CIBO, Eleonora
Primogenita di Lorenzo Cibo e Ricciarda Malaspina, marchesa di Massa, nacque a Massa il 10 marzo 1523. I pessimi rapporti che si istaurarono prestissimo Era i genitori e l'odio che la marchesa nutriva per il marito e di riflesso per i figli da lui avuti fecero sì che sia il padre sia la madre si disinteressassero quasi totalmente della Cibo. Rinchiusa molto presto nel convento delle Murate a Firenze, di lei si prese cura, interessandosi ai suoi studi, la zia paterna Caterina Cibo da Varano, da quando, nel 1535, si stabilì a Firenze.
Già nel 1539 cominciarono le trattative per maritare la C. al genovese Gian Luigi Fieschi; queste si prolungarono però per parecchi anni, sia per l'opposizione del doge Andrea Doria, che non vedeva di buon occhio, la potente famiglia Cibo legarsi in parentato a quella dei Fieschi, sua antagonista, sia per le mene della Malaspina, che avviò nello stesso tempo altre trattative e con il conte Sforza di Santafiora e, nel 1541, con il conte di Perleza, nipote del cardinale Agostino Trivulzio, attraverso la mediazione di Ercole d'Este; anche il marchese di Aguilar, ambasciatore spagnuolo a Roma, allora amante della madre della C., avanzò per il figlio una proposta di matrimonio, ma chiedendo una dote esorbitante.
Certo non giovavano ai negoziati matrimoniali né la condotta poco edificante della madre né la scarsa disponibilità finanziaria del padre, benché lo zio paterno, cardinale Innocenzo, quale capo della famiglia, oltre che quale amico troppo benvoluto della Malaspina, si rendesse garante della dote. La promessa di matrimonio con il Fieschi, avvenuta il 27 giugno 1539, fu confermata il 16 nov. 1541, mentre ci si rimetteva al conte Vitaliano Visconti Borromeo, marito di una figlia di primo letto della Malaspina, per appianare alcune difficoltà ancora non risolte. Nel frattempo la giovane, insoddisfatta della vita di reclusa e stanca del soggiorno in convento, pregava lo zio di volerla finalmente maritare. Il 15 sett. 1542 fu firmata la promessa solenne; la dote era stata stabilita un mese prima in 36.000 scudi, parte da versare subito e parte in seguito, secondo précise modalità; il cardinale garantiva sui proventi dell'abbazia di Morimondo, di cui era abate commendatario, una provvisione annua di 1-150 scudi.
Condotta da Firenze a Pisa, da qui la C. raggiunse Carrara, dove il 30 genn. 1543 si concluse "per verba de presenti" il matrimonio. Dopo i solenni festeggiamenti, vennero a prelevare la sposa per recarla a Genova due galere, guidate dal nipote del doge Giannettino Doria. Per la prima volta in questa occasione si trova così associato il nome della C. con quello del Doria, la prima, ma non certo l'ultima, poiché buona parte degli storici volle indicare come causa scatenante della congiura ordita dal Fieschi nel 1547, oltre agli ingontrovertibili motivi politici ed economici, anche il risentimento che questi nutriva contro il Doria, il quale era stato "captus amore" per la Cibo. Questa, il cui matrimonio, rimasto senza prole, non fu contrassegnato dall'accordo coniugale, secondo una testimonianza resa nel processo che trent'anni dopo promosse Scipione Fieschi per ottenere la restituzione dei beni del fratello, "amorem faciebat" con Giannettino. La congiura scoppiò il 2 gennaio e la C. fu messa al corrente dal marito solo immediatamente prima dell'attuazione dei piano. Morti, come si sa, sia Giannettino Doria, ucciso in combattimento, sia il Fieschi, caduto in mare durante l'azione, la C., dal suo palazzo in Violato, si rifugiò nel monastero di S. Leonardo, dov'era monaca la cognata, Angela Caterina Fieschi. Durante tutto il mese di febbraio la C. certò di rientrare in possesso della sua dote; per allora inutilmente. Agli inizi del mese di marzo lasciò Genova e a Lerici incontrò lo zio cardinale, che l'accompagnò a Pisa. Da qui si recò ad Agnano presso il padre, dove stette per qualche tempo, proprio mentre nella famiglia si stava svolgendo il dramma che opponeva la madre al figlio Giulio, che si era impadronito con la forza dello Stato di Massa.
Ai primi, di maggio la C. si recò a Firenze e qui le porte delle Murate si richiusero di nuovo dietro di lei. Questa volta però ella non intendeva rimanere passivamente nell'ingrato soggiorno, impostole dai parenti, e chiese aiuto e protezione direttamente al duca Cosimo de' Medici. Il duca prese a cuore la sua sorte e un anno dopo circa cercò di accasarla prima con Troilo de' Rossi, poi intraprese trattative con il suo condottiero Gian Luigi Vitelli, detto Chiappino.
Questo partito era molto gradito alla C., che tenne testa nell'occasione a tutti i parenti, che, contrari a questo matrimonio, avevano questa volta trovato unanimità e accordo contro di lei. Furono fatti più tentativi per indurla a recarsi a Massa, ma ella non acconsentì, sapendo che lì sarebbe stato facile ai parenti sottometterla alla loro volontà. Nell'ottobre del 1548 fece comunicare allo zio che si sarebbe mossa dalle Murate solo dopo essersi sposata e che riteneva ottimo il partito da lei scelto. Perdurando l'opposizione dei Cibo, nel novembre il Vitelli ruppe gli indugi e rese pubbliche le nozze, provocando le lamentele della Malaspina e le proteste del cardinale, che, facendo le sue rimostran e a Cosimo, lo accusò di ingratitudine. Tuttavia ormai la risoluzione della C. ebbe il sopravvento e il 10 ott. 1549 sì fece il nuovo contratto dotale. Oltre ai 26.000 scudi, recuperati dall'eredità del Fieschi, Innocenzo Cibo si impegnò a pagare i rimanenti fino al raggiungimento dei 36.000 promessi.
Della vita matrimoniale della C. con Chiappino Vitelli non abbiamo notizie, oltre al fatto che non ebbero figli e che ella si ritirò sovente alle Murate durante le lunghe assenze del marito. Rimasta per la seconda volta vedova nel 1575, la C. tornò di nuovo, e questa volta per sempre, nel convento in cui aveva passato la giovinezza, con il patto però di poterne uscire tre volte l'anno. Superato un contrasto a proposito dell'ereffità, assai scarsa, lasciatale dal marito, con un figlio naturale di questo, Giovanni Vincenzo, la C. consumò il resto del suo tempo in una vita di meditazione e di studio, dedicandosi anche, come aveva fatto sua zia per lei, alla cura e all'educazione di una sua nipote, Angela Caterina, cui fornì fra l'altro 3.000 ducati di dote per entrare nel monastero.
Morì il 22, febbr. 1594 alle Murate, dove aveva fatto costruire per suo uso alcune stanze e dove fu sepolta secondo la sua volontà.
Qualificata da F. S. Quadrio (Della storia e della ragione di ogni poesia, II, Milano 1741, p. 262) come illustre poetessa, riconfermarono tale giudizio vari compilatori di storie della letteratura. In realtà si conosce soltanto un suo sonetto, edito fra le poesie di Faustino Tasso (Il secondo libro delle rime toscane, a cura di F. Campeggio, Torino 1573, p. 51), garbato, ma di grande esilità. La C. fu comunque in rapporto con alcuni letterati della sua epoca. Ludovico Domenichi le dedicò una sua traduzione (Libro della gratia e del libero arbitrio di s. Agostino, Firenze 1563) e Giuseppe Betussi, che fu per qualche anno al servizio dei suo secondo marito, in una sua trattazione dottrinale (La Leonora, Lucca 1557, p. 56, riedita in Trattati d'amore del Cinquecento, a cura di G. Zonta, Bari 1912, p. 342) la incluse in una rassegna di nobildonne, definendola fra l'altro "ornamento del sesso donnesco".
Fonti e Bibl.: G. Sforza, Cronache di Massa di Lunigiana, Lucca 1882, pp. 75, 148, 258-60; L. Staffetti, Il libro di ricordi della famiglia Cybo, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XXXVIII (1908), pp. 9, 13, 20, 45, 52 s., 126, 198, 240, 266 s., 31s., 317 s., 357 s., 364, 377, 398, 418, 423, 461, 476; A. v. Reumont, Beiträge zur italien. Geschichte, IV, Berlin 1855, pp. 189-296; L. Staffetti, Donne e castelli di Lunigiana, IV, La moglie di Gian Luigi Fieschi, in Giorn. stor. e lett. della Liguria, n. s., I (1925), pp. 189-219; II (1926), pp. 50-51, 186-203.