CAPRIOLO (Caprioli, Cavriolo), Elia
Nacque a Brescia nella prima metà del sec. XV da Guelmino e da Caterina Pedaria, in una nobile ed agiata famiglia di radicati principi religiosi (la madre Caterina si dedicò lungamente a penitenze e ad opere di bene; una cugina, Timotea Caprioli, fu fondatrice del monastero agostiniano femminile di S. Croce nel 1440).
Fin da giovane si applicò allo studio delle lettere; in seguito arricchì la sua cultura acquistando un'ottima conoscenza della filosofia e delle materie giuridiche. Nell'ultimo decennio del secolo fu tra i maggiori esponenti locali, stimato da molti fra gli umanisti bresciani che si raccoglievano intorno all'Accademia dei Vertumni, da Battista Mantovano al Manuzio. Testimonianza di questa considerazione sono le dediche al C. del De fine oratoris (Brixiae 1492) del noto grammatico Cristoforo Barzizza e delle Adnotationes in Alexandrum grammaticum de Villa Dei pro eruditione puerorum (Brixiae 1492) di Pilade Boccardi.
Nel 1497, mentre il territorio di Brescia era sottoposto a un continuo passaggio di truppe (la città appoggiava allora Lodovico il Moro contro i Francesi), al C. venne affidata la direzione dei lavori delle opere di difesa poste lungo la scarpata del castello presso porta Pile. Egli esercitò inoltre, in quegli anni, le cariche pubbliche di pretore a Lonato, vicario a Quinzano e podestà ad Asola, integerrimo al punto di multarsi il 26 marzo 1507, di una consistente somma di denaro in favore dell'erario comunale perché stimava di non aver operato nell'esercizio delle cariche amministrative a lui affidate "prout quilibet fidelis patriae suae civis et diligens facere tenetur" (Storia di Brescia, II, p. 228 n. 4). Negli anni della occupazione francese di Brescia, il C. ormai in età avanzata - egli stesso nel 1508 scriveva nell'appendice alla Chronica di voler porre fine alla sua opera "non essendomi dall'età, né dalle malattie, né da continui travagi concesso lo stare in piedi, non che lo scrivere" (Dell'istorie..., Venezia 1744, p. 235) - dovette subire le angherie delle truppe straniere. In verità la sua famiglia fu fedelissima alla Repubblica di Venezia, e nel 1510 un figlio del C., Bartolomeo (valente autore di epigrammi latini ed in particolare dei distici Venetorum contra Gallos pugna compendiosa et felicissima victoria, pubblicati di recente da P. Guerrini nelle Mem. stor. della diocesi di Brescia, III [1960], pp. 94 s.), fuggì dal territorio bresciano per unirsi all'esercito veneto in lotta contro i Francesi; cosicché in occasione del sacco di Brescia seguito a un fallito tentativo insurrezionale (1512), al C. fu imposta una "taglia" di 250 scudi da parte di due soldati della compagnia del capitano Lionardo Napolitano, e soltanto per intercessione del prevosto di giustizia francese questa fu ridotta a 25 scudi d'oro (testo notarile di Merico de' Conti [5 apr. 1512] in Mazzuchelli).
Incerta è la data della morte del C., posta dal Vossius e dallo Zeiller al 1519; ma secondo il Gagliardi (II, p. 209) egli era ancora vivo il 4 settembre del 1523 (presunta data della Epistola ad Franciscum Arigoneum equitem doctissimum inserita dal conte A. G. Della Torre Rezzonico nelle sue Disquisitiones plinianae, Parmae 1763, pp. 14 ss.).
La fama del C. è legata quasi esclusivamente alla sua Chronica de rebus Brixianorum ad Senatum Populumque Brixianum..., Brixiae s.d. (ma 1505), composta per esortazione di Agostino Emilio.
L'opera narra in dodici libri la storia di Brescia dalle origini al 1500: nei primi cinque libri si tratta della fondazione della città, della successiva dominazione romana e delle persecuzioni dei primi martiri cristiani, fino alle invasioni dei Goti, di Attila e Alboino, e alle lotte di Carlo Martello contro i Saraceni; dal sesto libro comincia il racconto delle lotte fra guelfi e ghibellini, della signoria di Mastino Della Scala e dell'azione del Carmagnola che persuase i Bresciani a darsi a Venezia. La Chronica fu volgarizzata da P. Spini (Delle historie bresciane..., Brescia 1585; altra ediz. in lingua italiana: Brescia 1630). All'inizio del sec. XVIII lo Zeno inviò due libri inediti del C. (il XIII ed il XIV che conducevano la narrazione fino al 1510) al Burman, il quale li pubblicò con il resto della Chronica nel Thesaurus antiquitatum Italiae..., IX, 7, Lugduni Batavorum 1704 (di questa edizione ampliata una traduzione italiana [Dell'istorie della città di Brescia...] apparve a Venezia nel 1744).
Accusato dal Rossi e dal Cozzando di avere attinto con molta larghezza a un Breviarum inedito di Giacomo Malvezzi e soprattutto di aver inserito con troppa facilità "nella sua historia cose lontanissime dal vero non solamente ma dal verisimile" (Rossi), il C., pur rivelando alla critica moderna i consueti difetti della storiografia locale, che il provinciale umanesimo bresciano non era riuscito a eliminare, compose comunque un'opera ancora utile per la storia medievale di Brescia che è insieme testimonianza interessante del mondo culturale di quella città in un particolare momento storico. A questo concreto punto di riferimento, più che a ragioni psicologiche, vanno riportati sia il "candore ingenuo" sia "gli atteggiamenti di laudator temporis acti" (Storia di Brescia, II, p. 493), che caratterizzano la Chronica. Il credulo e spesso indignato moralismo, che portava il C. a stigmatizzare i pervertiti costumi del suo tempo, e a vedere prodigi e sciagure come segni della provvidenza e punizione divina, deriva infatti dall'atmosfera savonaroliana che gravava su Brescia negli ultimi anni del sec. XV (forse il Savonarola predicò nella città nel dicembre 1489; lo stesso C. dà notizia di anatemi fulminati nel 1493 da fra' Bernardino da Feltre contro l'immoralità dilagante; nel 1494 la predicazione di un altro moralista savonaroliano, Picenino da Feltre, s'era conclusa con un grande rogo ove erano state bruciate fra le "vanitadi" molti documenti dell'umanesimo bresciano).
La prima edizione della Chronica ha anche un notevole interesse geografico per la presenza di una carta del territorio bresciano (Brixiae et acri geographia, ripubblicata dall'Almagià nei Monumenta Italiae cartographica, Firenze 1929, p. 18, tav. XX, I). Di tipo prospettico, con rappresentazione dei monti "a nido di talpa" e dei corsi d'acqua esageratamente ingranditi, essa - che ha il merito di essere la più antica carta della zona - non costituisce tuttavia un progresso rispetto a precedenti tentativi (le rimane superiore, ad esempio, la carta pergamenacea del Bresciano risalente alla metà del sec. XV conservata nella Biblioteca Estense di Modena): si nota infatti l'assenza della Val Camonica; una scarsa conoscenza dell'andamento della Trompia e Sabbia; la mancanza di molti centri abitati (ne appaiono centocinque invece di duecentoventotto), spesso male orientati, e delle vie di comunicazione. Appare chiaro, in sostanza, che il C. è stato guidato nel compierla non da un interesse geografico ma da motivi d'ordine storico, soprattutto nella scelta delle località rappresentate che servivano da punto di riferimento per la narrazione storica.
Della produzione minore, moralisticamente tutta improntata al culto della legalità, della semplicità, della fede stessa di un tempo" (Storia di Brescia, II, p. 493), si possono ricordare l'Epistola ad Ioannem Taberium (datata 2 dic. 1496), pubblicata da Battista Mantovano nei suoi De patientia aurei libri III (Brixiae 1497); l'Epistola ad Augustinum Aemilium stampata da Teofilo Bona nel De vita solitaria et civili (Brixiae 1496); il De Confirmatione Christianae fidei dialogus (Brixiae 1447 e Ingolstadii 1497) indirizzata a Bernardino Fabio Bresciano; il De honesta voluptate libellus, s.n.t., composta dal C. mentre era pretore a Lonato; la Defensio Statuti Brixianorum de ambitione,et sumptibus funeris minuendis,accusantibus Fratribus Sancti Dominici, Brixiae s.d.; infine la già citata Epistola ad Franciscum Arigoneum, in cui il C. sosteneva che la patria di Plinio era Como. Presso il conte Giulio Caprioli di Brescia si conserva un ritratto del C., dal volto scarno, e austero, attribuito al Ferramola.
Fonti e Bibl.: Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 9265: G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittorid'Italia, ff. 330v-333v; L. Alberti, Descrittione ditutta l'Italia..., Bologna 1550, pp. 356-60; D. Codagli, L'historia orceana…, Brescia 1592, p. 73; O. Rossi, Elogi historici di Bresciani illustri, Brescia 1620, pp. 183-185; G. I. Vossius, De historicis latinis libri tres, Lugduni Batavorum 1627, p. 812; M. Zeiller, Historici,chronologia et geographi celebres..., Ulmae 1652, pp. 33, 49; L. Cozzando, Della libraria bresciana..., I, Brescia 1685, pp. 146, 210; G. G. Gradenigo, PontificumBrixianorum series..., Brixiae 1755, pp. III, IX, 59 s., 75, 81, 280, 292; Lettere del canonico P. Gagliardi..., a cura di G. B. Chiaramonti, II, Brescia 1763, pp. 208 s., 214; V. Peroni, Biblioteca Bresciana..., I, Brescia 1818, pp. 235-37; M. Baratta, Sopra un'antica carta del territorio bresciano, in Boll. della R. Soc. geogr. ital., s. 5, II (1913), pp. 1027-1031; A. Gnaga, Sopra due cartegeograf. del Bresciano edite in Brescia nel secoloXVI, in Comm. dell'Ateneo di Brescia, CXXXIX-XCLI (1940-1942), pp. 113-26; Storia di Brescia, Brescia 1963-64, I, pp. 240, 614, 952; II, pp. 182, 200, 223, 228, 307, 429, 432, 476, 486, 493, 494, 545, 557, 1001; III, pp. 948, 991, 1034 s.