ELETTRODINAMICA QUANTISTICA (App. II, 11, p. 835)
Negli anni 1949-50 si è verificato un nuovo sostanziale progresso, dovuto principalmente a S. Tomonaga (e collaboratori; questi risultati erano stati in parte ottenuti, in Giappone, già negli anni precedenti, ma venivano resi noti solo in questi anni), a R. P. Feynmann, a J. Schwinger e a F. J. Dyson; progresso che ha condotto in sostanza all'e. q. nella forma valida ancora oggi. È degno di nota questo emergere, nel giro di due o tre anni, di varie formulazioni equivalenti, tutte relativisticamente invarianti nella forma oltre che nella sostanza; caratteristica che risultava, fra l'altro, indispensabile per evitare le ambiguità associate alle divergenze. Fra tali tecniche si rivela particolarmente feconda quella dei diagrammi di Feynman, sia per la semplice interpretazione fisica, sia per la maneggevolezza di calcolo: è infatti questo il formalismo che permette, negli anni successivi, di calcolare numerosi processi elettrodinamici con accuratezza superiore alla prima approssimazione, e in qualche caso anche superiore alla seconda approssimazione; i risultati così ottenuti vengono confrontati, con sostanziale successo, con i dati resi disponibili dal parallelo sviluppo delle tecniche sperimentali (v. oltre).
Gli sviluppi teorici del terzo quarto di questo secolo sono di minor rilievo, consistendo piuttosto in raffinamenti formali che in progressi sostanziali. Degni comunque di nota sono le riformulazioni dell'e. q. e, più in generale, di ogni teoria quantistica dei campi (v. campi, teoria dei, in questa App.), dovute a H. Lehmann, K. Simanzik e N. Zimmermann, e ad A. S. Wightman; formulazione quest'ultima che ha costituito il punto di partenza del cosiddetto approccio assiomatico, che ha poi preso diverse forme, tutte miranti a porre la teoria su basi completamente rigorose dal punto di vista matematico.
Struttura della teoria. - Per e. q. s'intende generalmente la teoria quantistica relativistica di un campo spinoriale, descrivente una particella elementare di spin 1/2 (tipicamente l'elettrone) in interazione con il campo elettromagnetico (cui corrisponde, nella teoria quantistica, una particella di spin 1 e massa nulla, il fotone). L'esistenza di particelle elementari di spin 0,1,3/2, ecc., dotate di carica elettrica, e pertanto anch'esse interagenti col campo elettromagnetico, richiede che la teoria venga estesa anche al caso di campi scalari (cui corrispondono particelle di spin o), vettoriali (cui corrispondono particelle di spin 1), ecc., in interazione con il campo elettromagnetico. Tutti questi casi rientrano nel più generale ambito della teoria quantistica relativistica dei campi, che costituisce la base della moderna teoria delle particelle elementari (v. in questa Appendice).
L'idea fondamentale dell'e. q. (e, più in generale, della teoria quantistica dei campi) è quella di considerare un campo classico come un sistema dinamico con un numero infinito di gradi di libertà, e d'imporre delle condizioni di quantizzazione suggerite dall'analogia con il caso dei sistemi a un numero finito di gradi di libertà; è però anche possibile (anzi preferibile, se si persegue il massimo rigore) formulare direttamente, in forma assiomatica, una teoria quantistica generale, senza alcun riferimento a una preesistente teoria classica da quantizzare. La possibilità di operare diverse scelte delle variabili dinamiche descriventi il sistema permette di trattare nell'ambito di una stessa teoria unitaria gli aspetti corpuscolari (le particelle, per es., i fotoni e gli elettroni, sono i quanti dei rispettivi campi, elettromagnetico e spinoriale) e ondulatori (diffrazione, interferenza, ecc.). Tali diversi aspetti si manifestano in diverse situazioni sperimentali, in modo complementare (nel senso di Bohr).
Le diverse versioni dell'e. q. si distinguono per il punto di vista e per il grado di rigore matematico; in ogni caso la condizione d'invarianza relativistica gioca un ruolo essenziale. Dal punto di vista formale la teoria, quale che sia la sua formulazione, è notevolmente complessa; non si presta a un'esposizione semplice, richiedendo l'uso di formalismi matematici non elementari. Dal punto di vista pratico, del confronto cioè con i dati sperimentali, le principali formulazioni sono completamente equivalenti, e conducono generalmente a una prescrizione per il calcolo delle grandezze fisiche nella forma di uno sviluppo perturbativo, cioè una serie i cui successivi termini sono proporzionali a potenze intere crescenti di un parametro adimensionale, la cosiddetta costante di struttura fina, α = e2/ℏc, dove ℏ è la costante ridotta di Planck, c è la velocità della luce nel vuoto ed e è la carica elettrica elementare. Il piccolo valore numerico della costante di struttura fina, pari circa ad 1/137, implica che i successivi termini di tale sviluppo sono generalmente di grandezza nettamente decrescente (in effetti il parametro di sviluppo sembra essere piuttosto α/π ≈ 1/430, v. oltre); ciò costituisce la giustificazione di calcoli che si limitino ai soli primi termini, cosa inevitabile per il rapido aumento delle difficoltà di calcolo con l'ordine. Il punto di vista perturbativo ha anche il pregio di analizzare i fenomeni fisici in termini di processi elementari, consistenti nell'emissione di fotoni da parte di elettroni o positoni e nella trasmutazione di un fotone in una coppia elettrone-positone, nonché nei processi inversi (assorbimento di un fotone, annichilazione di una coppia elettrone-positone in un fotone). Le particelle coinvolte in questi processi possono risultare effettivamente presenti nel fenomeno fisico (particelle reali), ovvero possono manifestarsi solo tramite la loro influenza sul comportamento delle particelle reali (particelle virtuali): per es., in un esperimento di diffusione elastica di due particelle cariche (due elettroni, o un elettrone e un positone) solo due particelle sono realmente presenti, ma l'interazione elettromagnetica fra di loro, che condiziona il loro comportamento (per es., determina la probabilità che le loro traiettorie risultino deflesse di un certo angolo) può essere associata allo scambio di fotoni virtuali emessi e assorbiti dalle due particelle. Questo tipo di descrizione acquista un preciso significato con l'uso dei diagrammi di Feynman, che costituiscono dunque un utile strumento interpretativo dei fenomeni fisici, oltre a fornire la più conveniente tecnica di calcolo nell'ambito del procedimento perturbativo.
Le grandezze misurabili caratterizzanti i fenomeni dell'e. q. sono essenzialmente di due tipi: le caratteristiche di sistemi legati di particelle interagenti elettromagneticamente (in particolare, i valori dei livelli energetici), le caratteristiche (in particolare, le sezioni d'urto) dei processi d'urto elastico e anelastico (con creazione, cioè, di altre particelle) di particelle elementari cariche fra loro e con fotoni. La fenomenologia del secondo tipo è più ricca, sia per il maggior numero di processi fisici sia per la possibilità di variazione dei parametri sperimentali, quali l'energia dei fasci di particelle incidenti o l'angolo d'osservazione delle particelle diffuse o prodotte; la fenomenologia del primo tipo ha il vantaggio di poter utilizzare le tecniche di altissima precisione caratteristiche delle misure, che utilizzano la rivelazione dei fotoni emessi da un sistema nel passare da uno stato all'altro, per risalire alla differenza ΔE dei corrispondenti livelli energetici mediante la relazione ΔE = hν con h costante di Planck e ν frequenza del fotone emesso (misurabile con tecniche spettroscopiche o di microonde). Inoltre una grandezza misurabile con grande precisione e costituente un'importante caratteristica, calcolabile nell'ambito della e. q., di ogni particella carica con spin superiore a zero, è il momento magnetico.
Affinché i risultati sperimentali possano mettere alla prova le previsioni dell'e. q., è necessario che si riferiscano a processi che coinvolgono particelle che interagiscono con il campo elettromagnetico (e, naturalmente, fra loro, per il tramite del campo elettromagnetico), ma non risentono delle interazioni forti, che maschererebbero gli effetti elettrodinamici. La presenza di interazioni deboli non disturba, perché esse sono trascurabili (o appena al limite della confrontabilità) rispetto alle più fini correzioni di tipo elettromagnetico finora considerate, almeno alle energie finora accessibili sperimentalmente (il peso relativo delle interazioni elettromagnetiche e deboli si sposta a favore di queste ultime al crescere dell'energia); e a maggior ragione sono trascurabili le (eventuali) interazioni superdeboli, e l'interazione gravitazionale. Tipici fenomeni essenzialmente elettrodinamici sono dunque: il momento magnetico di particelle cariche non interagenti forte (elettroni e muoni), gli stati legati del sistema costituito da un protone e un elettrone (atomo d'idrogeno) o da un elettrone e un positone (positonio; questo sistema è però instabile, per la possibilità della coppia elettrone-positone di annichilarsi, dando luogo a 203 fotoni), gli urti di un fotone su un elettrone (effetto Compton), di due elettroni fra loro o di un elettrone con un positone, processo quest'ultimo particolarmente interessante perché può dar luogo a diffusione elastica, o all'annichilazione della coppia elettrone-positone con creazione di due o più fotoni, o, se l'energia è sufficiente, di nuove particelle. Quest'ultimo processo è stato particolarmente studiato nell'ultimo decennio, grazie alla realizzazione di speciali acceleratori (anelli di accumulazione), caratterizzati dalla simultanea presenza di due fasci, costituiti rispettivamente da elettroni e positoni, circolanti in verso opposto lungo la stessa orbita circolare, in modo da dar luogo a collisioni elettrone-positone di altissima energia (per un effetto relativistico l'energia dell'urto nel sistema del baricentro è in queste condizioni molto superiore a quella che si avrebbe nell'urto di un fascio, per esempio, di positoni, di energia doppia, contro un bersaglio di elettroni fermi nel laboratorio). Per i motivi esposti sopra, solo se le particelle create dall'annichilazione elettrone-positone non interagiscono forte il fenomeno può essere utilizzato per mettere alla prova l'elettrodinamica; in pratica l'unico esempio finora disponibile è la creazione di una coppia di mesoni μ.
Naturalmente l'e. q. unita alla teoria delle interazioni forti, permette di fare previsioni anche su tutti i fenomeni coinvolgenti particelle cariche interagenti forte; anche se, per lo stato ancora assai poco utilizzabile della teoria delle interazioni forti, queste previsioni sono a un livello di precisione di gran lunga inferiore a quello caratterizzante i più semplici fenomeni puramente elettrodinamici. Vi sono poi anche fenomeni che, pur essendo essenzialmente elettrodinamici, sono a loro volta così complicati da non permettere calcoli molto precisi; esempio tipico la fenomenologia di atomi con molti elettroni.
Divergenze e rinormalizzazione. - Una caratteristica dell'e. q. (e, più in generale, delle teorie quantistiche relativistiche) è quella di dar luogo a divergenze; s'incontrano cioè, nel corso dei calcoli di tipo perturbativo di cui si è detto più sopra (e che sono peraltro gli unici che conducano a risultati effettivamente confrontabili con i dati sperimentali) degl'integrali che risultano divergenti. Evidentemente la teoria è utilizzabile solo nella misura in cui è possibile dare prescrizioni univoche per eliminare tali divergenze.
Le divergenze sono di due tipi: le cosiddette divergenze infrarosse, dovute a singolarità dell'integrando per piccoli valori della variabile d'integrazione, che ha il significato fisico di un impulso; e le cosiddette divergenze ultraviolette, che nascono da insufficiente rapidità di annullamento dell'integrando quando la variabile impulso tende all'infinito. Per la complementarità, associata al principio d'indeterminazione, fra impulsi e coordinate spaziali, le divergenze del secondo tipo, a differenza da quelle del primo, hanno essenzialmente a che vedere con le proprietà della teoria alle più piccole distanze.
Le divergenze del primo tipo non costituiscono patologie della teoria, hanno anzi un preciso significato fisico; corrispondono alla possibilità che, nei vari processi elettrodinamici, vengano emessi molti fotoni di energia molto piccola, cosa possibile in quanto il fotone, avendo massa di quiete nulla, può essere creato senza alcun dispendio di energia. Tenendo conto in modo appropriato di questa possibilità, si può eliminare completamente questo tipo di divergenze.
Le divergenze ultraviolette sono invece un serio indizio d'inconsistenza della teoria, o quanto meno della tecnica perturbativa di calcolo. Possono però essere eliminate osservando che, nel caso dell'e. q., i contributi divergenti si limitano a modificare i valori della carica elettrica delle particelle interagenti col campo elettromagnetico, nonché i valori delle loro masse (aggiungendo alla massa "nuda" una massa "elettromagnetica"). Sicché, se i risultati finali vengono espressi in funzione della massa e della carica così corrette (che coincidono del resto, nell'ambito stesso della teoria, con la massa e carica sperimentalmente osservabili), la teoria risulta depurata di ogni divergenza; la dimostrazione che ciò è possibile a ogni ordine dello sviluppo perturbativo è stata fatta sia per l'e. q. delle particelle di spin 0 che per l'e. q. delle particelle di spin 1/2 (l'e. q. propriamente detta); non vale invece per particelle di spin più alto, per le quali il problema delle divergenze ultraviolette rimane dunque irrisolto.
Il processo testé descritto prende il nome di rinormalizzazione (di massa e di carica), e pur essendo chiaramente insoddisfacente (v. oltre), permette però, per l'ordinaria e. q., di predire qualunque processo fisico in modo non ambiguo e con arbitraria precisione (salvo le difficoltà di calcolo, che peraltro possono ora essere parzialmente superate usando calcolatori elettronici per effettuare anche parte degli sviluppi analitici, facendo uso di appositi algoritmi).
Confronto con l'esperienza. - Il riscontro fra le previsioni dell'e. q. e i dati sperimentali è assai soddisfacente, sia nei fenomeni di bassa energia (in cui si hanno le misure di più alta precisione), sia in fenomeni di alta energia, che mettono alla prova la teoria in un diverso, potenzialmente più problematico, regime, riguardante, per la già menzionata dualità implicita nel formalismo quantistico, le caratteristiche della teoria alle più piccole distanze. Accenniamo ad alcuni esempi.
Momento magnetico dell'elettrone. - Si fissa generalmente l'attenzione, anziché sul momento magnetico μ stesso, sul rapporto giromagnetico g = μ/[eℏ/(4mc)], (dove m è la massa dell'elettrone), che avrebbe il valore 1 nel caso di un corpo rotante la cui densità di carica elettrica fosse proporzionale alla densità di massa (e che avesse, come l'elettrone, momento angolare intrinseco pari a ℏ/2), e per il quale risulta previsto il valore 2 nel limite non relativistico dell'equazione di Dirac (senza tener cioè conto delle correzioni caratteristiche dell'e. quantistica). Il valore teorico ottenuto per tale parametro è:
Il valore sperimentale, scritto nella stessa forma, risulta:
utilizzando per α il valore sperimentale
La precisione del confronto della teoria con l'esperimento è dell'ordine di 10-9. Per il momento magnetico del muone si hanno risultati analoghi.
Spostamento di Lamb. - Alcuni livelli energetici dell'atomo d'idrogeno coinciderebbero, se non fosse per le correzioni caratteristiche dell'e. quantistica. La separazione dovuta a tali correzioni può essere misurata direttamente, osservando il fotone emesso nel passaggio dell'atomo dall'uno all'altro livello; fotone la cui frequenza cade nell'ambito delle microonde. Per es., nel caso dei livelli 2 2s1/2 e 2 2p1/2 il risultato sperimentale per la frequenza del fotone emesso è di 1057,90 ± 0,06 MHz, e la corrispondente cifra teorica è 1057,912 ± 0,011. Si noti che in questo caso l'effetto stesso è dovuto alle correzioni tipiche dell'e. q.; in effetti il valore teorico citato include contributi significativi che arrivano fino alla settima potenza in α (oltre a contributi non esprimibili come semplici potenze di α, caratteristici della natura parzialmente non perturbativa del risultato, propria di ogni calcolo di stato legato). Sono anche disponibili risultati analoghi per altri livelli e altri atomi (per es., lo ione He+).
Urto elettrone-positrone. - Si tratta della diffusione elastica e dell'annichilazione in una coppia di fotoni o di muoni. Gli esperimenti vengono compiuti in anelli di accumulazione, fino a energie di molti GeV (miliardi di elettron volt). Una misura qualitativa del successo dell'e. q. riscontrato nel confronto con questi dati sperimentali può essere data affermando che la teoria sembra funzionare perfettamente sino a distanze dell'ordine di 10-15 cm. Misure quantitative implicano un dettagliato confronto delle previsioni teoriche per le sezioni d'urto di questi processi con i dati sperimentali, confronto che è compatibile con l'assenza di ogni discrepanza.
Problemi aperti. - L'e. q. è, come si è visto, in grado di formulare delle predizioni quantitative, che risultano verificate con una precisione estrema. In questo senso si può affermare che essa costituisce la più fondamentale e accurata teoria fisica oggi esistente. Essa ha inoltre coronato il profondo processo di rinnovamento della fisica, determinato nella prima metà di questo secolo dall'avvento della teoria della relatività ristretta e della meccanica quantistica; rappresentando la fusione coerente di tali innovazioni, e fornendo la più esauriente spiegazione della dualità onda-corpuscolo. Essa fornisce infine il modello di base della teoria quantistica dei campi, che costituisce una soddisfacente, anche se tuttora incompleta, spiegazione delle proprietà fondamentali della natura, al più elementare livello microscopico attingibile con le moderne tecniche sperimentali.
L'e. q. è però tuttora insoddisfacente da vari punti di vista.
La necessità di ricorrere, per ogni calcolo, a tecniche di tipo perturbativo è una limitazione grave, tanto più in quanto la comparsa di divergenze in tali calcoli suggerisce che la serie perturbativa non converge (il soddisfacente confronto con l'esperienza indica però che tale serie è almeno asintotica). La tecnica della rinormalizzazione, pur permettendo di eliminare le divergenze e di ottenere risultati confrontabili con i dati sperimentali, non può essere considerata una soluzione soddisfacente (quale che sia la sua formulazione), se non altro perché non permette di calcolare alcune grandezze, quali le differenze di massa di origine elettromagnetica, che è difficile credere non abbiano senso fisico (si pensi al caso dei pioni o dei nucleoni, con differenze di massa finita fra particelle neutre e cariche).
L'e. q. è caratterizzata inoltre dalla presenza del parametro adimensionale a, legato al valore della carica elettrica (vedi sopra); ma né il valore numerico di tale costante, né il fatto che la carica elettrica di tutte le particelle elementari è un piccolo multiplo intero della stessa carica elettrica elementare, sono spiegati dalla teoria. Sembra chiaro che ambedue questi problemi potranno essere risolti solo nell'ambito di una formulazione unitaria della teoria delle particelle elementari. La presente distinzione fra interazioni forti, elettromagnetiche, deboli, superdeboli, gravitazionali, pur avendo evidenti basi fenomenologiche (v. particelle elementari e antiparticelle in questa App.) e una sua indubbia utilità, in quanto permette lo sviluppo delle diverse formulazioni teoriche che meglio si adattano alle diverse interazioni, appare infatti incompatibile con il carattere di universalità manifestato dall'identità della carica elettrica elementare per ogni tipo di particella. Qualche passo nelle direzione d'una teoria unitaria delle particelle elementari, almeno nel senso di una connessione fra e. q. e teoria delle interazioni deboli, è forse stato compiuto di recente (A. Salam, S. Weinberg); ma non è ancora chiaro se questi sviluppi sono validi, né a cosa conducano. Una spiegazione teorica del valore della costante di struttura fina non sembra comunque essere imminente.
Altro problema aperto è l'esistenza di due sole particelle leggere cariche non aventi interazioni forti, l'elettrone e il muone; il sospetto che la spiegazione dell'esistenza di questa coppia di particelle sia in qualche modo legata all'e. q. origina, più che dal fatto che tale interazione è (almeno alle basse energie) la più forte di cui queste particelle risentano, dalla quasi esatta coincidenza (che potrebbe essere casuale, ma che forse non lo è) del rapporto fra la massa mμ del mesone μ e quella me dell'elettrone, mμ/me = 206,8 con la semplice espressione
Occorre infine menzionare che la proprietà della carica elettrica elementare, di essere la stessa per tutte le particelle, potrebbe trovare una giustificazione nell'esistenza di un nuovo tipo di particella, il monopolo magnetico; si avrebbe infatti in tal caso la condizione di quantizzazione eg/ℏc = n/2, con g carica magnetica del monopolo stesso ed n un numero intero (Dirac, 1931; esistono versioni successive della stessa teoria, tutte caratterizzate da analoghe condizioni di quantizzazione, talvolta però con l'ulteriore restrizione che n sia pari). L'esistenza di tale particella comporterebbe una profonda revisione dell'intera elettrodinamica; revisione che peraltro potrebbe essere compiuta in modo da non compromettere la presente concordanza con i dati sperimentali, se il monopolo ha massa sufficientemente grande. La ricerca di tale particella è in corso da molti anni, finora senza risultati probanti; la scoperta annunciata nel 1975, sulla base dell'evidenza fornita da una lastra di emulsione fotografica recuperata da un pallone sonda e inpressionata da raggi cosmici (si veda l'articolo di P. B. Price, E. K. Shirk, W. Z. Osborne, L. S. Pinsky, in Phys. Rev. Lett. vol. 35, p. 487, 1975) non sembra infatti, in assenza di ulteriori conferme, fornire una base sufficiente per ritenere confermata l'ipotesi di esistenza del monopolo magnetico.
Applicazioni pratiche. - L'e. q. costituisce la teoria di base per fondamentali processi fisici, quali per es. l'emissione e l'assorbimento della luce, e più in generale per tutti i fenomeni coinvolgenti cariche elettriche e campi elettromagnetici; in questo senso le sue applicazioni pratiche sono innumerevoli. In realtà però lo studio di tutti questi fenomeni (anche di quelli in cui gli effetti quantistici giuocano un ruolo essenziale, come per esempio il laser) non richiede l'uso del formalismo teorico dell'e. q. in tutta la sua complessità matematica, che è necessario solo per quei fenomeni della fisica delle particelle elementari che si sono discussi più sopra. Sicché per e. q. s'intende generalmente solo la teoria che si riferisce a tali fenomeni, potendosi negli altri casi utilizzare descrizioni teoriche fenomenologicamente più appropriate, convenienti e semplici.
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Un'antologia dei principali articoli che hanno segnato lo sviluppo dell'e. q. è stata curata da J. Schwinger, Quantum electrodynamics, New York 1958.