e, salvo brevi dimore a Isny e nel Württemberg, continuò a risiedere a Venezia fino alla sua morte, avvenuta il 28 gennaio 1549.
Scrisse, in ebraico: un commento alla grammatica ebraica: . "Mahălak Shĕbīlē ha-Da‛at, "Cammino delle vie della conoscenza e, di Mōsheh Qimḥī (s. l. e a. Pesaro [1508]; Bāḥūr," L'Eletto", grammatica ebraica (Roma 1518, trad. lat., Basilea 1525); Lūaḥ bĕ-Diqdūq ha-Binyānīm wĕ-ha-Pĕ‛ālīm "Tavole grammaticali delle coniugazioni e dei verbi" (perdute); Sēfer ha-Harkābāh "Il libro della composizione", sulle forme grammaticali anomale (Roma 1518; trad. lat., Basilea 1525); Pirqē Ēliyyāl, "I capitoli di Elia", o Pirqē Shīrāh "Capitoli di poesia", quattro trattatelli, parzialmente in versi, che costituiscono una specie di supplemento al Bāḥūr ( [Pesaro] 1520; trad. lat., Basilea 1527); Sēfer haZikrōnōt "Libro delle ricordanze", concordanza masoretica, inedita (v. māsōrāh); Māsōret ha-Māsōret "Masorah della Masorah", esposizione sistematica del materiale masoretico (Venezia 1538; trad. lat. parziale, Basilea 1539; ed. moderna con trad. ingl. a cura di Ch. D. Ginsburg, Londra 1867); Ṭūb Ṭa‛am "Bontà dell'accento", sugli accenti dei libri biblici di prosa (Venezia 1538); Mĕturgĕmān "L'interprete" dizionario aramaico (Isny 1541, con trad. lat.); Tishbī "Il Tishbita", 712 articoli lessicali su vocaboli ebraici, prevalentemente postbiblici (Isny 1541, con trad. lat.); Nīmmūqīm "Glosse", alla grammatica e al lessico di Dāwīd Qimḥī (Venezia 1545-46); lettere varie (una a S. Münster, che tradusse in latino varíe sue opere, pubblicata in calce al commento di Dāwīd Qimḥī ad Amos, Basilea 1531; una a J. A. Widmanstadt, pubbl. da J. Perles, Beiträge zur Gesch. der hebr. u. aram. Studien, Monaco 1884, p. 158).
In giudeo-tedesco compose: Bovo-Buch, rifacimento del romanzo di Buovo d'Antona (s. l. e a. [1508-49]); una traduzione dei Salmi (Venezia 1545). Un piccolo lessico giudeo-tedesco-ebraico dei sostantivi d'uso più comune egli diede col suo: Shĕmōt Dĕbārīm, "Nomi di cose" (Isny 1545).
Mediante le sue opere e mediante il personale insegnamento, L. contribuì più efficacemente di qualsiasi altra persona a quel processo per il quale lo studio della lingua ebraica e dell'antica letteratura ebraica, fino allora coltivato pressoché esclusivamente dagli studiosi ebrei, passò negli ambienti cristiani e divenne parte integrante e notevole della cultura europea. Egli non apportò alla scienza grammaticale ebraica contributi originali, e si limitò a esporre ciò che era stato insegnato dai suoi predecessori, specialmente da Dāwīd Qimḥī e da Abrāhām b. ‛Ezrā; ma seppe con sano discernimento trascegliere nelle opere degli antichi grammatici ciò che gli sembrava più giusto e più adatto agli scopi che si prefiggeva, e seppe esporlo con ordine e con sistematica partizione della materia, con chiarezza e con esattezza di dizione. Doti queste che valgono a spiegarci la diffusione che ebbero le sue opere e l'influenza che esercitarono. Nel campo della lessicografia, sono da notarsi in particolare le acute osservazioni che egli fa nelle glosse al lessico del Qimḥī, per precisare il significato di una determinata radice o di un determinato vocabolo, ovvero per rilevare qualche finezza dell'uso linguistico ebraico, e il contributo che egli arreca, specialmente nel Tishbī, alla conoscenza scientifica dell'ebraico.
Bibl.: W. Bacher, Die hebräische Sprachwissenschaft von 10. bis zum 16. Jahrhundert, Treviri-Berlino 1892 (estratto da Winter-Wünsche, Die jüdische Litteratur seit Abschluss des Kanons, II), pp. 104-105, e bibl., p. 113.