ELETTRO (ἤλεκτρον, χρυσὸς λευκός; electrum)
È una lega naturale e artificiale variabile d'oro e d'argento, così detta per il suo colore più pallido dell'oro puro e più giallo dell'argento. Erodoto distingue accuratamente il χρυσός dal λευκὸς χρ. (1, 50, 2). Il primo autore che con la parola ἤλεκτρον avrebbe denominato questa lega metallica sarebbe Sofocle, nell'Antigone (v. 1038), ove oppone l'electrum di Sardi all'oro puro dell'India. Per Plinio l'electrum è il metallo nella cui lega c'è 1/5 d'argento, e che si può produrre artificialmente (Nat. Hist., 33, 23, ecc.); Isidoro di Siviglia distingue accuratamente l'electrum naturale da quello artificiale (Orig., 16, 23). Sono in elettro alcuni oggetti preziosi dei corredi di tombe etrusche e laziali del periodo orientalizzante, p. es. le coppe sbalzate della tomba Bernardini di Preneste, e di tombe della Russia meridionale. Per designare questo metallo i Greci adoperano ancora più spesso le caratteristiche frasi χρυσίον κυζικηνόν, oro di Cizico; χρυσίον Φωκαικόν, oro di Focea, perché sono queste due città che in elettro coniarono ricche serie monetali.
Le monete di Cizico sono le più note e quelle coniate in maggior quantità e per più lungo tempo, e che hanno servito al commercio internazionale del Mare Egeo dal principio del sec. VI a. c. sino all'età alessandrina. La serie è varia di tipi magnifici, che Cizico prese verosimilmente a prestito un po' dovunque alle altre città elleniche, aggiungendovi però costantemente il simbolo del tonno, l'emblema della città. Pare anche che la zecca di Cizico avesse in realtà il monopolio di queste emissioni. Lo statere di gr. 16,50, e il suo sesto, o hekte, di gr. 2,75, sono i nominali più comunemente coniati. Dall'aspetto tozzo, spessi, a bordi irregolari, col quadrato incuso caratteristico e che perdura sino all'ultimo, i pezzi mostrano spesso notevolissimi tipi artistici. Al principio del sec. V a. C. s'inizia la ricca serie degli hekte di elettro di Focea, nella Ionia, col tipo ben noto della foca, l'emblema parlante della città, la cui emissione si continua sino ai tempi di Alessandro con una varietà di tipi di straordinario interesse. Sono di elettro ancora le più arcaiche ma meno ricche serie monetali anepigrafi di zecche incerte, di città litoranee o insulari dell'Asia Minore, che si identificano esclusivamente dai tipi, e che si appongono: 1. a Mileto (leone e protome leonina); 2. a Efeso (cervo); 3. a Lampsaco (protome di pegaso); 4. a Chio (la sfinge); 5. a Samo (protome leonina); 6. a Mitilene e Metimna (testa di vitello o di cignale), ecc. Sono monete arcaiche, unilaterali, che si attribuiscono al sec. VII e al VI, e che sono tagliate secondo sistemi varî; al tempo di Dione di Siracusa (circa 357-353 a. C.) si appone l'unica serie di pezzi di elettro siracusani, che è costituita da nominali varî, del valore rispettivo di litre 100, 50, 25, 10, e del peso corrispondente di gr. 7,30; 3,65; 1,85; 0,75, e coi bei tipi della testa di Apollo, di Demetra, del tripode, ecc. Ancora più tarda appare la serie di elettro di Cartagine, dai soliti tipi caratteristici, l'effigie di Persefone, il cavallo, la palma, che s'inizia circa il 340 a. C. e che continua sino alla metà del sec. II a. C., suddividendosi in due gruppi, l'uno anteriore e l'altro posteriore alla prima guerra punica, che portò alla conquista delle ricche miniere spagnole. Al primo gruppo, meno ricco, appartengono i nominali dalla didramma alla semidramma (gr. 7,68-1,74); al secondo appartiene il tridramma oltre ai nominali inferiori sino alla semidramma. A proposito dell'elettro di Cartagine, Livio racconta (XXXII, 2) che questa nel 199 aveva tentato di pagare in elettro la contribuzione di guerra, ma i questori, fatto esaminare il metallo, constatarono che la lega rappresentava un quarto del peso, ciò che fu per mandare a monte ogni trattativa. I numismatici non sono ancora d'accordo sull'epoca, sulla zecca, sull'autorità coniante e sul sistema d'una moneta di elettro, anepigrafa, del peso normale di gr. 2,80 coi tipi del quadrigato che dovette circolare vastamente nello stato romano e che è stata generalmente considerata appartenente alla serie romana, ma che oggi si attribuisce ad Annibale e alla zecca di Capua. Una ricca serie di pezzi d'elettro sempre più pallido, e quindi più povero d'oro, è stata infine coniata dai re del Bosforo, nel II e III secolo dell'Impero.
Per la serie dei soldi bizantini d'elettro, v. costantinopoli: La zecca: XI, pag. 627 segg.; per le monete d'elettro coniate dai popoli della Gallia indipendente, v. gallia.
Bibl.: E. Babelon, Traité des monnaies grecques et romaines, I, I e II, Parigi 1901, II, Parigi 1907-1910, s. v.; B. V. Head, Historia Numorum, Oxford 1911, 2ª ed., passim.