elettroencefalografia
L’elettroencefalografia (EEG) corrisponde a una rappresentazione grafica delle variazioni spaziali e temporali dei campi elettrici registrati sulla superficie del cranio. Il segnale EEG, generato dai neuroni posti sulla superficie corticale, rappresenta le fluttuazioni spontanee dei potenziali di membrana a livello delle sinapsi cerebrali. L’EEG permette di valutare l’attività elettrica cerebrale, spontanea o evocata, in condizioni di normalità e in situazioni patologiche. Esistono diversi tipi di registrazione EEG che vengono utilizzati a seconda delle specifiche situazioni. L’analisi dell’EEG permette di riconoscere determinati ritmi cerebrali (alfa, beta, theta e delta) e diversi pattern tipici, nel soggetto normale, della veglia e del sonno. Nell’ambito delle patologie neurologiche, l’EEG è utile nello studio dell’epilessia e dei disturbi della coscienza, nelle encefalopatie di varia natura, nei disturbi del sonno e, infine, nell’accertamento della morte cerebrale. [➔ cervello, modelli per l’attività su larga scala; cervello, struttura e funzione del; corteccia cerebrale; diagnostica strumentale neurofisiologica; elettrofisiologia del sistema nervoso; epilessia; imaging cerebrale funzionale] L’ e. (EEG) corrisponde a una rappresentazione grafica delle variazioni spaziali e temporali dei campi elettrici registrati sulla superficie del cranio. Il segnale EEG, generato dai neuroni è modificato da numerosi fattori, tra cui le proprietà conduttive elettriche dei tessuti e l’orientamento del generatore corticale rispetto all’elettrodo. L’EEG nell’uomo venne descritto per la prima volta nel 1929 dallo psichiatra austriaco Hans Berger, il quale scoprì che vi era una differenza di potenziale elettrico tra due elettrodi posti sul cuoio capelluto. Negli anni successivi molti studi hanno approfondito e sviluppato le varie tecniche EEG e le loro molteplici applicazioni nelle attività cliniche e nella ricerca. Il tessuto cerebrale ha intrinseche capacità di generare attività elettrica. Già negli anni 1940-50 numerosi studi identificarono il ruolo delle fluttuazioni spontanee dei potenziali di membrana delle cellule cerebrali nella genesi del segnale EEG. In questi studi venne infatti dimostrato che le onde EEG erano generate dall’attività dei neuroni (più specificamente, dei loro dendriti apicali) posti sulla superficie della corteccia. In partic., si comprese che l’attività neuronale documentata dall’EEG era l’espressione dei processi fisiologici che avvengono a livello delle sinapsi.
La corteccia cerebrale (➔) è composta da 6 strati, costituiti da elementi nervosi organizzati secondo una struttura colonnare disposta in verticale; le cellule piramidali degli strati III e V, orientate perpendicolarmente alla superficie corticale, risultano particolarmente importanti nella genesi del segnale EEG. Tali cellule nervose, non diversamente da altre, stabiliscono connessioni interneuronali attraverso le sinapsi (costituite da un terminale presinaptico e un terminale postsinaptico). A tale livello si organizza il ‘contatto’ tra i neuroni che permette la comunicazione cellulare, ossia il passaggio dell’informazione da una cellula all’altra attraverso un impulso elettrico o chimico. Nella trasmissione del segnale a livello della sinapsi, l’onda di depolarizzazione, che dal terminale presinaptico passa al terminale postsinaptico, genera in quest’ultimo i cosidetti potenziali postsinaptici (PSPs, dall’ingl. Post- Synaptic Potentials) che possono essere sia di tipo eccitatorio sia di tipo inibitorio. Gli effetti eccitatori determinano, a livello della membrana postsinaptica, una variazione di potenziale di membrana consistente in una depolarizzazione definita potenziale postsinaptico eccitatorio (EPSP, dall’ingl. Excitatory Post-Synaptic Potential). Altre sinapsi hanno effetti inibitori e inducono, a livello postsinaptico, un’iperpolarizzazione della membrana definita potenziale postsinaptico inibitorio (IPSP, Inhibitory Post- Synaptic Potential). Entrambi i tipi di potenziale postsinaptico sono caratterizzati da modificazioni dei flussi ionici a livello intra- ed extracellulare che avvengono con un precisa direzionalità: principalmente ingresso di Na+ dallo spazio extracellulare all’interno della cellula nell’EPSP, uscita di K+ in direzione inversa con concomitante ingresso di Cl− nell’IPSP. Gli spostamenti delle cariche ioniche causati da EPSP o da IPSP generano i potenziali extracellulari, i Local Field Potentials (LFPs), che sono l’essenza del segnale EEG registrato dallo scalpo. Tali potenziali, infatti, pur essendo di ampiezza decisamente minore rispetto al potenziale d’azione (ampio ma molto breve: 1 ms o meno), hanno una durata maggiore (15÷20 ms) e presuppongono un flusso di correnti più ampio che interessa superfici più estese. Il segnale generato dagli LFPs non riflette unicamente l’attività dei neuroni ma contempla un contributo anche delle cellule gliali che, venendo a depolarizzarsi con la fuoriuscita di K+ nello spazio extracellulare, partecipano all’amplificazione degli stessi LFPs. Il segnale EEG registrato in superficie risente della localizzazione dei generatori (sorgente) e di un dipolo elettrico, che a sua volta dipende dalla direzionalità dei flussi ionici. Il dipolo esprime l’unità di misura della carica generata ed è costituto da una sorgente (source, a carica +) e da uno scarico (sink, a carica –) con valore di potenziale uguale a zero nel punto equidistante dai due poli. Il flusso di cariche si sposta dal polo positivo (posto negli strati profondi) a quello negativo (posto negli strati superficiali). La specifica anatomia della superficie corticale determina una certa variabilità dell’orientamento del dipolo: questo può infatti essere verticale (o radiale) se orientato in modo perpendicolare alla superficie corticale, orizzontale (o tangenziale) se localizzato in un solco o una scissura interemisferica, o obliquo. A seconda dell’orientamento del dipolo, il potenziale registrato dallo scalpo potrà avere un’espressione diversa. Chiaramente il segnale EEG rappresenta un ‘surrogato’ delle complesse situazioni alla base della generazione dell’attività elettrica cerebrale. Infatti troppi fattori (interazione tra sottotipi cellulari, complessa anatomia corticale, interazione con strutture sottocorticali, conduttività elettrica dipendente dai vari strati dall’encefalo allo scalpo) condizionano l’attività EEG e ne rendono difficile la teorizzazione. Inoltre, per quanto la corteccia cerebrale sia in grado di generare intrinsecamente attività elettrica cerebrale, esiste un importante contributo da parte delle strutture sottocorticali, e in partic. del talamo, nella generazione e nella modulazione di tale attività.
Il ritmo di base, il cosiddetto ritmo alfa, è evidente in un soggetto a occhi chiusi in condizioni di veglia a riposo ed è tipicamente meglio rappresentato sulle regioni posteriori dello scalpo. Tale ritmo (di ampiezza media di 40÷50 μV) viene solitamente distinto, sulla base della frequenza, in alfa lento (8÷9 Hz), alfa intermedio (9÷11,5 Hz) e alfa rapido (11,5÷13 Hz). È caratterizzato da una tipica reattività all’apertura degli occhi, in concomitanza della quale l’attività alfa tende a una pronta scomparsa ed è sostituita da un ritmo più rapido di bassa ampiezza (di tipo beta). Come già detto, il ritmo alfa (8÷13 Hz) è caratteristico dello stato di veglia a riposo, mentre non è riconoscibile nel sonno (fatta eccezione per lo stadio REM, Rapid Eyes Movements). Nel caso di un’attività mentale più impegnativa, il ritmo alfa tende a essere sostituito dal ritmo beta. Sempre sulla base della frequenza, anche quest’ultimo ritmo (dall’ampiezza di circa 10÷15 μV) è distinto in beta lento (13,5÷18 Hz) e beta rapido (18,5÷30 Hz). I ritmi beta sono espressi prevalentemente nel soggetto a occhi aperti, negli stati di allerta o di particolare impegno mentale e nel sonno REM. Il ritmo theta, tipicamente descritto da onde a frequenza variabile da 4 a 7,5 Hz, di ampiezza media di 100 μV, è caratteristico del neonato e può rappresentare tensioni emotive o altre più rare condizioni fisiologiche; si può distinguere in theta lento (4÷6 Hz) e theta rapido (6÷7,5 Hz). Il ritmo delta è costituito da un’attività di frequenza inferiore a 4 Hz, di ampiezza media di circa 150 μV. In condizioni fisiologiche, non è riconoscibile nello stato di veglia dell’età adulta, mentre è caratteristico del sonno non-REM (sonno a onde lente). Può comparire in condizioni di anestesia generale e, in certi casi, può rappresentare l’espressione di alcune patologie cerebrali di diversa natura oppure di condizioni dismetaboliche.
L’EEG viene registrato dall’elettroencefalografo, che può essere analogico oppure digitale e che fornisce una traccia registrata, nel passato su carta termica o millimetrata, oggi su monitor con registrazione su supporto informatico per una visione o analisi successive.
Tecniche di montaggio e registrazione. L’EEG standard viene registrato dallo scalpo. I componenti essenziali sono costituiti da elettrodi, sistemi di amplificazione e di riproduzione del segnale. Esistono diversi tipi di elettrodi (fissati sullo scalpo, fissati mediante una cuffia e ad ago ipodermici). Gli studi EEG sono multicanale e ciascun canale è collegato a due elettrodi. Esistono due tipi di registrazione: bipolare e monopolare. L’EEG può essere eseguito in veglia o in sonno. Durante la registrazione vengono valutate l’attività spontanea ed eventuali alterazioni facilitate o evocate da specifiche prove di attivazione. Le più importanti sono l’iperventilazione o iperpnea (respiro profondo che, protratto per 5 minuti circa, produce un’alcalosi respiratoria con aumento dell’anidride carbonica e vasocostrizione cerebrale) e la stimolazione luminosa intermittente (effettuata con una lampada emettente un flash ritmico a frequenza modulabile, capace di indurre una risposta patologica, detta fotoparossistica, in alcune condizioni – frequentemente epilettiche ma non solo – di fotosensibilità). Sfortunatamente, l’EEG non registra esclusivamente l’attività elettrica cerebrale ma anche altre attività elettriche di origine extracorticale (i cosiddetti artefatti), che sono da ascrivere a condizioni fisiologiche (attivazione muscolare, movimento degli occhi, battito cardiaco ecc.) o a problematiche strumentali.
Valutazione e interpretazione dell’EEG. Nella valutazione dell’EEG si considerano diversi parametri tra cui frequenza, ampiezza, morfologia, topografia, polarità e reattività. È necessario valutare se le attività sono reazioni agli stimoli ambientali, se sono simmetriche o asimmetriche, sincrone o asincrone, regolari o irregolari; è anche importante descriverne la morfologia e la localizzazione. L’attività EEG dipende dall’età dell’individuo: contrariamente all’adulto, nei bambini è molto più variabile e correlata all’età.
Durante la veglia, l’EEG si alterna fondamentalmente tra due pattern: un pattern detto di attivazione, tipico della veglia a occhi aperti e in stato di attenzione, caratterizzato da onde di bassa ampiezza e alta frequenza; e un secondo pattern, detto attività alfa, tipico della veglia a riposo e a occhi chiusi, caratterizzato appunto dalla presenza del ritmo alfa. Lo studio EEG ha permesso di definire la macrostruttura del sonno (➔) caratterizzata da cinque distinti stadi (I, II, III, IV del sonno non-REM e la fase REM) che si alternano secondo una specifica ciclicità.
L’indagine EEG standard è caratterizzata da un discreto grado di sensibilità, ma da una bassa specificità. Pur con questi limiti tale valutazione, se correlata con i dati clinici, risulta utile, oltre che nell’epilessia e nei disturbi del sonno, negli stati confusionali, nel coma, e fornisce informazioni sul piano diagnostico in pazienti con encefaliti ed encefalopatie. L’EEG permette di ottenere dati sul grado di disfunzione cerebrale ed è utile nella diagnosi differenziale con disturbi su base psicogena. In generale, le principali attività EEG patologiche possono essere costituite da onde lente della banda theta o delta e da anomalie dette specifiche o parossistiche (in entrambi i casi l’espressione può essere focale o diffusa).
Epilessia. In neurologia, l’EEG può essere utilizzato per vari scopi: supportare la diagnosi di epilessia (➔); classificare il tipo di crisi; localizzare l’area epilettogena (in partic., nei candidati all’intervento chirurgico); quantificare le attività patologiche (critiche e intercritiche); supportare la decisione di una eventuale riduzione o sospensione della terapia; definire la diagnosi differenziale in caso di fenomeni parossistici di natura non epilettica. Nel caso di un sospetto clinico fondato, l’EEG riveste particolare importanza poiché può confermare l’ipotesi diagnostica di epilessia e orientare verso una prima strategica distinzione tra forme parziali o focali e forme generalizzate (contribuendo quindi alla classificazione sindromica dell’epilessia): infatti, le anomalie intercritiche (ossia quelle che si osservano nei periodi al di fuori delle crisi) possono essere focali – costituite prevalentemente da punte, punte lente (sharp waves) e punte-onde localizzate in una specifica regione – o generalizzate, costituite prevalentemente da punte-onde e polipunte-onde distribuite in maniera bilaterale. Nei soggetti con epilessia, oltre alle anomalie intercritiche, possono essere registrate attività critiche che costituiscono l’equivalente elettrico delle crisi epilettiche. Queste attività sono caratterizzate dall’organizzazione ritmica, protratta per un certo periodo di tempo, delle anomalie parossistiche elementari: queste possono presentare un’evoluzione con progressiva modificazione morfologica e topografica (per es., nelle crisi focali le attività patologiche possono propagarsi o diffondersi dall’area di origine con interessamento di altre regioni cerebrali) oppure conservare un sostanziale monomorfismo (per es., nelle crisi generalizzate a tipo assenza).
Patologie tossiche e metaboliche. Nelle encefalopatie vi è una buona correlazione fra alterazioni EEG e gravità della sintomatologia clinica. Nelle fasi iniziali, in concomitanza di turbe cognitive e comportamentali, si ha un rallentamento dei ritmi posteriori, con graduale riduzione dell’attività alfa, sostituita da quella theta, che tende a diffondere su tutto l’ambito encefalico. Negli stadi intermedi compaiono sequenze di onde lente (delta), più evidenti sui settori anteriori, talora con pattern alternante, caratterizzato da attività irregolare (alfa/theta) di bassa ampiezza, che si alterna con attività lente (delta/ theta) di ampiezza elevata. Nelle encefalopatie gravi, con alterazioni della coscienza (stupor e coma) l’attività di fondo è costituita da onde delta di ampiezza elevata, e quindi si manifesta una depressione diffusa, talora interrotta da scariche (bursts) di onde delta e theta oppure di anomalie specifiche a tipo punta e onda puntuta. Tra le più comuni condizioni vanno annoverate l’encefalopatia epatica, quella uremica, quelle dovute a disturbi elettrolitici (per es., ipo- o ipernatriemia, ipo- o iperpotassiemia) o intossicazione da farmaci o sostanze.
Patologie infettive e infiammatorie. I reperti EEG nel corso di patologie infettive a carico del sistema nervoso centrale (meningiti, meningoencefaliti, ascessi ecc.) non sono generalmente diversi da quelli osservati nelle altre encefalopatie. Va comunque evidenziato che alcune di tali condizioni morbose possono presentare pattern caratteristici: onde puntute e punte focali ben localizzate in sede temporale, come nel caso dell’encefalite da herpes virus (scariche epilettiformi periodiche lateralizzate, in sigla PLEDs, dall’ingl. Periodic Lateralized Epileptiform Discharges); o anomalie a tipo onda puntuta, di- o trifasica, ritmiche e periodiche, a espressione diffusa o multifocale, come in alcune encefaliti ad andamento lento (per es., la panencefalite subacuta sclerosante).
Patologie degenerative. In linea generale, nelle demenze (➔) degenerative, l’EEG mostra un progressivo rallentamento della frequenza del ritmo alfa e la maggior presenza d’attività theta e delta, in assenza tuttavia di pattern caratteristici di una specifica patologia. Diversi studi hanno evidenziato una correlazione tra deterioramento cognitivo e diversi parametri EEG per i pazienti affetti da demenza. L’EEG quantitativo può essere un ausilio nella conferma della diagnosi di demenza di tipo Alzheimer, ma la sua validità nel processo diagnostico differenziale è piuttosto limitata. L’EEG resta molto utile nel porre diagnosi di demenza di Creutzfeldt-Jakob in quanto documenta alterazioni con onde lente appuntite e diffuse od onde lente difasiche e trifasiche, che si ripetono in modo periodico.
Patologie cerebro-vascolari. Benché lo studio EEG non sia indagine di uso routinario nelle patologie cerebrovascolari, esso può essere indispensabile in presenza di determinati elementi clinici. Le alterazioni dei tracciati EEG in corso di patologie cerebrovascolari variano in rapporto a sede ed entità della lesione cerebrale, indipendentemente dalla sua natura. L’interruzione totale del flusso ematico in una determinata zona cerebrale induce modificazioni dell’attività EEG. Quindi l’EEG può essere utile nella diagnosi differenziale: per es., nel transient ischemic attack, TIA, o nell’ictus in caso di sospetta natura epilettica del disturbo focale; in caso di manifestazioni epilettiche – precoci (entro le prime 2 settimane) o tardive – secondarie al danno vascolare (l’ictus rappresenta una delle cause principali di epilessia nell’età adulta e negli anziani); o infine nella definizione della prognosi in termini sia di disabilita sia di mortalità (esiste infatti una certa relazione tra il quadro EEG nella fase acuta dell’ictus e l’evoluzione clinica).
Disturbi del sonno. Il contributo dell’EEG, e in partic. di alcune specifiche tecniche (test di latenza multipla del sonno e polisonnografia), e fondamentale nella definizione dei molteplici disturbi del sonno (sempre più numerosi secondo le ultime classificazioni). In sintesi, questi possono essere classificati in quattro principali categorie: disturbi del ritmo circadiano sonno-veglia, dissonnie (disturbi della qualità e della quantità del sonno che vengono distinti in insonnie e ipersonnie), parasonnie (fenomeni che si manifestano durante il sonno, ma che non comportano necessariamente una riduzione della qualità o quantità del sonno), disturbi associati a patologie mediche o psichiatriche. La combinazione del segnale EEG e degli altri parametri associati può fornire utili informazioni per la definizione dei vari sottotipi di disturbo del sonno, quali per es. la facile tendenza all’addormentamento o la rapida comparsa della fase REM tipica della narcolessia, documentata durante il test delle latenze multiple.
Coma e morte cerebrale. L’EEG può essere cruciale nelle diagnosi e nella definizione dei disturbi della coscienza, dallo stato confusionale al coma (➔), soprattutto quando la natura della patologia non sia determinata. In questi casi l’EEG permette di escludere la presenza di eventuali condizioni epilettiche, talora prolungate, a espressione clinica minima o ‘non convenzionale’ (ossia senza grossolani fenomeni motori), come lo stato di male non convulsivo, orientando in tal caso la corretta terapia. In molte altre condizioni, quali i traumi cranici o le encefalopatie postanossiche, l’EEG, congiuntamente ai potenziali evocati, può dare utili indicazioni per la prognosi. Negli stati di coma esiste un’ampia varietà di pattern EEG (pattern periodici, onde trifasiche, spindle-coma, alfa-coma ecc.), utilizzati nel passato per la stadiazione e la definizione prognostica del coma. Infine, l’EEG e indispensabile nell’accertamento della morte cerebrale (➔ morte dell’encefalo). In questi casi, l’attività cerebrale spontanea scompare e l’EEG documenta un quadro di ‘silenzio’ elettrico (EEG ‘piatto’). L’esame, della durata di 30 minuti, viene effettuato secondo specifici parametri di legge (tra cui una sensibilità innalzata a 2 mV/mm, ossia più che triplicata rispetto al normale) e ripetuto a distanza di 6 ore. Carlo Di Bonaventura
Tipi di registrazione
In relazione alle modalità di registrazione si distinguono diversi tipi di EEG. Durante la registrazione dell’EEG basale (durata di ca. 20 minuti), viene chiesto al paziente di eseguire alcuni ordini per verificare la reattività dei ritmi di base (per es., aprire o chiudere gli occhi); vengono quindi effettuate le più comuni prove di attivazione (iperventilazione e stimolazione luminosa intermittente) per facilitare la comparsa di eventuali anomalie.
L’EEG viene registrato per ca. 45 minuti: nella prima fase il paziente dovrebbe dormire (ca. 30 minuti), mentre durante la seconda fase l’esame procede come un EEG basale. In questo caso la preparazione per i pazienti consiste nel rimanere svegli durante la notte antecedente il giorno dell’esame; infatti, la privazione di sonno è un tipo di attivazione che permette di evidenziare meglio eventuali anomalie non documentabili in situazioni basali. Studio video-EEG. Contemporaneamente all’EEG viene registrato il video, sincronizzato, che riprende il paziente. Questa metodica, che permette di analizzare il correlato clinico delle anomalie EEG, si rivela utile nella diagnosi di particolari tipi di epilessia, nella diagnosi differenziale tra fenomeni epilettici e condizioni di altra natura e nello studio prechirurgico dell’epilessia resistente.
L’EEG poligrafico è una registrazione contemporanea del segnale EEG e di altri segnali biologici, per es., l’elettrocardiogramma (ECG), l’attività elettrica muscolare (elettromiogramma, EMG), il respiro (pneumografia, PNG), l’attività oculare (elettrooculogramma, EOG). Una sua variante, la polisonnografia, è la tecnica di riferimento per lo studio del sonno e per la diagnosi in pazienti affetti da disturbi del sonno o da fenomeni di altra natura (per es., epilessia) che occorrono nel sonno. Essa consente la registrazione, oltre che dell’EEG, di diversi altri parametri (movimenti oculari, tono muscolare in muscoli antigravitari, frequenza cardiaca, respiro, saturazione ematica di ossigeno, flusso oro-nasale), necessari per la valutazione dei fenomeni fisiologici e patologici che possono occorrere durante il sonno. Il test di latenza multipla del sonno (5 prove di 20 minuti effettuate a intervalli di due ore) è una valida misura della tendenza fisiologica ad addormentarsi durante le normali ore di veglia. I parametri monitorati sono, oltre all’EEG, i movimenti degli occhi (EOG), la frequenza cardiaca (ECG) e il muscolo sottomentoniero (EMG). Il test è utile per quantificare la sonnolenza diurna e verifica la velocità con la quale l’individuo si addormenta (la latenza media del sonno di 5 minuti o meno è considerata patologica) o la comparsa anormale di sonno REM.
È una registrazione prolungata nelle 24 ore o più. Durante le 24 ore il paziente conduce una vita del tutto normale, avendo cura di segnalare su un diario le attività svolte ed eventuali episodi critici. Questo tipo di indagine è indicato per aumentare le probabilità di registrare una crisi, monitorare le anomalie in alcuni casi di epilessia o in corso di riduzione/sospensione della terapia. Il monitoraggio EEG è la registrazione dell’attività encefalica in condizioni particolari, per es. in corso di interventi chirurgici (come nel caso della chirurgia vascolare, per valutare il grado di compenso cerebrale in corso di chiusura transitoria della arteria carotide) o in terapia intensiva.
Nello studio dell’epilessia resistente, per una miglior definizione dell’area epilettogena, esiste anche la possibilità di ricorrere a tecniche di registrazione EEG invasiva, che permettono una migliore definizione del segnale: l’elettrocortigrafia (ECOG) utilizza elettrodi subdurali (le derivazioni registranti sono poste in griglie o in strisce poste direttamente sulla superficie corticale); la stereoelettroencefalografia (SEEG) utilizza elettrodi ‘profondi’ intracerebrali (i contatti registranti sono posti lungo l’elettrodo che viene inserito nelle strutture cerebrali con tecnica stereotassica): in entrambi i casi gli elettrodi possono essere utilizzati per registrare ma anche per stimolare le varie aree cerebrali.
Attraverso alcune procedure di analisi, è possibile estrarre dal segnale EEG i cosiddetti potenziali evento-relati (Event Related Potentials, ERPs), che consistono in modificazioni dell’attività elettrica cerebrale prodotte da eventi interni o esterni all’individuo (stimolazioni sensoriali, compiti cognitivi o azioni motorie). I potenziali sono normalmente non riconoscibili in quanto di bassa ampiezza e mascherati dall’attività EEG. Con una particolare tecnica (ripetizione degli stimoli e sovrapposizione elettronica, o averaging, dei singoli tracciati ottenuti) si riesce a filtrare il segnale dei potenziali evocati dal tracciato EEG. I potenziali evocati più frequentemente utilizzati sono quelli somato-sensoriali, quelli visivi e quelli uditivi. Gli ERPS esaminano l’integrità delle vie di conduzione nervosa periferiche e centrali. Nell’ambito della ricerca infine vengono utilizzate alcune tecniche EEG avanzate, non facili da adottare nella pratica clinica quotidiana per problematiche e complessità tecniche. La magnetoelettroencefalografia (MEG) che, a differenza dell’EEG, rileva le correnti (o i dipoli) orientati tangenzialmente, è considerata una metodica più efficace nella localizzazione tridimensionale degli eventi neuronali. L’EEG ad alta risoluzione, effettuata mediante l’uso di un elevato numero di elettrodi (fino a 256) e di software dedicati all’elaborazione del segnale EEG, permette una maggiore risoluzione spaziale e una migliore definizione dei dipoli. Nelle più moderne applicazioni, l’EEG è infine utilizzato nell’ambito delle tecniche multimodali, ossia combinato o coregistrato con altre metodiche perlopiù di imaging cerebrale funzionale (➔).