ELEONORA d'Arborea
Figlia di Mariano IV e sposa di Brancaleone Doria, assunse le redini del giudicato d'Arborea, in un momento tempestoso per la tragica rivolta degli Oristanesi contro il fratello Ugone, trucidato a furor di popolo (1383). Preso il titolo di iudicissa de Arborea, continuò risoluta la politica della famiglia, raccogliendo intorno a sé i sardi che non erano disposti a diventare servi dei re d'Aragona. Non pensava di essere con ciò ribelle. L'autonomia non le sembrava incompatibile con l'omaggio al re. Suo marito stesso si recò alle cortes di Monzon: ma si trovò il pretesto per sequestrarlo di persona pochi giorni dopo averlo creato conte di Monteleone e barone di Marnilla. Sarebbe stato liberato quando avesse consegnato quale ostaggio ad Aragona il figlio Federico, da E. proclamato erede presuntivo. E. non si perse d'animo, e ricorse alla guerra. Il 24 gennaio 1388 venne ad un trattato che, nonostante la promessa di rendere ad Aragona Sassari, Osilo, Longon Sardo, Sanluri ed Iglesias, fu per lei onorevolissimo. Essa lo aveva firmato soprattutto per liberare il marito. Riavuta questi la libertà (1390), ripresero la lotta, copertamente Brancaleone, apertamente E., affiancata dai Genovesi. In breve la maggior parte dell'isola fu in potere della casa d'Arborea. Re Martino, successo a Giovanni in Aragona, preferì troncar la guerriglia nel 1395 con un nuovo trattato. E. poté così vivere in pace gli ultimi anni della sua vita, dedicandosi all'opera legislativa cui resta specialmente raccomandata la sua fama (v. sardegna: Storia). Moriva, probabilmente, nel 1404. La Sardegna non l'ha mai dimenticata e ha fatto di essa, e non a torto, la propria eroina.
Il nome di Eleonora d'Arborea è specialmente legato alla revisione della carta de logu di Arborea. Già Mariano di Arborea aveva cominciato a riordinare gli usi e gl'istituti giuridici, nel codice rurale in 28 capitoli che di lui ci è rimasto; E. proseguì, ampliandola, l'opera, uniformandosi sì alle condizioni locali, ma innovando anche con giusto criterio; e la chiarezza del testo (scritto dapprima in logudorese, poi leggermente campidanizzato in successive trascrizioni) e l'efficacia delle norme fecero sì che la carta fosse poi osservata in tutta la Sardegna.
Bibl.: v. arborea.