ELETTROMAGNETISMO
. Venti anni dopo la scoperta di Volta, il fisico danese, H. C. Orsted, in un suo opuscolo memorabile (Experimenta circa efficaciam conflictus electrici in acum magneticum, Copenaghen 1820) fece conoscere un fatto che mostrando una connessione tra i fenomeni elettrici e magnetici, diede origine a un nuovo ramo della scienza naturale detto elettromagnetismo, e si rivelò fecondo delle conseguenze più mirabili, per la conoscenza teorica del mondo fisico e per le applicazioni. Orsted constatò che ogni qualvolta una corrente percorre un filo conduttore posto in vicinanza d'un ago magnetico mobile, l'ago viene deviato. Un fenomeno di questo tipo, a vero dire, era già stato osservato, per quanto incompletamente e parzialmente, da G. B. Romagnosi di Trento, nel 1802, ma nel mondo scientifico era passato inosservato. L'esperienza classica di Orsted si fa con un ago magnetico imperniato a guisa di bussola, cioè girevole in piano orizzontale; l'ago spontaneamente si rivolge verso il nord, ma se una corrente passa in vicinanza all'ago, e parallelamente ad esso, l'ago stesso tende a rivolgersi verso la direzione ovest-est, e tanto più vi si avvicina quanto più intensa e vicina è la corrente.
Fino ad allora, i fenomeni dell'elettricità e del magnetismo si presentavano del tutto separati nelle conoscenze dei fisici. Si ammettevano, per es., due fluidi elettrici, capaci di attrazioni e repulsioni fra loro e due fluidi magnetici, similmente capaci di attrarsi e respingersi, e la teoria matematica di queste attrazioni e repulsioni era stata sviluppata da C. A. Coulomb e da S. D. Poisson in base all'esperimento (v. elettricità): ma nulla si sospettava di azioni reciproche fra elettricità e magnetismo.
L'annuncio pubblico del nuovo fenomeno fu fatto da Orsted il 21 luglio 1820 a Copenaghen, e attrasse subito l'attenzione. Il fisico francese F. G. D. Arago ne ebbe notizia a Ginevra, e ripeté l'esperimento a Parigi il giorno 11 settembre all'accademia delle scienze. Fra i presenti alla dimostrazione era André Marie Ampère, professore nella scuola politecnica. Ampère ne rimase impressionato profondamente. Egli immediatamente montò nel suo laboratorio una pila voltaica e con una serie di aghi magnetici in condizioni variate proseguì le prove. Una settimana dopo, il 18 settembre 1820, Ampère presentava all'Accademia la sua prima comunicazione ove estendeva grandemente i risultati del fisico danese, e con precisione e chiarezza inimitabile mostrava i primi fondamenti logici e matematici della nuova scienza. Immediatamente successive furono le ricerche quantitative di J. B. Biot e di F. Savart, comunicate all'Accademia stessa nel 1820, e pubblicate nel Journal des savants del 1821; esse vennero a conclusione con la formula enunciata da P. S. Laplace, la quale, sostituendosi a tutte le altre più complesse, dava il valore della forza meccanica esercitata da un elemento di corrente sopra un polo magnetico.
Nello stesso anno 1820, T. J. Seebeck, fisico a Reval, magnetizzava l'acciaio facendogli circolare attorno una corrente elettrica, e ne dava notizia in una pubblicazione fatta insieme con Örsted. Arago indipendentemente aveva fatto in Francia la stessa esperienza. E quasi contemporaneamente i tedeschi J. S. C. Schweigger e J. C. Poggendorff immaginavano il cosiddetto telaio moltiplicatore, cioè un dispositivo costituito da un telaio rettangolare su cui è avvolto, in molte spire, un filo conduttore ricoperto di strato isolante: imperniando un ago nel centro, in modo che sia diretto orizzontalmente e parallelamente al lato lungo del rettangolo, avviene che quando una corrente circola nell'avvolgimento attorno al telaio, ogni lato di ogni spira agisce sull'ago a guisa di uno dei conduttori singoli sperimentati da Örsted e da Ampère, e l'effetto della corrente resta moltiplicato.
Da qui nacquero il galvanometro semplice e quello astatico, apparecchio costruito nel 1825 a Firenze dall'italiano L. Nobili, tanto per rilevare correnti piccolissime, quanto per misurare, con opportuni dispositivi, correnti d'intensità qualunque; e fu il primo apparecchio elettromagnetico a scopo applicativo; e si costruisce sostanzialmente identico ancora oggi.
La bussola dei seni, quella delle tangenti, il reometro di H. D. Ruhmkorff furono apparecchi derivati da quello di Nobili, a scopo di misure di correnti, ma oggi caduti in disuso. Nel tempo stesso, dal moltiplicatore derivarono i solenoidi e le bobine, cioè gli avvolgimenti di filo conduttore in spire, effettuati generalmente con molti giri di filo intorno a uno spazio interno assai sviluppato nel senso longitudinale (cioè nel senso normale ai piani delle spire). Questi dispositivi permettono di mettere maggiormente in evidenza le azioni esercitate dalle correnti elettriche sui magneti.
Partendo da questi precedenti, Ampère in prosecuzione alle sue prime ricerche sottopose a una larga e rigorosa investigazione sperimentale tutte le forze meccaniche esercitate dalle correnti sui magneti e dai magneti sulle correnti, pervenendo anche a determinare quelle fra correnti e correnti. Egli meditò ulteriormente sul legame intimo fra elettricità e magnetismo, e fu condotto a considerare tutti i fenomeni di corrente elettrica e di magnetismo temporaneo e permanente siccome dovuti a un meccanismo unico: precisò quest'idea asserendo che le proprietà dei corpi magnetizzati sono dovute a correnti permanenti che circolano nelle molecole; quando queste correnti sono orientate tutte nello stesso senso la loro riunione equivale a un solenoide: ed è per questo che un magnete e un solenoide producono lo stesso effetto. Secondo questa teoria, che sostanzialmente coincide con quella accettata oggi, le azioni magnetiche devono essere risultanti di azioni fra correnti elettriche. L'esperienza provò che effettivamente i conduttori percorsi da correnti agiscono meccanicamente l'uno sull'altro a distanza. Queste azioni furono dette ellettrodinamiche, e non sono che una forma particolare di quelle elettromagnetiche.
Ampère approfondì specialmente questo campo. Le prime leggi qualitative da lui rilevate sono queste: a) due correnti parallele e dirette in opposti sensi, si respingono; b) due correnti parallele dirette nello stesso senso, si attraggono; c) due correnti ad angolo acuto si attraggono quando entrambe sono dirette verso il vertice dell'angolo o entrambe se ne allontanano; si respingono nel caso contrario; d) una corrente angolare tende a divenire rettilinea; e) una corrente sinuosa può essere sempre sostituita da una rettilinea purché sia diretta nello stesso senso e non si allontani molto dall'altra; f) una corrente chiusa e girevole intorno a un asse verticale giacente nel suo piano, viene sollecitata dalla Terra a muoversi e disporsi in un piano perpendicolare a quello del meridiano magnetico; g) un solenoide equivale in tutto a un magnete (nelle azioni esercitate all'esterno) tanto per le azioni che esercita su correnti o magneti, quanto per quelle che subisce da parte di correnti o magneti. L'insieme di queste constatazioni veniva incluso nella legge di Biot e Savart che dà quantitativamente la forza esercitata da un elemento di corrente su un polo magnetico, e in quelle enunciate da Ampère per l'azione attrattiva o repulsiva mutua di due elementi di corrente (v. sotto).
Parallelamente a questa teoria, progrediva l'arte di costruzione degli apparecchi, e Arago, dopo le prime esperienze di magnetizzazione compiute nel 1820, insegnava a costruire regolarmente gli elettromagneti, cioè i magneti temporanei formati con un nucleo di ferro dolce (comunemente diritto, o a ferro di cavallo) su cui è avvolto un solenoide percorso da corrente. Gli elettromagneti costruiti da Pouillet, da C. Haldat e da altri, attrassero l'attenzione per la potenza delle loro manifestazioni. Le regole di costruzione efficace degli elettromagneti venivano dettate nel 1831, in seguito a una serie di esperienze, dall'americano Joseph Henry, di Albany. Ne seguirono invenzioni di telegrafi elettrici. Il primo telegrafo in uso pratico fu installato in Inghilterra lungo le ferrovie Great Western nel 1838, e costituì la prima applicazione degli elettromagneti. Ma un altro grande gruppo di fenomeni, consistenti in azioni non più meccaniche (ponderomotrici) ma elettromotrici, venne rivelato con le esperienze intraprese da M. Faraday nel 1832.
Disponendo un circuito chiuso presso a un secondo circuito percorso da corrente elettrica, nessun fenomeno avviene nel primo finché nel secondo la corrente si mantiene costante e la posizione relativa è invariabile; se tuttavia qualcuno di questi elementi subisce una variazione, nel primo circuito viene indotta una corrente temporanea. Ancor più manifesto è il fenomeno della corrente indotta in un circuito, e più particolarmente in un solenoide, per effetto dell'avvicinamento o dell'allontanamento d'un magnete permanente o temporaneo. L'italiano C. Matteucci provò sperimentalmente che i fenomeni d'induzione sono prodotti anche dalle scariche d'origine elettrostatica quando attraversano avvolgimenti; questa constatazione era necessaria per constatare l'identità di natura fra l'elettricità statica e quella che si trova in circolazione nelle correnti elettriche. Faraday osservò infine i diversi fenomeni di induzione d'una corrente su sé stessa, completando così la conoscenza qualitativa del quadro dei fenomeni elettromagnetici.
Più difficile fu pervenire alle cognizioni quantitative per tutto quello che riguardava le correnti indotte. Per molto tempo attraverso lunghe ricerche sperimentali, i fisici cercarono di elencare relazioni tra la corrente indotta e quelle inducenti. Si riconobbe poi che le circostanze agenti determinano in modo diretto e semplice non già l'intensità della corrente indotta, bensì il valore della forza elettromotrice indotta; quindi è di quest'ultima e non della corrente indotta che conviene parlare.
Il campo sperimentale divenne più esteso e più interessante, pur senza rilevare fatti nuovi, con l'osservazione dei fenomeni d'induzione tra magneti, o elettromagneti, e masse metalliche in movimento rapido: disco di Foucault, cioè disco di rame che resta frenato quando viene fatto ruotare rapidamente tra i poli d'una calamita; dischi metallici che vengono trascinati in rotazione per effetto d'un elettromagnete rotante; esperienze di Matteucci sui dadi di rame massiccio posti in rotazione tra i poli di un'elettrocalamita, e che si arrestano quando questa viene eccitata.
Attraverso queste moltiplicate ricerche sperimentali e sotto l'influenza della nuova orientazione del pensiero dovuta agli schemi di Faraday, la teoria si avviò a un aspetto più semplice e più comprensivo. Venne in evidenza la nozione di campo magnetico, cioè si pensò alla regione in cui avvengono fenomeni magnetici, come a una regione in cui lo spazio ambiente, sia esso riempito da etere libero o da materia ordinaria, ha subito una perturbazione, si trova in uno stato fisico speciale; e si pensò a individuare questo stato, anche facendo astrazione dalla presenza dei corpi su cui il campo possa produrre effetti. Lo studio del campo magnetico terrestre, che si faceva per mezzo della bussola come istrumento esploratore, ma che si era abituati a concepire come fenomeno a sé, indipendentemente dalla presenza e dalla natura dell'istrumento stesso aveva già preparato a quest'ordine di idee. Faraday insegnò a rappresentare geometricamente l'andamento del campo per mezzo delle cosiddette linee di forza, cioè le linee che in ogni punto sono tangenti alla direzione lungo cui si orienta l'ago d'una bussola. I tubi che hanno per linee generatrici le linee di forza vennero detti tubi di forza. Le une e gli altri hanno servito come modello utile per rappresentare qualitativamente e anche quantitativamente un campo magnetico; e i tecnici e gli scienziati inglesi hanno aderito con particolare tenacia a questi concetti, cercando persino d'attribuire ai tubi di forza una qualche obiettività materiale.
Nei primi schemi teorici si era presa in considerazione la forza meccanica che in un punto d'un campo agisce in un polo magnetico ivi collocato; invece nel nuovo ordine di idee si riconobbe che, facendo il rapporto tra essa forza e l'intensità del polo, si ottiene un vettore fisico che è indipendente dalla maggiore o minore intensità del polo scelto per fare l'esplorazione. A questo vettore H fu dato il nome di forza magnetica o intensità del campo. Più tardi sir William Thomson, insegnò a sdoppiare quel vettore in due altri, uno a cui fu conservato il nome e il simbolo di forza magnetica, l'altro B che ricevé la denominazione di induzione magnetica. Nel sistema di misure C. G. S. elettromagnetico che si adoperava allora in prevalenza, i due vettori s'identificavano fra loro nello spazio libero da materia ponderabile; in ogni altro sistema di misure essi hanno valore ben diverso, ma vale il fatto che in ogni mezzo isotropo i due vettori hanno la medesima orientazione: in ogni caso l'uno, data la natura del mezzo, dipende dall'altro. Semplificata così l'impostazione, le leggi dell'elettromagnetismo ricavate dagli esperimenti hanno potuto, in questo secondo stadio di sviluppo della teoria, venir formulate in modo più completo e più semplice.
Legge prima. - Un circuito elettrico equivale in tutti gli effetti elettromagnetici esterni a una lamina magnetica che abbia come contorno il percorso del circuito stesso e potenza proporzionale all'intensità di corrente che percorre il circuito. (Per chiarimento si ricorderà che come lamina magnetica veniva definito un doppio strato magnetico, cioè una lamina avente polarità magnetica boreale su una faccia, australe sull'altra faccia; e come potenza d'una lamina s'intende il prodotto della densità areale di distribuzione della polarità magnetica su ogni singola faccia, per lo spessore della lamina). Il coefficiente di proporzionalità dipende dalle unità fondamentali di misura prescelte, e in tutti i sistemi di misura comunemente usati, come nei sistemi C. G. S. e in quello "razionalizzato" o definitivo, si assume uguale all'unità.
Corollario primo. - La forza magnetica prodotta da un circuito elettrico si ricava da un potenziale che in ogni punto ha il valore V = iw nel sistema elettromagnetico C. G. S., e il valore
nel sistema razionalizzato o definitivo (v. elettricità, nei paragrafi sui sistemi di misure); il simbolo i denota l'intensità di corrente, il simbolo ω denota l'angolo solido sotto cui dal punto considerato si vede il circuito. Ciò vuol dire che calcolato in ogni punto il valore dello scalare V secondo detta formula, si ricava la componente della forza magnetica H secondo una direzione qualunque prendendo la derivata parziale di V secondo quella di direzione, cambiata di segno. In particolare, le tre componenti del vettore H sono date da
Le linee di forza magnetica sono concatenate col circuito che porta la corrente; il senso è tale che, disponendo un orologio, approssimativamente, nel piano del circuito elettrico, in modo che la corrente circoli nel verso delle lancette, le linee di forza magnetica entrano dalla parte anteriore ed escono dalla posteriore.
Corollario secondo. - Il lavoro che farebbe un fittizio polo magnetico unitario nel circolare lungo una linea chiusa allacciata con un circuito elettrico avente intensità di corrente i ha il valore W = 4πi se misurato in unità C. G. S. elettromagnetiche; ovvero il valore W = i nelle corrispondenti unità razionalizzate.
Corollario terzo. - Una corrente elettrica rettilinea indefinita d'intensità i produce un campo di forza magnetica che in ogni punto P è diretto normalmente al piano determinato da P e dalla linea della corrente di guisa che le linee di forza sono circoli aventi la linea di corrente come asse. Detta r la distanza di P dalla linea stessa (o dall'asse della corrente), la forza magnetica in P ha il valore
in unità elettromagnetiche C. G. S., ovvero
nelle corrispondenti unità razionalizzate. Il verso della forza magnetica e quello della corrente elettrica sono in relazione come la rotazione e l'avanzamento d'una vite ordinaria.
Corollario quarto. - Una corrente circolare di raggio r produce un campo la cui linea di forza centrale è l'asse del cerchio. La forza nel centro O ha il valore
in unità elettromagnetiche C. G. S. ovvero
in unità razionalizzate.
Corollario quinto. - Un solenoide uniforme (cioè tale che il prodotto ni dell'intensità di corrente in una spira e del numero di spire per unità di lunghezza sia costante), privo di estremità (quindi infinito o rientrante) ha effetto magnetico nullo in ogni punto esterno al solenoide stesso.
Corollario sesto. - Un solenoide uniforme (nel significato di cui sopra, e cui simboli di cui sopra) cilindrico indefinito produce in ogni punto interno una forza magnetica data da
in unità C. G. S. elettromagnetiche, ovvero
in unità razionalizzate.
Corollario settimo. - Una corrente che fluisca longitudinalmente, uniformemente distribuita in un conduttore cilindrico vuoto indefinito produce campo magnetico nullo in tutti i punti dello spazio vuoto interno.
Corollario ottavo. - Una corrente che fluisca longitudinalmente, uniformemente distribuita in un conduttore cilindrico pieno indefinito produce nei punti esterni lo stesso campo magnetico come se fosse tutta concentrata nell'asse del conduttore.
Corollario nono. - Una corrente come descritta nell'enunciato precedente produee in ogni punto della massa del conduttore lo stesso campo magnetico, come se tutti i filetti di corrente che stanno a distanza minore dell'asse fossero concentrati sull'asse medesimo, e come se tutti quelli a distanza maggiore non esistessero.
Osservazione. - Il campo magnetico in un punto interno della sostanza conduttrice s'intende misurato esperimentando in una cavità infinitesima, praticata intorno al punto stesso, con risultato che è indipendente dalla forma della cavità.
Corollario decimo. - Un magnete cilindrico (finito e terminato da facce piane normali all'asse; o indefinito) uniforme, equivale in tutti gli effetti magnetici esterni a un solenoide uniformemente avvolto sulla sua superficie esterna, e tale che il prodotto ni del numero di spire per unità di lunghezza e dell'intensità di corrente sia uguale all'intensità di magnetizzazione I del magnete, cioè al rapporto tra il valore del polo magnetico che si forma a ciascuna delle due facce estreme e l'area della faccia stessa. In questo enunciato tanto I quanto i devono essere espresse entrambe in unità C. G. S. elettromagnetiche, o entrambe in unità razionalizzate.
Corollario undecimo. - Nell'ipotesi di cui sopra e coi simboli e le eguaglianze di cui sopra, vi ha identità fra i campi magnetici prodotti anche nei punti interni, purché il campo del magnete sia misurato in una spaccatura di spessore infinitesimo, normale alle linee magnetiche.
Legge seconda (di Biot e Savart; detta anche di Laplace). - Un elemento (fittizio) di corrente, d'intensità i e di lunghezza ds, produce in un punto P generico dello spazio una forza magnetica che è diretta normalmente al piano Pds; indicando con ril segmento che va dall'elemento ds al punto P, essa forza ha il valore
in unità C. G. S. elettromagnetiche; ovvero
nelle corrispondenti unità razionalizzate.
Questa legge non è interamente sperimentale, ma in parte convenzionale, perché l'elemento ids non è concepibile fisicamente isolato, ma deve far parte d'un circuito chiuso; per conseguenza al secondo membro della formula si può aggiungere un differenziale qualunque che dia integrale nullo lungo un circuito chiuso, e i risultati controllabili con l'esperimento risultano gli stessi. Si può quindi omettere la legge di Biot e Savart. Adottandola, la legge prima rimane inclusa.
Legge terza. - Un elemento di conduttore elettrico materiale di lunghezza ds, percorso da corrente i, subisce, quando è immerso in un campo magnetico il cui vettore induzione abbia il valore B, una forza ponderomotrice (forza meccanica) uguale al prodotto vettoriale dei due vettori ids e B (cioè proporzionale e normale all'area del parallelogrammo formato dai due vettori medesimi), in formula:
ovvero, cartesiamente:
Questa legge, a differenza della precedente, non è convenzionale, ma reale. L'elemento di conduttore non è fittizio, come l'elemento di corrente, poiché, agli effetti della forza ponderomotrice, si può pensare a un elemento singolo di conduttore materiale che appartenga a un circuito completo, e che sia meccanicamente snodato dal resto del circuito, mentre elettricamente vi si mantiene collegato; p. es. il conduttore potrebbe ricevere corrente ai suoi estremi mediante contatti striscianti, così come una sbarra trasversale a un binario che possa progredire lungo esso. Del resto, anche indipendentemente da ciò, si può sempre individuare la forza ponderomotrice che agisce su un elemento di conduttore appartenente a un circuito, separandola da quella che agisce sugli altri elementi del circuito.
Questa formula, nei testi che usano il sistema C. G. S. elettromagnetico, viene molte volte scritta col vettore H in luogo del vettore B; ciò avviene perché nell'applicazione della legge si presuppone esperienza fatta nello spazio libero; e ivi i due vettori H, B, essendo nel detto sistema di unità misurati dallo stesso valore numerico, si confondono abitualmente fra loro. Ma in ogni altro sistema, come quello "definitivo" (razionalizzato) e, quello C. G. S. elettrostatico, ecc., in cui questa confusione non è fatta, la forza ponderomotrice dipende dal valore di B e non da quello di H.
Corollario primo. - Un conduttore materiale rettilineo finito (che si suppone sempre far parte d'un circuito elettrico chiuso), di lunghezza l e percorso da corrente i il quale sia immerso in un campo magnetico B normale al conduttore stesso, subisce una forza ponderomotrice normale al conduttore e al campo, e misurata dal prodotto ilB in qualunque dei sistemi d'unità comunemente usati. Questa è la formula che si applica per i conduttori nei generatori e nei motori elettrici. Il verso della forza ponderomotrice rimane determinato in questo modo: se la corrente è diretta orizzontalmente da ovest verso est e se il campo è diretto orizzontalmente da sud verso nord, la forza è diretta verticalmente dal basso verso l'alto.
Corollario secondo. - Un conduttore elettrico lineare rigido che formi circuito chiuso, e sia percorso da una corrente i, e sia immerso in un campo magnetico qualunque, subisce nel suo insieme una forza ponderomotrice risultante, uguale a quella che subirebbe una lamina magnetica avente lo stesso contorno, dotata di potenza P = i, e immersa nello stesso campo.
Legge quarta. - Se un conduttore elettrico lineare materiale, aperto o chiuso, si muove in un campo magnetico fisso, lungo esso si sviluppa una forza elettromotrice indotta uguale al flusso magnetico tagliato o "spazzato" dal conduttore nell'unità di tempo. Con la dicitura "campo magnetico fisso" s'intende un campo prodotto da un sistema di corpi (magneti e correnti elettriche) invariabili e solidali fra loro, di guisa che si possa definire un sistema di riferimento collegato con le "cause del campo", e che rispetto a questo sistema di riferimento Oxyz il campo abbia in ogni singolo punto (x, y, z), un valore indipendente dal tempo. La misura della f. e. m. deve essere fatta da un osservatore collegato col detto sistema di riferimento. Con l'altra dicitura, di flusso magnetico tagliato, o spazzato, o attraversato dal conduttore nell'unità di tempo s'intende il flusso che attraversa da parte a parte la superficie ideale generata dal conduttore nel suo moto (quale esso appare rispetto al detto sistema di riferimento), nell'unità di tempo. E la locuzione "unità di tempo" deve essere intesa come al solito, così che si deve considerare la superficie generata dal conduttore in un tempuscolo, e immaginare misurato il flusso elementare che passa attraverso a detta superficie e indi dividere questo flusso elementare pel tempuscolo. Il verso della f. e. m. indotta si determina dicendo che se un tratto di conduttore è verticale, e si muove con velocità diretta da ovest verso est, in un campo magnetico diretto da sud verso nord, la f. e. m. indotta è rivolta dal basso verso l'alto.
In questa legge il conduttore è un'entità reale, anche se non fa parte d'un circuito chiuso. La f. e. m. si può intendere misurata per mezzo di fili conduttori che tocchino (con contatti striscianti se occorre) le estremità del conduttore, e mantenendo un percorso invariabile rispetto al sistema di riferimento anzidetto, conducano a un voltmetro, pur esso fermo rispetto al sistema di riferimento; ma può anche definirsi e misurarsi elettrostaticamente.
Forma più materiale della legge medesima è quella che era preferita, soprattutto dagl'Inglesi, qualche tempo fa: considerando nel campo tracciato le linee magnetiche (di solito denominate impropriamente linee di forza; mentre si dovrebbe parlare di linee d'induzione, perché nei mezzi non isotropi o diversi dallo spazio libero, e anche nello spazio libero quando si adottino misure diverse da quelle C. G. S. elettromagnetiche, l'induzione B differisce come si è detto dalla forza magnetica H) in modo che una linea corrisponda a un tubo di flusso (flusso d'induzione, non di forza) unitario, la f. e. m. indotta è uguale al numero delle linee magnetiche che il conduttore taglia nell'unità di tempo. Queste linee si devono immaginare come se fossero fili materiali rigidi, collegati rigidamente con le "cause del campo"; ciò ha senso nell'ipotesi, da noi premessa, che dette cause del campo formino un sistema rigido e invariabile.
Corollario primo. - In un punto (x, y, z) d'una massa conduttrice materiale, ove sia W la velocità della materia (presa rispetto a un sistema di riferimento definito come sopra), e B il vettore-induzione del campo magnetico (questo campo magnetico essendo prodotto da un sistema invariabile come si è detto) esiste una forza elettrica indotta E uguale al prodotto vettoriale dei due vettori W, B
tanto in unità antiche, quanto in unità razionalizzate. Il vettore E deve intendersi misurato da un osservatore collegato col detto sistema invariabile.
Corollario secondo (estensione della legge quinta). - Se un campo magnetico è prodotto da più sistemi ognuno dei quali sia invariabile, anche se questi sistemi sono animati da moti rigidi diversi, la f. e. m. indotta in un conduttore si trova come somma algebrica di quelle indotte dai diversi sistemi, quali si calcolano una per una in base all'enunciato della legge quarta. Ogni sistema agente deve essere invariabile meccanicamente, elettricamente e magneticamente: i diversi sistemi non devono influire l'uno sull'altro.
Legge quinta. - Se un circuito conduttore materiale, che sia geometricamente chiuso (cioè segua il percorso di una linea rientrante, anche se le due estremità, pur essendo contigue, non sono in contatto elettrico fra loro) è immerso in un campo magnetico, lungo esso agisce una f. e. m. indotta
dove Φ è il flusso abbracciato dal conduttore. Il segno − della formula significa che la f. e. m. indotta ha senso tale che se producesse una corrente, il flusso magnetico generato da questa corrente sarebbe opposto al flusso dΦ. Questa legge è valida anche se il circuito contiene contatti striscianti. Per f. e. m. indotta agente sul circuito s'intende quella che si misurerebbe intercalando un voltmetro nel circuito, e completando il contatto elettrico fra le estremità ove manchi. La legge così formulata si applica alle spire d'un solenoide e permette di calcolare la f. e. m. indotta nell'avvolgimento come somma di quelle indotte nelle singole spire.
Osservazione alle leggi quarta e quinta. - Le due leggi si completano fra loro, e nei casi in cui sono applicabili entrambe si deducono l'una dall'altra. Esse non bastano a determinare la f. e. m. indotta in tutti i casi possibili: p. es. lasciano insoluto il problema di definire e misurare la f. e. m. indotta in una rotaia immersa in un campo magnetico variabile. I tentativi di estensione della prima legge al caso di campi variabili, attribuendo identità alle linee magnetiche che si muovono, non hanno fondamento scientifico. Esistono formule, date da J. C. Maxwell e da altri autori, applicabili anche a un conduttore non chiuso, immerso in un campo comunque variabile, ma dànno risultato che non è indipendente dal sistema di riferimento. Le leggi enunciate sono però sufficienti per la quasi totalità dei casi che interessano la pratica.
Deduzioni varie e difficoltà nell'applicazione a sistemi mobili. - In un trasformatore, poiché l'avvolgimento è fatto a spire che sono tutte circuiti rientranti, si applica la legge quinta senza difficoltà. Nell'armatura d'un motore elettrico a nucleo dentato, nascerebbero difficoltà se si volesse, in base alle leggi enunciate, calcolare la f. e. m. indotta in un tratto di conduttore, perché il sistema determinatore del campo contiene anche la dentatura che si muove, la quale non è un magnete permanente, e inoltre le linee magnetiche che il conduttore taglia non si possono assimilare a filamenti né fissi, né dotati di velocità individuata: l'ambiguità sparisce quando il calcolo si fa sulle spire complete, perché allora la legge quinta conduce a un risultato. Nel caso d'un conduttore che percorra un quadrante terrestre dal polo all'equatore, e non prenda parte al movimento diurno di rotazione della terra, nasce ambiguità se si vuol parlare delle linee magnetiche tagliate dal conduttore, perché noi potremmo ugualmente bene considerare le linee del campo terrestre come accompagnanti la terra nella sua rotazione diurna, o come fisse nello spazio.
Ma l'enunciato preciso della legge quarta dice che per un osservatore terrestre il quale faccia la misura con un voltmetro collegato mediante contatti striscianti, la f. e. m. esiste. Essa invece è nulla se misurata da un osservatore fisso nello spazio. Analogamente avviene, più in generale, quando un conduttore è immerso nel campo generato da un magnete simmetrico intorno a un asse, e rotante intorno al medesimo.
Per contro, in base alle diverse leggi enunciate, non sappiamo dire che cosa avviene quando un circuito contenente dielettrici è immerso in un campo magnetico variabile in modo qualunque, poiché l'insieme dei conduttori in tal caso non forma circuito chiuso; la legge quarta non è applicabile perché il circuito è aperto.
Diamo esempî concreti di sistemi generattiri non invariabili, in presenza dei quali la f. e. m. indotta in un conduttore che non sia rientrante non si sa definire, né calcolare, né misurare nell'ambito delle teorie macroscopiche finora sviluppate ed esposte.
a) Un avvolgimento percorso da corrente variabile. Il campo magnetico allora è variabile, e la distribuzione delle linee magnetiche non è fissa, ma non si può attribuire a esse linee magnetiche un'identità in guisa tale che esse risultino dotate di velocità determinata nello spazio.
Se in presenza di questo sistema, e d'uno qualunque dei seguenti si dispone un conduttore aperto, p. es. una rotaia, e si cerca di misurare con un apparecchio la f. e. m. indotta, il risultato varia generalmente secondo l'arbitrario percorso che si fa fare ai fili di collegamento. In un solo caso si potrebbe però arrivare a un risultato definito, che permetterebbe d'individuare convenzionalmente una f. e. m. indotta ben determinata; ed è quando il conduttore si prolunga in ambo i sensi al di là della porzione di spazio che viene invasa dal campo magnetico variabile: in quel caso i fili di collegamento potrebbero seguire un percorso attraverso regione tutta permanentemente neutra, e si potrebbe stabilire di adottare quel percorso per misurare la f. e. m.
b) Una spira induttrice il cui percorso geometrico sia deformabile. Anche questo sistema non si può risolvere in sistemi invariabili, perché se si cerca di risolverlo in tratti elementari di circuito, questi essendo circuiti aperti non sono entità fisicamente concepibili, e soltanto a titolo convenzionale si potrebbe a ciascuno di essi attribuire un campo magnetico secondo la legge di Biot e Savart.
c) Un sistema che comprenda ferro dolce o altra sostanza ferromagnetica soggetta a magnetizzazione temporanea variabile. Così p. es. un solenoide percorso da corrente invariabile, presso cui si muove un nucleo di ferro. Anche in questo caso, il campo esterno è variabile, e non è risolubile in campi invariabili.
d) Un sistema che comprenda circuiti chiusi soggetti all'induzione di altri circuiti o di magneti mobili o variabili. Anche un sistema di circuiti elettrici in posizione variabile uno rispetto all'altro, e che s'influenzino mutuamente.
Tutti questi problemi relativi a mezzi mobili si devono considerare come intrinsecamente risolubili se si riguardano dal punto di vista microfisico cioè tenendo conto della teoria elettronica dei fenomeni: perché le equazioni elettroniche di H. A. Lorentz, completate ove occorra con la teoria di relatività, includono concettualmente ogni fenomeno. Ma la traduzione effettiva di tali equazioni in formule applicabili macroscopicamente porta a complicazioni di tale natura che non è stata ancora eseguita con risultato soddisfacente. A questo riguardo v. la teoria elettromagnetica dei mezzi mobili nella voce elettricità.
Nello schema teoretico di O. Heaviside, le leggi fondamentali dell'elettromagnetismo si riducono a due sole, di cui nella voce elettricità, si è data la forma differenziale, e di cui le seguenti sono gli enunciati in forma integrale. In entrambi gli enunciati, e in quanto segue, la parola "fisso" significa fisso rispetto agli assi di Maxwell, cioè rispetto a una piattaforma di riferimento qualunque legata con l'etere; e all'effetto di tutte le determinazioni, si suppone che anche l'osservatore sia legato con gli assi medesimi.
Prima legge circuitale. - Lungo qualunque linea chiusa fissa, agisce una forza magnetomotrice uguale alla corrente elettrica totale abbracciata dalla linea stessa; e la relazione di verso fra f. m. m. e corrente è quella stessa che esiste fra rotazione e avanzamento in una vite ordinaria o vite destra. Questa eguaglianza vale in questa forma in ogni sistema razionalizzato; nel sistema elettromagnetico C. G. S., si deve invece applicare un moltiplicatore 4π alla corrente elettrica.
Seconda legge circuitale. - Lungo qualunque linea chiusa fissa, agisce una forza elettromotrice uguale alla corrente magnetica (cioè alla derivata del flusso magnetico rispetto al tempo) abbracciata dalla linea stessa; e la relazione di verso è quella che esiste fra rotazione e avanzamento in una vite sinistra.
Queste due leggi sono duali fra loro. Come complemento alla seconda legge circuitale, si può inoltre enunciare che essa vale anche per una linea non fissa che sia tracciata su un corpo conduttore mobile, purché la corrente magnetica sia misurata dalla variazione di flusso attraverso la linea stessa, così materialmente individuata, e seguente il moto della materia su cui è tracciata: il che equivale alla legge quinta che è stata enunciata prima.
Completandole col corollario primo della legge quarta e con quelle che dànno l'energia interna d'un sistema elettromagnetico qualunque, costituiscono l'impostazione fondamentale della moderna teoria matematica dell'elettromagnetismo, e permettono di ricavare tutte le altre leggi e corollarî già enunciati prima.
Applicazione ai circuiti magnetici. - Si chiama circuito magnetico perfetto un tubo di flusso magnetico che sia riempito di sostanze magnetizzabili (non escluso il caso dell'etere libero) senza magnetizzazione intrinseca o permanente, e con permeabilità indipendente o supposta indipendente dal grado di magnetizzazione; questo circuito s'intende chiuso, o terminato da superficie equipotenziali magnetiche. Se diciamo M la f. m. m. agente lungo tutto il circuito, Φ il flusso che lo percorre (e che è costante in ogni sua sezione), si ha
dove l si chiama induttanza o permeanza del circuito magnetico, mentre l'inversa l-1 prende il nome di reluttanza. Questa relazione, formalmente corrispondente, ma non fisicamente duale, alla formula di Ohm è stata enunciata per la prima volta da H. Rowland. Quando la f. m. m. sia espressa in ampère o ampère-spire, e il flusso in weber (volt-secondi), la grandezza l viene misurata nell'unità detta henry; in funzione delle dimensioni e della forma del circuito, e della permeabilità (induttività magnetica) della sostanza componente, questa grandezza si calcola nello stesso modo, come in un circuito elettrico si calcola la conduttanza in funzione della conduttività della materia che lo compone; però l'introdurla in considerazione equivale a supporre che in ogni punto del materiale il rapporto tra forza e induzione magnetica sia indipendente dal grado di magnetizzazione. La f. m. m., se il circuito magnetico è chiuso, coincide con la corrente totale che attraversa l'area contornata dal circuito, cioè col numero di ampère-spire allacciate col circuito (e nel sistema C. G. S. elettromagnetico, le correnti devono essere moltiplicate per 4π).
Si chiama circuito magnetico imperfetto un tubo chiuso, e un tronco di tubo terminato come sopra, che non coincide esattamente con un tubo di flusso, cioè lungo cui il flusso non sia costante. Questo sistema si calcola nel modo stesso come un circuito elettrico sottoposto a disperdimento, considerandolo come limite d'una successione di circuiti perfetti in serie fra loro.
La teoria dei circuiti magnetici, dopo i lavori classici di I. Hopkinson circa il 1880, è divenuto il fondamento dei metodi di calcolazione moderna del macchinario elettrodinamico di ogni specie.
Circuiti elettromagnetici. - Si chiama circuito elettromagnetico il complesso d'un circuito magnetico e d'un circuito elettrico allacciati fra loro. Se l'allacciamento è semplice, cioè ognuno dei due circuiti si avvolge una volta sola attorno all'altro, le relazioni risultano semplicissime, perché indicando con E, M, la f. e. m. indotta nell'uno e la f. m. m. indotta nell'altro, rispettivamente, e con I la corrente elettrica nel primo e con
la corrente magnetica nell'altra, si ha, come diretta applicazione delle leggi circuitali, in qualunque sistema razionalizzato
il segno + o − dipendendo dal verso d'allacciamento.
Supponendo che il circuito magnetico non sia allacciato con altri circuiti elettrici, e che non abbia forze magnetomotrici interne, indicando con l la sua induttanza, o permeanza, si ha che a ogni variazione della corrente I corrisponde una f. e. m. indotta
Questa prende il nome di forza elettromotrice di selfinduzione o di autoinduzione; nei riguardi del circuito elettrico, il coefficiente l vale come un coefficiente d'inerzia elettrica paragonabile al momento d'inerzia dinamico d'un corpo rotante, e considerato come tale prende il nome di induttanza o di coefficiente di autoinduzione del circuito elettrico.
Queste uguaglianze si modificano nel caso, molto importante per la pratica, in cui il circuito elettrico sia n volte allacciato col circuito magnetico, cioè comprende un avvolgimento di n spire attraverso cui come nucleo parte il circuito magnetico. In questo caso con le medesime denominazioni di cui sopra, si ha
E nell'ipotesi, come prima, che non esistano altre f. m. m. né altri circuiti estranei allacciati col circuito magnetico, la f. e. m. di autoinduzione è data da
Continuando a chiamare induttanza o autoinduzione del circuito elettrico il suo coefficiente d'inerzia, e denotandolo con L, si ha
Cioè, se il circuito elettrico è avvolto con n spire su quello magnetico l'induttanza del primo è n2 volte l'induttanza propria o permeanza del secondo.
La nozione di coefficiente d'autoinduzione serve anche per esprimere l'energia intrinseca d'un circuito elettrico sotto la forma
Questa grandezza, essenzialmente positiva, è costituita dall'energia propria del campo magnetico prodotto dal circuito. La formula è paragonabile a quella che in dinamica dà la forza viva.
Sistema di due circuiti elettrici. - Quando due circuiti elettrici sono in presenza uno dell'altro, percorsi dalle correnti i1, i2, e composti di un numero di spire n1, n2, l'energia complessiva di magnetizzazione dell'ambiente (supposto che sia tutto occupato da sostanze a permeabilità magnetica invariabile) è espressa dalla formula:
dove L1, L2 sono i due coefficienti di autoinduzione, M è un'altra grandezza (della stessa natura fisica) che prende nome di coefficiente d'induzione mutua. Se noi diciamo Φ1, Φ2 i flussi allacciati con ogni spira del primo e del secondo circuito rispettivamente, si ha
Nel caso di variazioni delle due correnti, le f. e. m. indotte sono
Su queste formule si basa la teoria del trasformatore ideale, cioè con nuclei perfettamente "dolci" (privi di isteresi, e con permeabilità che non sia funzione del grado di magnetizzazione).
La teoria matematica si estende al caso d'un sistema composto di un numero qualunque di circuiti elettrici.
Nuova concezione delle relazioni elettromagnetiche. - La ragion d'essere e il significato delle relazioni elettromagnetiche hanno potuto essere chiariti solamente attraverso la teoria di relatività. Già Einstein nella sua memoria fondamentale del 1905 aveva messo in evidenza che la piattaforma privilegiata a cui si riferiscono le equazioni circuitali di Heaviside non esiste, e che passando da una ad altra piattaforma che sia in moto rispetto alla prima, il campo elettrico e quello magnetico non sono più i medesimi, ma l'uno viene aumentato a spese dell'altro; ciò fa sì che le equazioni circuitali rimangono ancora valide come prima, e che non vi è distinzione recisa tra campo elettrico e magnetico, ma si deve solo parlare d'un campo elettromagnetico, il quale si manifesta come elettrico a certi osservatori, come magnetico a certi altri.
La spiegazione definitiva è venuta con lo schema quadridimensionale dato da H. Minkowski nelle sue memorie del 1908. Secondo questo schema, si considera uno spazio rappresentativo con quattro coordinate
dove c è la velocità della luce. In luogo dei due vettori elettrico e magnetico si ha allora un unico vettore areale o sestivettore (area orientata, che ha una componente su ognuno dei piani coordinati). Il passaggio da una piattaforma a un'altra corrisponde al cambiamento da uno a un altro qualunque riferimento cartesiano ortogonale in questo spazio a quattro dimensioni; e attraverso questa trasformazione di coordinate variano naturalmente secondo le ordinarie leggi della geometria metrica, le sei componenti dell'areale elettromagnetico; e questo cambiamento attraverso cui componenti elettriche e magnetiche si aumentano le une a spese delle altre, è quello che fa apparire a noi quei fenomeni che noi chiamiamo forze magnetiche indotte, e che sono espressi dalle due leggi circuitali.
Il riconoscimento che le proprietà tutte del campo sono espresse da un areale elettromagnetico collocato nello spazio minkowskiano sostituisce dunque le leggi elettromagnetiche e ne rende ovvia ragione.
Completando con un vettore propriamente detto (o quadrivettore) che sostituisce le correnti di convezione e di conduzione e con due equazioni differenziali relative alle distribuzioni di questi vettori si perviene alla sintesi completa della teoria dei fenomeni elettrici e magnetici (v. elettricità; relatività).
L'ulteriore sviluppo e aspetto della teoria non si considera più nella fisica moderna come parte del titolo elettromagnetismo.
Bibl.: V. la bibliografia della voce elettricità.