ELIA il Giovane, santo
Secondo l'anonima Vita greca, fonte principale per la sua biografia, nacque verso l'823 ad Enna in Sicilia e fu battezzato col nome di Giovanni. Nelle fonti greche porta l'appellativo ὁ Νίος, cioè il Giovane; è altrimenti noto anche come E. da Enna o E. Siculo. I genitori appartenevano alla ragguardevole e pia famiglia dei Rachiti; quando E. era ancora bambino lasciarono la città per paura degli attacchi saraceni e si rifugiarono in una fortezza, detta di Santa Maria, oggi non più localizzabile. Ad otto anni E. ebbe una prima visione, nella quale gli fu rivelato che presto sarebbe stato condotto prigioniero in Africa per rafforzarvi gli uomini nella fede. Tali visioni si ripeterono durante la sua vita: fino alla morte E. ebbe il dono di prevedere il futuro e cioè sia gli eventi della propria vita, sia quelli politici.
A dodici aprii, verso l'835, con altri duecentoventi siciliani fu catturato dai Saraceni per essere portato in Africa, ma dopo pochi giorni fu liberato da una nave bizantina proveniente da Siracusa. Per tre anni E. rimase presso i genitori e, dopo la morte del padre, fu di sostegno alla madre. Quindi fu di nuovo catturato dai pirati saraceni fuori dalle porte della città e venduto come schiavo in Africa a un ricco conciatore cristiano, che gli affidò il compito di amministrare le sue proprietà. Dato che svolgeva l'incarico con zelo, E. si guadagnò la stima di cristiani e musulmani. Ma durante un viaggio d'affari del padrone la moglie di questo tentò di sedurlo e, poiché E. non cedette alle sue profferte, al ritorno del marito la donna lo accusò di tentato adulterio. E., imprigionato, fu liberato solo dopo che il padrone, avendo sorpreso la donna con un amante, si accorse dell'ingiustizia commessa. Si tratta con tutta evidenza di un adattamento della storia di Giuseppe dell'Antico Testamento, topos prediletto dall'agiografia monastica dei Bizantini. Dopo alcuni giorni E., riscattatosi dalla schiavitù, decise di andare in pellegrinaggio in Palestina per visitare i luoghi santi della Cristianità e farsi monaco. Contemporaneamente la solita voce divina gli comunicò che da allora egli sarebbe stato in grado di guarire gli infermi: E. sperimentò subito con successo le sue nuove doti carismatiche sia con cristiani sia con musulmani. L'emiro locale gli permise pertanto di esercitare liberamente la sua attività di guaritore. Ma quando E. convertì al cristianesimo i musulmani risanati e li fece battezzare nottetempo con la complicità di un vescovo del luogo di nome Pantoleone - che non risulta altrimenti attestato - fu denunciato all'emiro per la sua attività missionaria e gettato in prigione. Dalla Vita non risulta con chiarezza se questo episodio sia avvenuto ancora in Africa settentrionale o già in Palestina.
Dopo la liberazione E. si recò comunque a Gerusalemme dal cui patriarca, Elia, ricevette la tonsura. Avendo assunto da religioso il nome di Elia in onore del profeta, che era uno dei principali modelli degli asceti bizantini, per distinguerlo da questo gli fu aggiunto in seguito l'appellativo di "il Giovane". Nel monachesimo bizantino era diffusa la consuetudine di scegliere, al momento di abbracciare la vita monastica, un nome che avesse la stessa iniziale di quello secolare. Anche in questo caso l'usanza fu rispettata perché nella pronuncia del greco bizantino le iniziali di ᾿Ιωάννης e di ᾿Ηλίας corrispondevano foneticamente. Dopo che ebbe visitato i luoghi santi a Gerusalemme e nei dintorni, E. soggiornò per tre anni sul monte Sinai come eremita; quindi si recò ad Alessandria, dove guarì molti malati e indemoniati e pregò nelle chiese di S. Marco, di S. Pietro e dei Ss. Mena, Ciro e Giovanni. Per fuggire la fama - anche questo, a partire dalla Vita Antonii, è un topos dell'agiografia monastica - andò in Persia per visitarne i luoghi santi; ma i disordini che in quel tempo vi scoppiarono lo costrinsero a ritornare ad Antiochia. Da qui, passando per l'Africa, fece ritorno in Sicilia; durante il viaggio convertì numerosi saraceni e li battezzò.
Se fino al ritorno di E. in Sicilia la Vita non fornisce, a parte il nome del patriarca di Gerusalemme Elia III (878-906), alcun dato cronologico precisamente inquadrabile, successivamente la biografia del santo risulta strettamente collegata con gli avvenimenti storici dell'Italia meridionale. Durante una visita alla madre a Palermo E. predisse la vittoria della flotta bizantina dell'ammiraglio Basilio Nasar su quella araba a Milazzo (estate 880). Avendo previsto la sanguinosa sconfitta dello stratega bizantino Barsakios sulla costa orientale della Sicilia (estate 881), per sfuggire al successivo attacco degli Arabi, E. si rifugiò nel Peloponneso in compagnia di Daniele, un giovane che era divenuto suo discepolo a Taormina e che lo seguì fino alla morte. Visse per un certo periodo a Sparta, dove fu tormentato da demoni e guarì malati e indemoniati.
Durante il viaggio di ritorno in Italia, a Butrinto i due monaci furono incarcerati perché sospettati di spionaggio a favore degli Arabi ma furono liberati dopo la morte accidentale del vicegovernatore bizantino a loro ostile. Passando quindi per Corfù giunsero in Calabria, dove fondarono un monastero nella cosiddetta valle delle Saline. La località è identificata con la valle del fiume Petrace, più o meno il territorio compreso tra le località di Oppido Mamertina, Gioia Tauro e Palmi. Il monastero sembra fosse situato presso Seminara; E. vi condusse una vita ascetica basata su rigidi digiuni, preghiere ininterrotte e veglie; dai monaci richiese ubbidienza incondizionata. Grazie alle sue virtù profetiche e taumaturgiche il monastero divenne un forte polo d'attrazione per monaci e laici. E. compì allora un pellegrinaggio alle tombe degli apostoli a Roma, dove fu accolto solennemente da papa Stefano VI (885-891).
La vita del monastero fu di continuo turbata dagli attacchi dei Saraceni: per sfuggire alla conquista di Reggio dell'888, E. si rifugiò a Patrasso, ma quando nel 901 l'emiro di Sicilia Abu al-'Abbas espugnò di nuovo la città e la saccheggiò era già tornato nel suo monastero calabrese. Avendo previsto la conquista di Taormina e di Reggio da parte dell'emiro aglabita Ibrahim II (902), fuggì in tempo ad Amalfi, dove guarì la nipote del praefecturius. Poco dopo il suo ritorno in Calabria scoppiò una rivolta locale che il governatore bizantino Michele represse rapidamente. E. intervenne presso di lui, a favore del ribelle sconfitto Colombo, senza tuttavia ottenere la grazia; ma tale rifiuto fu punito da Dio con la morte subitanea del governatore.
Poco dopo E. fu chiamato dall'imperatore Leone VI alla corte di Costantinopoli. Insieme con il suo discepolo Daniele e con Colombo in veste di accusato, del quale egli si proponeva di ottenere la liberazione dall'imperatore, E. raggiunse Naupatto passando per Ericusa e Corfù, e di là per via di terra Tessalonica, dove morì ottantenne il 17 agosto di un anno imprecisato. Poiché durante il viaggio avrebbe profetizzato che una flotta araba proveniente dalla Siria avrebbe saccheggiato non Costantinopoli bensì Tessalonica, il che in effetti avvenne il 31 luglio 904, l'anno della morte viene generalmente fissato al 903.
I suoi resti furono collocati, alla presenza dello stratego della città, nella chiesa di S. Giorgio e, circa dieci mesi dopo, furono traslati con l'autorizzazione dell'imperatore via Butrinto, Rossano, Bisignano e Tauriana nel monastero delle Saline. Sul suo sepolcro avvennero non poche guarigioni miracolose e Leone VI, che aveva molto onorato il santo in vita, dopo la sua morte fece grossi donativi al monastero.
La vita di E. fu condizionata in maniera determinante dai contrasti militari ed ideologici tra Bizantini ed Arabi nel Mediterraneo. I conflitti tra le due potenze furono causa principale della sua vita raminga, che d'altro canto gli offrì ampie occasioni di svolgere attività missionaria nei paesi islamici.
L'anonimo autore della Vita, mentre dà solo vaghe notizie sul soggiorno di E. in Nordafrica, possiede, oltre ad una conoscenza precisa della geografia locale della Calabria meridionale, idee chiare sulle mete dei pellegrinaggi in Terra Santa. Conosce inoltre i nomi dei principali santuari cristiani ad Alessandria e Tessalonica, nonché i più importanti porti e stazioni sulla rotta tra la Calabria e la Grecia. Infine è ben informato sulla situazione politica nell'Italia meridionale bizantina tra l'880 e il 904 sia per quanto riguarda la cronologia degli avvenimenti sia per i nomi dei singoli protagonisti.
La biografia anonima (conservata dai codici Mess. 29, pp. 190-204, compilato nel 1308, e Neap. II A. A. 26, pp. 251-282, del sec. XV) è opera di un monaco del monastero di E., che non aveva conosciuto direttamente il santo ma alcuni dei suoi discepoli e delle persone che egli aveva guarito. Come modello letterario per lo stile e per la tipologia dei miracoli l'agiografo utilizza così largamente la Vita Antonii di Atanasio e la Historia Philothea di Teodoreto di Ciro da dare adito a riserve sull'attendibilità della sua opera, il cui contenuto non è confermato da alcuna fonte documentaria. Questo Βίοςdi E., probabilmente compilato nel secondo quarto del sec. X, fu utilizzato dagli autori di due canoni sulla festa del santo (17 agosto). Mentre uno dei due è tramandato anonimo, l'altro è opera di un certo Procopio, evidentemente monaco del monastero di E., che scrisse anche un canone sui santi calabresi Senatore, Viatore, Cassiodoro e Dominata. Il canone dovette essere composto prima del sec. XI a cui si fa risalire il più antico manoscritto (cod. Crypt. Δ. α. XII). Ad un encomio di E. più elaborato retoricamente riconducono forse i lessici (Λέξεις ἐκ τοῦ βίου τοῦ ἁγίου ᾿Ηλίου) che sono riportati in alcuni codici dell'Italia meridionale e testimoniano quanto fosse diffusa la lettura della Vita del santo. E. non entrò mai nel calendario liturgico di Costantinopoli, ma il fatto che il suo nome appaia anche in altre vite di santi dell'Italia meridionale ne documenta la fama e l'estensione del culto in Calabria: secondo la Vita di S. Elia lo Speleota, questi sarebbe stato designato da E. a succedergli quale padre spirituale dei monaci delle Saline. La Vita di S. Nicodemo di Cellarana, che fu monaco delle Saline nella seconda metà del X secolo, ricorda E. come famoso autore di miracoli, e così quella di S. Filareto, monaco di origine siciliana che entrò in quel monastero verso la metà del sec. XI. Nel 1133 re Ruggero II sottopose il monastero di E., che nel tardo Medio Evo prese il nome di Ss. Elia e Filareto, all'archimandriato di S. Salvatore in lingua Phari, da poco fondato a Messina.
Fonti e Bibl.: Vita di s. E. il G., a cura di G. Rossi Taibbi, Palermo 1962; Acta sanctorum April., I, Venetiis 1737, pp. 606, 614; Sept., III, ibid. 1761, pp. 860 s., 870; Vita di s. Nicodemo di Kellarama, a cura di M. Arco Magri, Roma-Atene 1969, p. 114; E. Follieri, Un canone inedito per s. E. siculo, in Boll. della Badia greca di Grottaferrata, n. s., XV (1961), pp. 15-29; Analecta hymnica Graeca, XII, Canones Augusti, a cura di A. Proiou, Roma 1980, pp. 181-206, 473-478; G. Mercati, Per la storia dei manoscritti greci di Genova di varie badie basiliane d'Italia e di Patmo, Città del Vaticano 1935, p. 116; M.-H. Laurent-A. Guillou, Le "Liber visitationis" d'Athanase Chalkéopoulos (1457-1458), Città del Vaticano 1960, pp. 109 ss., 295; G. Da Costa-Louillet, Saints de Sicile et d'Italie méridionale aux VIIIe, IXe et Xe siècles, in Byzantion, XXIX-XXX (1959-60), pp. 95-109; S. Borsari, Ilmonachesimo bizantino nella Sicilia e nell'Italia meridionale prenormanne, Napoli 1963, pp. 40-45, 60, 78, 93, 98, 123 ss., 130; M. Scaduto, Il monachesimo basiliano nella Sicilia medievale, Roma 1982, pp. 187, 418.