DELLA GENGA, Eleonora
Secondo G. D. Scevolini fiorì nel sec. XIV, appartenne alla famiglia dei conti Della Genga di Fabriano e fu nipote di Gandolfino.
La cronaca dello Scevolini (Dell'Istoria di Fabriano), pubblicata dal Colucci alla fine del Settecento (in Antichità Picene, pp. 148-51), menziona in termini laudativi la poetessa e la sua attività, ma non fornisce precisi dati cronologici. La D. è ritenuta "inventrice" del genere "di far sonetti scherzando perpetuamente con due voci" e commemorata dallo stesso Scevolini col sonetto epicedio Leonora è spenta, o sacri Pegasei; ma sommario risulta il suffragio dei ragguagli documentari e viziato da municipalismo. La mancanza di attendibili notizie sulla vita della poetessa ne ha del resto fatto revocare in dubbio persino l'esistenza e ha indotto a sospettare seriamente dell'autenticità della piccola silloge di liriche che ci è stata tramandata sotto il suo nome. La fonte primaria dell'attività di Eleonora è il trattatista del Cinquecento Giovanni Andrea Gilio, che, alla fine del quarto libro dei suoi Topica poetica, intitolato Delle figure de' concetti, aggiunge dieci sonetti di "alcune gentildonne" fabrianesi (due di Livia di ser Chiavello, quattro di Ortensia di Guglielmo, quattro della D.) "che furono al tempo del Petrarca".
L'assenza di una tradizione precedente, che alluda a questo sia pur esiguo corpus poetico e la sua riesumazione tardiva, a due secoli di distanza dalla sua presunta composizione, hanno reso cauti i posteri riguardo all'operazione del Gilio, conterraneo della D. e grande estimatore dei suoi meriti e di quelli delle altre due letterate. Concordi sono i commentatori successivi nel sostenere che la pubblicazione di questi inediti da parte dell'erudito fabrianese mirasse a dimostrare (come conferma la dedica al cardinale Farnese) la gloria di Fabriano nei secoli precedenti e la rendesse degna del titolo e dello statuto di città, che in quel momento essa rivendicava.
La vicenda delle petrarchiste marchigiane, così fortemente condizionata dalla sua stessa genesi, è rimasta nei secoli sospesa tra i due poli valutativi dello scetticismo e dell'autenticità, interessando a più riprese e sia pure marginalmente (oltre, è evidente, il fedele e ben disposto schieramento dell'erudizione locale) la critica seriore. Pubblicate più volte nel corso del Settecento, le rime delle fabrianesi sono state oggetto di opposte considerazioni da parte dei grandi eruditi di quel secolo. Così G. M. Crescimbeni (p. 169) accredita di autenticità la notizia data dal Gilio e mostra altresì di apprezzare le qualità letterarie della R; mentre G. Tiraboschi (p. 779) avanza al contrario alcuni sospetti sull'esistenza di tutto il gruppo delle rimatrici, congetturando che le loro liriche fossero state "composte più tardi assai che non sembra" e attribuite a costoro "che o non mai vissero al mondo, o non mai poetarono". La querellesi riaccende poi in termini praticamente identici alla fine dell'Ottocento, senza che, in verità, siano emersi altri indizi per suffragare alcuna delle due tendenze interpretative. La linea scettica è in questo frangente sostenuta dal Carducci (pp. 77 s.) che definisce sprezzantemente il gruppo delle fabrianesi "cotesta nidiatella di gentildonne poetesse" e ancora "apocrife gentildonne" e − come A. Borgognoni (p. 215) -, in àssenza della testimonianza dei codici, propende per il falso, che sarebbe stato fabbricato in età successiva, allorché il linguaggio petrarchesco era stato da tempo assimilato. Senza il conforto di ulteriori prove indiziarie, ma bisognoso di ispessire il suo catalogo di presenze letterarie femminili, conferma l'attribuzione di queste liriche E. Magliani (p. 62);mentre qualche più convincente testimonianza arreca M. Morici per convalidare almeno l'ipotesi dell'esistenza della D. nella seconda metà del Trecento.
I quattro sonetti che le vengono tradizionalmente attribuiti (Tacete o maschi, a dir che la natura; Dal suo infinito amor sospinto Dio; Di smeraldi, di perle e di diamanti; Coprite o Muse di color funebre)non contengono in verità spie o allusioni dirette che possono condurre ad un'attendibile identificazione. Il terzo sonetto è dedicato ad Ortensia di Guglielmo, la più reputata di queste poetesse, che il Gilio indica come corrispondente del Petrarca e destinataria del sonetto responsorio La gola e 'l sonno; e l'ultimo celebra la morte della stessa rimatrice, sicché il Crescimbeni ha collocato la fioritura della D. intorno al 1360. Ma, come si è visto, anche la vicenda letteraria di Ortensia attende di essere omologata e perciò anche le possibili connessioni con essa devono essere verificate.
A temi e soluzioni tecnico stilistiche propri della civiltà rinascimentale rimandano del resto gli altri due sonetti: l'uno, Tacete o maschi, impegnato a rivendicare la supremazia naturale della donna; l'altro, Dal suo infinito amor, intriso di concetti neoplatonici e di una coscienza del peccato e della degradazione umana, che appaiono un portato della religiosità controriformistica. Proprio quest'ultimo sonetto è costruito secondo. virtuosismi compositivi (l'alternanza di due sole parole rima, Dio, huomo; le inversioni e i chiasmi piegati a sottigliezza concettista) che sembrano indicare l'avvenuta assimilazione del petrarchismo negli schemi inanieristici; e, infatti, l'abbondanza di questi artifici non si può spiegare, come volevano benevoli ma imbarazzati commentatori, con le virtù di novatrice della poetessa, ma con la diffusione di stilerni assimilati da un'estesa corrente. La struttura del linguaggio poetico dei quattro sonetti evidenzia d'altra parte un agio e una sicurezza espressivi difficilmente riconducibili alla prima stagione dell'imitazione del Petrarca, sicché rimangono seriamente attendibili le riserve dei più avvertiti filologi che, indipendentemente dalle prove documentarie, hanno sentito in questa poesia la manipolazione di un più recente artigiano.
Fonti e Bibl.: G. A. Gilio, Topica poetica, Venezia 1580, cart. 75 s.; G. Colucci, Antichità Picene, Fermo 1792, XVII, pp. 148-51; L. Bergalli, Componimenti poetici, Venezia 1726, pp. 4 s., 262; G. M. Crescimbeni, Istoria della volgar poesia, Venezia 1730, III, p. 169; F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, II,Milano 1741, p. 188;G. Tiraboschi, Storia della letter. ital., V,3, Venezia 1823, p. 779; G. Carducci, Note a sonetti e canzoni del Petrarca, in Ediz. naz. delle opere, XXVII, pp. 77 s.; E.Magliani, Storia letteraria delle donne ital., Napoli 1885, p. 62;A.Borgognoni, Rimatrici italiane ne' primi tre secoli, in Nuova Antologia, 16 luglio 1886, p. 215;M.Morici, Giustina Levi Perotti e le petrarchiste marchigiane, in Rassegna nazionale, 16 ag. 1899, pp. 665 s.; G. Marcoaldi, I conti Della Genga. E. D., Cortona 1915(con bibliografia); A. F. Guidi, Fabriano e le prime poetesse d'Italia, in Il Lavoro d'Italia, 11 sett. 1928.