DEL MEDIGO (del Medigo), Elia (Helias Cretensis, Eliyahu ben Moses Abba)
Figlio di Moses Abba, nacque a Candia da una delle più importanti famiglie ebree cretesi - da cui Helias Cretensis, altra forma del nome con cui è conosciuto - tra il quinto e il sesto decennio del secolo XV.
Il capostipite della famiglia, R'Yehudah, come altri ebrei all'epoca residenti nell'isola, si trasferì dall'area germanica intorno alla fine del 1300 transitando prima, probabilmente, per l'Italia dove acquistò il soprannome Delmedigo. A Creta R'Yeliudah ebbe tre figli: Abba haZaken il Vecchio, fondatore di una sinagoga nella città di Candia; Mejuhas, morto poi senza prole; Shemarjah, filosofo, padre di Moses Abba genitore a sua volta del Delmedigo.
Prima del 1481, e quindi ad un'età di circa 25-30 anni, a causa dei rapporti che sin dal secolo XIII legavano Creta con la Repubblica di Venezia, il D. si trasferì in Italia per motivi che non ci è dato di conoscere con certezza, ma probabilmente riconducibili - secondo alcuni biografi - ad una richiesta del Senato veneto che lo scelse per arbitrare le discussioni filosofiche dell'università di Padova.
Circa l'incarico assunto dal D. è stato ipotizzato quello di promotor ad artium examina;tuttavia, l'assenza del nome dagli elenchi dei professori in carica nel decennio 1480-1490 non convalida l'ipotesi di un ruolo ufficiale rivestito nell'ambiente universitario padovano. Ë comunque ragionevole pensare che perlomeno vi svolgesse un'attività di "ripetitore, o di docente privato, o di qualcosa di simile" (cfr. U. Cassuto, Storia degli Ebrei..., Firenze 1918, p. 284), anche perché Sha'ul ha-Cohen ricorda che il maestro insegnò a Padova e Firenze "nelle accademie dei cristiani", e lo stesso D., nell'explicit della redazione ebraica della sua prima questione sull'intelletto (cfr. M. Steinschneider, in Monatsschrift für Gesch. und Wiss. des Jud., XXXVII [1893], p. 187), afferma diaver composto le sue opere nella lingua dei cristiani "nelle loro accademie e nel luogo di raccolta dei loro sapienti". Dalle testimonianze di alcuni contemporanei sembrerebbe che il D. si dedicasse, oltre che agli studi filosofici, anche a quelli medici. Tuttavia non abbiamo notizia del fatto che esercitasse anche l'attività di medico. Marsilio Ficino, in una lettera indirizzata a Domenico Benivieni databile 1485, ricorda che nella residenza fiorentina di G. Pico della Mirandola avevano luogo alcune disputationes tra i medici ebrei peripatetici Helias Abraham. (forse Abraharn Cussot, medico e dirigente di una stamperia mantovana; Abraham. de Balmes, il medico del cardinal Grimani; oppure Abraharn Farissol, attivo presso la corte di Ercole d'Este a Ferrara dove aveva soggiornato Pico) e il siciliano Guglielmo de Moncada, l'enigmatico ebreo convertito noto anche sotto il nome di Flavio Mitridate insegnante di ebreo e caldeo del conte Pico (cfr. M. Ficino, Lib. VIII Epist., in Opera omnia, I, Basileae 1576, p. 873). A ciò possiamo aggiungere la testimonianza di David de' Pomis, De medico hebraeo, Venetiis 1588, Sectio XI, 71, che annovera il nome del D. tra quelli di altri celebri medici del suo tempo; quella del colophon dell'edizione veneziana del 1488 (Gesamtkatalog der Wiegendrucke, III, n. 3108) delle Quaestiones e Annotationes che lo definisce illustre filosofo e medico; e del colophon della versione della Quaestio de spermate di Averroè pubblicata nel t. XI dell'edizione di Aristotele con i commenti di Averroè edita a Venezia da Comin da Trino nel 1560, ove viene ricordato "Haec sunt verba Aver [sic] de semine ex arabico in latinum translacta ab excel., Phylosophiae professore D. Helia Cretense".
Alternando con alcuni viaggi effettuati tra Firenze, Perugia, Bassano, la sua attività di insegnante di logica e filosofia presso il collegio ebraico padovano, e di teologia nella comunità giudaica veneziana, il D. rimase a Padova circa un decennio e qui ebbe rapporti con Yehudah Minz e la sua yeshivah (accademia) di studi talmudici. Sempre a Padova, tra il 1481 e il 1482, il D. fece l'incontro che gli avrebbe procurato l'impegno costante in una serie di lavori di traduzione e di stesura di originali lavori di esposizione a testi peripatetici, ma anche la vicinanza, lo stimolo, e l'attenzione di una personalità di'spicco quale doveva certamente essere Giovanni Pico nonostante all'epoca avesse solo 18 anni. Dopo aver studiato a Bologna (1477-79) e Ferrara (1479-80), nel biennio 1480-81 e 1481-82, il giovane conte della Mirandola si era trasferito presso lo Studio patavino. Fu dunque in tale circostanza che conobbe il D., ffiaestro già affermato, sebbene di pochi anni più anziano, allacciando con lui un proficuo rapporto di amicizia e collaborazione che sarebbe durato circa un decennio.
All'epoca il D. aveva già composto la Quaestio de efficientia mundi, ultimata secondo il colophon "Venetijs in 1480 secundum numerum latinorum" (cfr. l'ed., Venetiis, apud haer. Hieronymi Scoti, 1586, 255 b, ma ricordiamo anche le edizioni veneziane del 1488, 1501, 1506, 1519, 1520, 1544, 1551, 1560, 1575, che riportano anche le altre due quaestiones e le Annotationes super libros Physicorum) e composta, secondo quanto affermato nel Prologo, suinvito del nobile veneziano Antonio Donato, figlio di Girolamo, che alcuni anni prima glielo aveva chiesto in seguito alle discussioni avute con i dottori Antonio Pizzamano e Domenico Grimani, il quale, divenuto in seguito cardinale di S. Marco, - era a sua volta in contatto con il filosofo ebreo. A proposito della Quaestio de efficentia mundi è interessante notare - ma la stessa cosa è da tenere presente anche nel caso delle altre due quaestiones alle quali accenneremo in seguito - che la posizione sostenuta dal D. è quella di fedele e scrupoloso averroista che si limita ad esporre il pensiero più autentico del commentatore e della scuola peripatetica attraverso un mosaico di citazioni esposte sotto forma di questioni. L'incontro col D. significò per Pico non solo entrare in contatto con uno dei rappresentanti di maggior spicco dell'indirizzo di pensiero all'epoca dominante nello Studio patavino, ma soprattutto con un personaggio chiave che poteva dargli modo di accedere alle versioni ebraiche dei commenti aristotelici e degli scritti di Averroè dei quali ancora non esisteva la traduzione latina. L comunque da escludere - come dichiara egli stesso in una lettera a Domenico Grimani (cfr. Dukas, p. 44; Cassuto, 1918, p. 285) - che il D. fosse in grado di leggere l'originale testo arabo di Averroè, che del resto per alcune parti all'epoca era già perduto. All'epoca dell'incontro del D. con Pico risale la stesura della versione latina di due opuscoli composti per il conte sull'unità dell'intelletto hylico e sulla possibilità della congiunzione dell'intelletto possibile con l'uomo. Andata persa la versione latina alla quale accenna il D. nelle sue Annotationes (oltre che alla fine del compendio dei Metereologica e nella già ricordata lettera al Grimani), di entrambe ci rimane la versione ebraica contenuta nel ms. della Bibl. nazionale di Parigi, Hebr. 968, realizzata tra Padova e Venezia alla fine del 1481 e all'inizio del 1482. Il testo della prima questione è poi utile perché grazie ad un accenno fatto alla composizione di una quaestio latina sui rapporti tra Dio, intelligenze angeliche, e corpi celesti, possiamo datare cronologicamente e topicamente il momento della stesura della Quaestio de primo motore stampata insieme con quella De efficentia e De esse et essentia et uno nelle edizioni veneziane succitate. A questa prima fase della collaborazione del D. con Pico possono inoltre essere attribuite - per la verità senza alcun elemento di ulteriore precisazione circa la data - alcune traduzioni di Averroè. Tra quelle di cui abbiamo notizia ricordiamo la traduzione del compendio dei Metereologica di Aristotele dalla versione ebraica di Moshè ibn Tibbon stampata a Venezia da Andrea Torresano nel 1488 (cfr. Gesamtkatalog, III, n. 3108; tale traduzione fu poi ripresa nel tomo V dell'ed. giuntina, Venetiis 1550, cc. 180-223), del quale abbiamo la versione in parte autografa con glosse marginali di Pico nel ms. Vat. lat. 4550, passato dalla biblioteca pichiana (lo ritroviamo indicato con il titolo Suma averois in librum metahurarum nell'inventario del 1498 edito dal Calori Cesis, cfr. P. Kibre, The library of Pico, New York 1936, p. 243, n. 920) a quella del card. D. Grimani e infine nella Bibl. Vaticana; la traduzione di alcuni passi della versione ebraica di Kalonymos ben Kalonymos del Commento medio sempre dei Metereologica (riprodotti nelle edizioni ricordate, più alcuni estratti nel ms. Vat. lat. 4550); la versione dei libri I-VII del Commento medio alla Metafisica (vol. VIII nell'ed. veneziana di Comin da Trino del 1560) e quella del proemio al libro XII della Metafisica la cui versione (perduta) sarebbe poi stata rielaborata dal D. per conto del Grimani, mentre secondo l'opinione dello Steinschneider (Hebr. Übersetz, p. 173) sarebbe poi stata rielaborata e pubblicata sotto il nome di Paolo Israelita nell'ed. giuntina del 1552 (VIII, cc. 135r-136v); la traduzione latina di alcune sezioni della versione ebraica delle parafrasi di Averroè al De partibus animalium di Aristotele, contenuta nel codice Vat. lat. 4549 alle cc. 27r-57v (autografo del D. con glosse marginali di Pico). Lo stesso manoscritto contiene poi alle cc. 1r-6v una trascrizione del testo dello pseudoaristotelico De proprietatibus elementorum in una versione che si avvicina di molto a quella effettuata da Gerardo da Cremona (cfr. ad es. l'ed. stampata a Venezia nel 1496 da Domenico Fontana: L. Hain, Repert. bibl., n. 1659 e Gesamtkatalog, II, n. 230), e alle cc. 11r-18r un Tractatus de intellectu speculativo a summa Commentatoris in 3º de anima.
Lasciata Padova nell'estate del 1482, Pico fece tappa a Pavia e Carpi prima di trasferirsi a Firenze dove arrivò nell'estate del 1484. È comunque lecito pensare che durante queste peregrinazioni il conte rimanesse costantemente in contatto col D. che nel frattempo, lasciata Padova per motivi che ci sono ignoti, si trasferiva a Venezia. Nell'estate del 1484 i due personaggi erano comunque di nuovo insieme a Firenze: è questo il periodo in cui il D. lavorò con maggiore alacrità per soddisfare la brama di sapere del conte, che a quel momento ancora non aveva cominciato lo studio dell'ebraico sotto la guida dell'ebreo convertito Guglielmo de Moncada, alias Flavio Mitridate.
Al periodo fiorentino del D. risalgono la traduzione della Quaestio in librum priorum di Averroè contenuta autografa con note marginali di Pico nel ms. Vat. lat. 4552 (edita da Aldo a Venezia nel 1497, Hain, n. 2191; e da L. A. de Giunta, sempre a Venezia, nel 1552 insieme alle quaestiones di Egidio Romano sullo stesso testo); la stesura voluta da Pico (cfr. l'ed. Venetiis, apud haer. H. Scoti, 1586, p. 258b; "Cum voluerit Comes Illustris D. loannes della Mirandula habere aliqua, quae circa Lib. Physicorum mihi apparent hoc nullo modo negare potui") di una serie di Annotationes super Libros Physicorum in dicta Averrois super Libros Physicorum (edite insieme alle Quaestiones ... de Physico auditu di Jean de Jandun nelle già cit. edizioni veneziane) ultimate secondo il colophon "anno latinorum 1485 in finis Julij Florentiae"; una perduta traduzione dall'ebraico in latino della parafrasi di Averroè alla Repubblica di Platone della quale abbiamo notizia dal testo delle Annotationes.
Tra gli argomenti toccati durante le conversazioni filosofiche presso la residenza fiorentina di Pico è senz'altro da ricondurre la discussione del De substantia orbis di Averroè intorno al quale, successivamente, il D., lasciata Firenze, elaborò un'expositio per il conte - partito a sua volta per la Francia alla fine del luglio 1485 - che ultimo a Bassano il 5 ott. 1486, come ricorda nel colophon della versione manoscritta dell'Expositio (inedita) contenuta nel ms. Vat. lat. 4553, c. 51r: "complevi hanc expositionem in terra Bassani quinta die octobris MCCCCLXXXVJ secundum numerum latinorum et incepi ipsum postquam recussi a nobili domino dicto moranti tunc in Florentie magna civitate etc. IIIJ septembris anno predicto nam ibidem promixi ei hoc exponere". Durante l'estate l'Expositio doveva però essere ad un buon punto di preparazione perché già se ne accenna alla fine di una delle Annotationes super Physicorum (cfr. l'ed. 1586, p. 264b "ut patet secundum doctrinam Comment. in libello de Substantia orbis secundum quod illic notavi diffuse ..."). Della stessa Expositio il D. elaborò con qualche modifica la versione ebraica che concluse in data 5 cheshvan 5242 (14 ott. 1486) e che è contenuta nel ms. della Biblioteca nazionale di Parigi, Hebr. 968. Fatto poi ritorno a Padova il D. riprese i suoi corsi leggendo a richiesta degli studenti - come ricorda in una lettera a Pico - i Primianalitici. Nel corso della permanenza francese del conte della Mirandola i rapporti col D. furono per qualche tempo sospesi, ma al suo ritorno in Italia, mentre si dirigeva alla volta di Roma dove intendeva presentare all'orbe filosofico le sue Conclusiones, Pico entrò nuovamente in contatto con l'amico, giacché li ritroviamo insieme tra Perugia e Fratta dove il conte si era ritirato in seguito alla sfortunata avventura galante con la bella Margherita de' Medici. La vicinanza dei due filosofi diede luogo a nuove fervide discussioni che il D. concretizzò in un secondo tempo nella Quaestio de esse et essentia et uno presente insieme alle altre due quaestiones nelle già ricordate edizioni veneziane. Quando poi a Perugia si diffuse un'epidemia di peste i due si allontanarono di nuovo. Pico si rifugiò a Fratta per passare poi nel dicembre 1486 a Roma, mentre il D. fece ritorno a Padova dove qualche tempo dopo gli veniva recapitata una lettera di Pico in cui venivano sollevate ulteriori questioni circa tutti gli argomenti sui quali avevano discusso.
Nonostante la disagevole interpretazione della grafia pichiana il D. rispose al conte con una lettera pervenutaci per intero nel ms. della Biblioteca nazionale di Parigi, Lat. 6508, dandogli soddisfazione circa tutti i quesiti sollevati. In seguito non abbiamo più notizie di ulteriori rapporti con il conte della Mirandola, il quale, nel frattempo, dopo il viaggio in Francia, aveva orientato i suoi studi in maniera sempre più decisa nell'ambito della speculazione cabalistica nei confronti della quale il D., da coerente seguace di Averroè, non nutriva una buona disposizione, anche se, nella lettera di risposta a Pico, aveva affrontato con garbo e dovizia di particolari gli interrogativi mossigli dall'amico intorno alla dottrina delle sephirot.
Perduti i contatti con Pico, il D. proseguì ancora per qualche tempo la sua attività di insegnante presso l'ateneo padovano continùando a coltivare gli amichevoli rapporti che un tempo lo avevano legato al Grimani ed alla sua cerchia di amici. Come già per Pico, anche per quest'ultimo il D. affrontò un lavoro di traduzione rielaborando una versione del proemio al libro XII della Metafisica che già aveva effettuato per il conte dimenticando però di conservarne una copia. Qualche tempo dopo questi fatti si perdono del tutto le tracce del D. in Italia. Lasciata Padova e gli amici-discepoli in maniera alquanto oscura - alcuni hanno ipotizzato in seguito ad una controversia con il rabbino Jehudah Minz - il D. fece ritorno a Candia dove già alla fine del 1490 aveva ultimato la stesura del suo ultimo lavoro del quale abbiamo notizia: il Sefer Beḥinath ha-Dath (l'esame della religione).
Nell'opera vengono discussi i problemi provocati dal rapporto che si istituisce tra lo studio della filosofia e quello dei principi della religione giudaica. Le soluzioni trovate dal D. non mettono però in contrapposizione i due ambiti, giacché, egli osserva, è compito del dotto accordare la religione con la filosofia cercando di sanare alla luce di un'adeguata interpretazione - non divulgabile tuttavia alla moltitudine - tutte le situazioni dì un eventuale conflitto che si venissero a creare.
Il D. morì a Candia nel 1492.
Infatti un suo discepolo candiota, Sha'ul Ha-Cohen riferisce in data 5 adar (febbraio) 1506 che il maestro era morto da circa tredici anni, due anni dopo il ritorno dall'Italia (cfr. She'eloth, Venetiis 1574, c. 6 [10]a). L'informazione è confermata dal fatto che la Beḥinath ha-Dath, scritta su richiesta dello stesso Cohen, era stata terminata a Candia il 18 tebeth 5241, cioè il 31 dic. 1490 (confr. l'ediz. Wien 1833, pp. 79, 83). Non è pertanto attendibile la tarda testimonianza di Yoseph Shlomo Delmedigo (Candia 1591-Praga 1655), membro della stessa famiglia e autore di testi filosofici di un certo rilievo, che data il ritorno del D. a Creta in epoca successiva alla morte di Giovanni Pico della Mirandola, avvenuta il 17 nov. 1494 (cfr. Maṣref la-Ḥokhmah, in Ta'alumoth Ḥokhmah, I, Basileac 1629, c. 3b). Secondo una notizia tramandata da Moshè Metz (in Yoseph Shlomo Delmedigo, Sefer Elim, Amstelodamii 1629, c. 29), il D. sarebbe morto "nella metà degli anni dell'uomo" e quindi approssimativamente - secondo il computo indicato dal Salmo XC, 10 e dalla tradizione medica dei tempo - tra i trenta e i quarant'anni: ciò ha permesso di risalire congetturalmente all'epoca di nascita.
Fonti e Bibl.: Oltre alle opere a stampa e manoscritte citate, si vedano: E. Ripprier, E. D., ein jüdischer Popularphilosoph, in Monatsschrift für Geschichte und Wissenschaft des Judentums, XX (1871), pp. 481-494; J. Freudenthal, Eine ungedruckte Abhandlung E. D.s, in Israelitische Wochenschrift, III (1872), p. 50; J. Dukas, Recherches sur l'histoire littéraire du XVe siècle, Paris 1876, pp. 21-77; M. Schwab, La littérature rabbinique et la littérature chrétienne au Moyen Age. E. D. et sa famille. Piè de la Mirandole, in Annales de philosophie chrétienne, s. 2, XVI (1878), pp. 356-371, 424-441; R. Starabba, Ricerche storiche su Guglielmo Raimondo Moncada ebreo convertito siciliano nel secolo XV, in Arch. stor. sicil., n. s., III (1878), pp. 15-91; M. Steinschneider, Candia, cenni di storia letteraria, in Mosè. Antologia israelitica, II (1879), pp. 411-416; III (1880), pp. 53-59, 281-284; IV (1883), pp. 15-17; Id., E. 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