ELEUSI ('Ελευσίς, Eleusis, oggi Lefsína)
Piccola città dell'Attica, famosa per quasi mille anni grazie al santuario di Demetra e Core e ai riti sacri fin da età preellenica ad esso collegati. La località di Eleusi, dove oggi, non lungi dalle rovine del santuario, sorge un piccolo villaggio albanese (ormai rapidamente avviato a divenire cittadina industriale), con una stazione sulla linea ferroviaria Atene-Corinto, è situata sull'omonima baia, di contro alla costa settentrionale dell'isola di Salamina. La pianura di Eleusi o pianura Triasia, è separata dalla pianura di Atene per mezzo del gruppo montuoso dell'Egaleo (oggi Skaramangá), diviso in due parti dal passo di Daphní, traverso cui la Via Sacra collegava Atene ad Eleusi. Oltre Daphní la strada attraversava una zona paludosa e quindi piegava a ovest in direzione del santuario. La via, a partire da Atene, era fiancheggiata da monumenti che Pausania ricorda e descrive (I, 36, 3). Nell'ultimo tratto il corso del Cefiso eleusinio, cui spesso si dovevano inondazioni della pianura, fu regolato grazie ad argini ordinati da Adriano. Sin dal sec. V a. C. si era provveduto a munire di un ponte per la processione sacra il più orientale dei Reitoi (lagune d'acqua salata), mentre sullo scorcio del sec. IV è attestata la costruzione di un ponte sul Cefiso ateniese.
Storia. - Eleusi fu una delle dodici città dell'Attica originariamente indipendenti che Teseo avrebbe riunite in un unico stato. L'assorbimento di Eleusi dovette essere l'ultimo atto dell'unificazione e dovette cadere alla fine del sec. VIII o ai primordî del VII, poiché l'inno omerico a Demetra, che sembra del secolo VII ed è prodotto epico locale per uso del santuario, rappresenta Eleusi come città indipendente, governata da proprî re, segno che il ricordo dell'indipendenza era ancora vivo e vicino. Favorita dall'opportunità della posizione strategica sulla strada da Atene a Megara e dall'importanza del culto locale di Demetra, la città dovette dominare tutta la pianura Triasia, per un'estensione di 140 km. quadrati. La rada di Eleusi poteva competere col Falero come sbocco sul mare. Si scorgono ancora avanzi di una muraglia, il cosiddetto δέμα che chiudeva il passaggio dalla pianura attica all'eleusinia fra il Parnete e l'Egaleo, e Pausania (I, 38,1) ricorda i Reitoi come confine fra i due territorî. La tradizione parla di guerre fra Atene ed Eleusi e ricorda la lotta del re di Atene Eretteo col re Eumolpo. Tuttavia l'unione fra Atene ed Eleusi si fece per un accordo pacifico, poiché piena parità di diritti si stabilì fra Eleusini ed Ateniesi. Le genti eleusinie dei Cerici e degli Eumolpidi conservarono i loro privilegi. Come Acarne, Eleusi provvedeva direttamente alla propria amministrazione. Ebbe persino il diritto di batter moneta. Nell'ordinamento di Clistene formò una trittia della tribù Ippotoontide. Diede al teatro di Dioniso il fondatore della tragedia greca, Eschilo, che portò forse nella costituzione del dramma l'esperienza attinta alle sacre rappresentazioni del santuario. Durante le guerre persiane i barbari distrussero il santuario. Fu fortezza di frontiera nella guerra del Peloponneso: nel 403 i Trenta ne fecero una loro base nella lotta contro Trasibulo, dopo averne mandato a morte la popolazione maschile, e servì come base anche a Lisandro, invocato dagli oligarchi in soccorso contro i democratici del Pireo. Dopo la conciliazione (403) i seguaci dei Trenta ebbero la concessione di ritirarsi a Eleusi dichiarata indipendente, poi di nuovo riunita ad Atene (401-400). Come fortezza fu occupata anche nel 295 a. C. da Demetrio Poliorcete, e liberata poi da Democare; dopo fu tra le fortezze dell'Attica che Antigono Gonata circa il 255 restituì ad Atene.
L'importanza del luogo, che si mantenne viva per tutta l'età romana grazie ai misteri, ricevette un colpo mortale quando, nel 381 d. C., l'editto dell'imperatore Teodosio chiuse per sempre il santuario delle due dee. Pochi anni più tardi, nel 396, distrutta dai barbari di Alarico, Eleusi disparve dalla storia e quasi dal suolo. J. Spon e G. Wheler che la visitarono nel 1626 la trovarono completamente deserta. Solo più tardi, gruppi di Albanesi vi fissarono la loro dimora, ed ora la vita industriale moderna si afferma vigorosa tra le rovine del luogo che fu tra i più sacri della Grecia antica.
Topografia e monumenti. - Eleusi sorgeva a pochi passi dal mare; sull'estremità orientale di una sottile cresta collinosa, parallela alla costa e alta in media 50 m., lunga km. 1 ½, stava l'acropoli, alla cui estremità sud-est, sopra una terrazza più bassa, si stendeva il temenos di Demetra (per la cui descrizione v. appresso) e più a oriente, la città bassa di cui non restano tracce sicure. L'acropoli, circondata di mura ancora in parte conservate (le fortificazioni sono riconoscibili nel lato nord, e meno chiaramente nel lato sud), porta ad oriente, visibile di lontano, la cappella di S. Nicola, a occidente una torre franca in cui sono murati antichi avanzi. Questa torre medievale poggia su fondazioni antiche e occupa il punto più alto e più occidentale del colle. Sulla cresta, fra le mura di fortificazione, vi sono alcune antiche cisterne scavate nella roccia. Sul lato meridionale del colle, di fronte al mare, R. Chandler nella seconda metà del sec. XVIII vide tracce d'un teatro, ma queste ora sono scomparse. L'esistenza di un teatro è del resto attestata da iscrizioni. Vi era anche uno stadio vicino al teatro, come apprendiamo pure da un'iscrizione. La città era situata sul terreno piano alla base del colle, specialmente fra l'estremità sud-est del colle e il mare. Si possono ancora vedere le tracce delle due mura cittadine che dall'acropoli fiancheggiando l'abitato scendevano sino al mare. Di queste mura l'orientale era costruita sulla sommità di un argine artificiale gettato attraverso il piano paludoso. Questo braccio, secondo una pratica in uso fra gli architetti militari greci, fu prolungato entro il mare, in modo da formare un frangente per il porto. Questo, piccolo e quasi circolare, era formato da due moli ricurvi che si spingevano nel mare per circa 60 metri. Il frangente formato dalla continuazione del muro si avanzava nel mezzo del porto, dividendolo in due parti, senza protendersi nell'acqua tanto quanto i due moli esterni. Avanzi di mura si vedono ancora sulla spiaggia a occidente del porto.
Le tracce più antiche d'abitazione nel luogo di Eleusi risalgono all'età neolitica. Notevoli le tracce dell'età micenea, fra cui la tomba a cupola nel lato sud dell'acropoli e due lamine d'oro con ornati. Il ferro vi appare in una necropoli che segna la transizione fra il miceneo e lo stile del Dipylon. In una tomba con prodotti non progrediti dell'arte del Dipylon si rinvenne uno scarabeo egiziano che sembra spettare a Pi‛ánḫe I, faraone etiope del sec. VII.
Dal punto di vista archeologico è particolarmente importante il santuario, sia topograficamente sia per le opere d'arte che gli appartennero, sia per la rappresentazione di qualche parte delle sacre cerimonie, sulle quali come sul santuario gl'iniziati giuravano di mantenere il segreto. Per la topografia del santuario abbiamo però ora la testimonianza del monumento, scavato a più riprese: nel 1817 dagl'Inglesi, nel 1860 da F. Lenormant e specialmente nel 1884-87 dalla Società archeologica di Atene, sotto la direzione di D. Philios e di A. Skias. Il santuario era fortificato, e una doppia cinta ne impediva l'accesso ai profani. Esso ebbe origini antichissime, che risalgono all'età micenea, alla metà del II millennio a. C. Specialmente il salone dei misteri, il Telesterion, ha rivelato chiaramente le tracce dei suoi successivi ampliamenti. Piccolo era in età micenea e aveva già il suo muro di cinta; all'età dei Pisistratidi, nella seconda metà del sec. VI, fu ampliato, e si costruirono le due cinte di mura, dando al santuario un'ampiezza che fu quasi la definitiva. Dopo le guerre persiane vi fu un restauro di Cimone (480-450 a. C.); ma più importanti furono i lavori di Pericle, che ampliò la cinta, prolungandola dalla parte di SO. e costruendo una terrazza con torri davanti al Telesterion, trasformò questo ingrandendolo, col disegno, restato incompiuto, di cingerlo di un peristilio. Sempre in direzione di SO. un grande ampliamento ebbe luogo nel sec. IV, con una cinta di mura, turrita, di Licurgo, e la costruzione di un buleuterio: il Telesterion poi ebbe da Filone un ampio portico d'ingresso. In età romana, mentre il buleuterio fu cambiato in portico, si trasformarono monumentalmente le entrate principali. La cinta più interna ebbe, in età ciceroniana, i sontuosi propilei di Appio Claudio Pulcro; quella esterna li ebbe invece al tempo di Adriano; si rese allora impossibile entrare con veicoli. La disposizione dei propilei fu studiata in modo da rendere nascosta la vista dell'interno del santuario, anche quando le porte erano aperte.
Percorrendo ora le rovine (le più però quasi rase al suolo e riconoscibili quindi solo nella pianta) si entra per i Grandi Propilei, che erano fiancheggiati, a una certa distanza, da due archi di trionfo di età adrianea. A sinistra, tra i propilei e una torre del recinto pisistrateo, è il pozzo Kallichoros sul cui margine sedette Demetra al suo giungere in Eleusi, e che è ricordato già nell'inno omerico. I Grandi Propilei, di marmo pentelico, erano particolarmente fastosi, con doppia fronte di 6 colonne doriche e duplice colonnato di tre colonne ioniche nell'interno.
Lo spazio tra la 1ª e la 2ª cinta era occupato da edifizî e da uno spazio dove si raccoglievano gl'iniziandi, che evidentemente dovevano subire un controllo per entrare. Nella cinta interna di Pisistrato, la porta originaria fu sostituita, come dicemmo, verso il 54 a. C. dai Piccoli Propilei di Claudio Pulcro, con colonne ornate di splendidi capitelli, cariatidi, fregio e iscrizione dedicatoria. Di là da essi si percorreva la Via Sacra nel suo ultimo tratto, lasciando a destra il Plutonion, col tempio di Plutone e una sacra grotta, rappresentante l'entrata agl'Inferi, dove il dio aveva portato Core. A destra, sui varî terrazzamenti della collina, erano i templi: quello piccolo, forse di Ecate, poi quelli di Core e di Demetra, del tutto periti. Si giungeva così al Telesterion, salone a pianta quadrata, dove avveniva l'iniziazione. Il piccolo, miceneo, di 17 metri di lato, era già stato sostituito, al tempo di Pisistrato, da uno di 27, con 5 file di 5 colonne; Cimone, dopo l'incendio appiccato all'edificio dai Persiani, lo prolungò verso la collina, raggiungendo una lunghezza di 44 m. e cominciando una scalea su cui sedevano i partecipanti. Questo salone, che era diviso in quattro navate da 3 filari di 7 colonne, fu riportato alla pianta quadrata da Pericle, che accanto al salone di Cimone ne fece costruire un altro delle stesse dimensioni, diviso da due colonnati di 4 colonne ciascuno. Forse le due sale, che così dissimmetriche non sarebbero state bene unite, rimasero separate da un muro e destinate una ai mystai e l'altra agli epoptai. Architetti furono Corebo, Metagene e Xenocle, su piano, secondo Plutarco, di Ictino. Alla fine del sec. IV (al tempo di Demetrio Falereo) l'edifizio ebbe il portico dorico dall'architetto Filone. Solo in età imperiale l'interno fu rifatto e diviso in otto navate, mercé 7 file di 6 colonne ciascuna: intorno intorno erano 8 file di scalini, in parte tagliati nella roccia, in parte costruiti. L'insieme costituiva una sala coperta di m. 51, 15 per 51,80, con un totale di 2717 mq. e un'altezza di circa 6 metri, nel piano inferiore; al disopra di questo era un secondo piano. Il tutto doveva avere un aspetto singolarmente simile a quello di alcune moschee.
Oltre alla bellezza architettonica, il santuario dovette esser pieno di opere d'arte, specialmente di sculture. Nel naufragio del mondo antico andò distrutta la massima parte di questi tesori, ma furono rinvenuti parecchi rilievi, i più dei quali sono raccolti nel piccolo museo locale. Il più bello, alto m. 2,20, trovato non nel santuario, ma nei pressi, è ora al museo di Atene ed è un capolavoro d'arte attica della metà circa del sec. V: rappresenta Demetra che dà al giovane Trittolemo il dono delle spighe, mentre Core lo incorona.
Tra le sculture, la più pregevole è un busto di giovane, nel quale si è riconosciuto Eubuleo a causa di un'erma acefala del Museo Vaticano che porta il nome di Eubuleo: è certo opera prassitelica, essendo ricordato di Prassitele un Eubuleo, insieme con un Trittolemo, poi portato a Roma negli Orti Serviliani.
I misteri eleusini.
I misteri eleusini erano delle celebrazioni religiose le quali conferivano a quelli che vi erano ammessi, e soltanto a loro, la certezza di una sorte migliore nell'al di là. Le divinità titolari dei misteri erano Demetra e sua figlia Persefone, la Core (Κόρη "ragazza") per eccellenza. Oltre a queste "due Dee" erano venerati ad Eleusi Plutone, la coppia anonima del "Dio" e della "Dea", Ecate, Trittolemo, Iacco, e qualche altra divinità. La più antica menzione dei misteri (ὄργια) si ha nell'inno omerico a Demetra (v. 476), dove è narrato il mito di Core rapita da Ade-Plutone e di Demetra che peregrinando in cerca della figlia giunge ad Eleusi ed ivi insegna agli abitanti l'agricoltura e fonda i misteri. I misteri eleusini avevano origini molto antiche (probabilmente preelleniche) e risalivano ad un primitivo culto locale di carattere agrario. Di tipo arcaico è il sacerdozio eleusino, ereditario in seno a determinate famiglie: il ierofante (mostratore delle cose sacre), che era il sacerdote principale, apparteneva alla famiglia degli Eumolpidi, il daduco (tenitore della fiaccola) alla famiglia dei Kerykes.
Tuttavia assai per tempo Atene cominciò a ingerirsi nelle cose del santuario. Per proteggere i templi e difendere questa frontiera, spesse volte minacciata, uno dei dieci strateghi (στρατηγὸς ἐπ 'Ελευσῖνος) aveva la cura della regione; ogni anno gli efebi vi erano accantonati per completare in questa fortezza la loro educazione militare. Nella regione di Eleusi, di fronte alle famiglie sacerdotali, l'arconte re rappresentava la città e offriva a nome dello stato sacrifici solenni; con l'assistenza dei quattro epimeleti dei misteri, di cui due erano presi fra gli Ateniesi, sorvegliava la processione degl'iniziati, e dopo la festa presentava al consigfio un rapporto sulla celebrazione dei misteri e sulle infrazioni commesse; inoltre dieci membri della bulè dei Cinquecento vegliavano sull'esatto compimento dei riti che nella religione eleusinia interessavano la città. Ma soprattutto nell'amministrazione delle ricchezze sacre la città si riservava una parte preponderante. Le entrate venivano dall'affitto dei terreni sacri, dalle decime sui raccolti offerte alle Grandi Dee, dalle offerte votive deposte nei tesori, mentre le spese riguardavano gli edifici, le cerimonie e il mantenimento del personale. Tutta quest'amministrazione era nelle mani di Atene.
La celebrazione dei misteri, quale si praticò in forma solenne specialmente dopo l'aggregazione di Eleusi allo stato ateniese, aveva luogo una volta all'anno nel mese boedromione (settembre-ottobre), durante una tregua sacra di 55 giorni preannunziata da araldi appositamente spediti alle varie città della Grecia. Una specie di preludio si aveva nei piccoli misteri, che si celebravano dal 19 al 21 del mese antesterione (febbraiomarzo) nel sobborgo ateniese di Agre in un piccolo santuario in riva all'Ilisso: essi impartivano una specie di iniziazione preliminare - a base di riti catartici - che era condizione indispensabile per essere poi ammessi ai grandi misteri. Il 13 boedromione gli efebi ateniesi si recavano in corpo a Eleusi. Il 14 i sacri oggetti (τὰ ἱερά), che usualmente erano custoditi in un locale speciale del telesterion, chiamato anáktoron, a cui soltanto il ierofante aveva accesso, erano tratti fuori e, sopra un carro, entro appositi canestri che li nascondevano alla vista, erano portati in processione ad Atene, scortati dagli efebi; a un certo punto del percorso, la processione si fermava, fin che le autorità ateniesi, ricevuto ufficialmente l'annunzio dell'arrivo, le andavano incontro seguite dalla folla dei cittadini: indi il corteo proseguiva sino all'Eleusinion, cioè al santuario ateniese delle divinità eleusinie (situato presso le pendici dell'Acropoli), dove erano introdotti i "sacri oggetti", e ivi restavano custoditi sino al giorno 19. Il 15 era il giorno dell'adunata (ἀγυρμός) degl'iniziati nel Pecile e del proclama (προρρηεις) con cui, fra l'altro, si notificava quali erano le persone cui era vietata la partecipazione ai misteri (in primo luogo era vietata a chi avesse commesso un reato di sangue). Il 16 gl'iniziati si recavano in riva al mare (ἅλαδε μῦσται) e ivi si bagnavano a scopo lustrale, traendo seco e immergendo un porchetto che poi ciascuno doveva immolare (quasi "porchetto emissario" destinato a eliminare le impurità). Nei due giorni seguenti - 17 e 18 boedromione - v'era un'interruzione, perché in essi cadeva la celebrazione delle feste di Asclepio (Epidauria), cui gli iniziati non partecipavano, restando ritirati per evitare ogni eventuale menomazione del loro stato di purità. Il giorno 19 aveva luogo la grande processione solenne che riportava da Atene a Eleusi i sacri oggetti (sempre accuratamente nascosti alla vista), con larga partecipazione di iniziati, sacerdoti, magistrati e popolo: in varî punti del percorso si facevano delle fermate che davano luogo a sacrifizî e ad altre diverse operazioni rituali (tra cui quella del legarsi - gl'iniziati - delle bende color zafferano alla mano destra e al piede sinistro). Riportati i sacri oggetti entro il telesterion, in questo si svolgeva, nei giorni, o piuttosto nelle notti, dal 20 al 22 boedromione, la parte segreta dei misteri, riservata ai soli iniziati e iniziandi. Essa comprendeva: l'iniziazione dei neofiti (a complemento di quella preliminare dei "piccoli misteri"); il conferimento di una ulteriore iniziazione di secondo grado o epoptea (ἐποπτεία) a coloro che già erano iniziati, a condizione che fosse trascorso non meno di un anno dall'iniziazione di primo grado; esecuzioni di carattere drammatico. In quale momento ciascuna di queste celebrazioni avesse luogo e in quale ordine si succedessero, possiamo affermare solo in via congetturale.
Nell'iniziazione di primo grado sono da distinguere alcuni riti preliminari di carattere catartico, costituenti la μύησις in senso stretto, e l'iniziazione vera e propria, o τελετή. A quest'ultima si riferisce una formula (σύνϑημα) tramandata da Clemente Alessandrino, Protrept., II, 21 (e, in versione latina, da Arnobio, Adv. nat., V, 26), in cui sono adombrati in termini alquanto oscuri i successivi atti rituali di cui l'iniziazione (τελετή) constava. La formula è in prima persona (forse era destinata a esser pronunziata - dietro invito del ierofante? - dai già iniziati nel momento di ricevere l'iniziazione di secondo grado), e dice: "Io digiunai, bevvi il ciceone, presi fuori dalla cista, dopo avere operato deposi nel calato, e dal calato nella cista". Il ciceone (κυκεών) era, secondo l'inno a Demetra (v. 208 segg.), una bevanda a base di acqua, con l'aggiunta di farina d'orzo e di un'erba speciale (γλήχων) del genere della menta. Il calato (καλαϑος) è una specie di moggio: secondo alcuni esso non apparterrebbe al rito eleusinio, ma soltanto al rito della filiale alessandrina dei misteri, che Clemente avrà conosciuto più direttamente. La cista è il canestro di vimini intrecciati di forma cilindrica (frequentemente rappresentato sui monumenti eleusinî) entro il quale erano trasportati sul carro i "sacri oggetti" nella processione da Eleusi ad Atene e da Atene a Eleusi. Sono appunto questi sacri oggetti che l'iniziando, al fine dell'iniziazione, doveva, come dice la formula, prender fuori dalla cista, eseguire con essi una certa operazione, e poi riporli (nel calato e) nella cista. Secondo l'opinione più accreditata i sacri oggetti erano riproduzioni plastiche dell'organo genitale femminile: l'operazione da parte dell'iniziando consisteva nel far scivolare tali oggetti sulla sua persona. Per virtù di questo atto sacramentale era come se egli nascesse dal seno della dea, diventando per ciò figlio della gran madre Demetra, era come una seconda nascita da cui aveva inizio una seconda vita (cfr. Pind., framm. 137 Bergk): il mistero eleusinio era dunque un mistero della figliolanza. In questa connessione sarà da intendere anche l'altra formula che un altro scrittore cristiano (Hippol., Ref. omn. haer., V, 8) riferisce come pronunziata dal ierofante: "Un sacro figlio generò la Signora, la Forte [generò] un forte". L'ostensione di un sacro oggetto da parte del ierofante era anche l'atto culminante del conferimento della epoptea o iniziazione di secondo grado: l'oggetto, in questo caso, era una spiga di grano matura (Hippol., loc. cit.), che il ierofante mostrava con gesto solenne in silenzio alla moltitudine adunata degl'iniziati. L'epoptea era dunque, a quanto pare, conferita con rito collettivo, mentre la prima iniziazione (τελετή) aveva carattere individuale, essendo i varî atti di cui sopra ripetuti singolarmente da ciascun iniziando. Quanto alle "sacre rappresentazioni", esse si eseguivano (specialmente a quanto pare, nell'ultima notte) davanti agl'iniziati (anche ai neo-iniziati?) ammassati sulle gradinate del telesterion, e avevano per soggetto il mito divino delle "due Dee". Le parti erano sostenute dai varî sacerdoti e sacerdotesse. Piuttosto che di una vera e propria azione drammatica e scenica, di cui il colonnato avrebbe a molti impedito la visione, si sarà trattato di una specie di pantomima, con particolare riguardo a quegli episodî del mito che per essere più movimentati (Core in atto di cogliere fiori, Demetra che va qua e là in cerca della figlia, ritorno di Core) si prestavano a molteplici spostamenti da un punto all'altro, con che la visione era agevolata.
Essendo le cerimonie segrete è ovvio che di esse non ci sia giunta alcuna raffigurazione. Esistono però alcune rappresentazioni, quali quella dell'urna marmorea trovata a Roma nel colombario degli Statilî (ora al Museo Nazionale romano), di lastre romane di terracotta (dette Campana), di un sarcofago di Torrenova, ecc., che indubbiamente, per la presenza delle divinità eleusinie, riproducono scene di purificazione che hanno relazione con la preparazione ai misteri: è possibile tuttavia che esse, anziché quelle del santuario originario di Eleusi, siano quelle dei misteri dell'Eleusi, un sobborgo di Alessandria. Le scene si dividono in tre gruppi: nel primo è la grande triade dei misteri (Demetra, Core e Iacco): l'una siede sulla cista mistica, la seconda ha la face, e Iacco, vestito di chitone lungo sino ai piedi, scherza col serpente sacro a Demetra; gli altri due rappresentano scene d'iniziazione: quella dove un sacerdote tiene il sacro vaglio (λῖκνον) sulla testa dell'iniziato, col capo velato, e l'altra in cui un sacerdote (la testa ha il tipo del Dionysoplaton da Ercolano, a Napoli) offre una libazione, mentre l'iniziando presenta il porchetto rituale.
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