ELENA (‛Ελένη Helĕna o Helĕne)
Eroina della leggenda greca. L'etimologia del nome, per quanto incerta, si riconnette forse con una radice indicante splendore, come ἑλάνη "fiaccola". Direttamente non si può riconnettere con Σελήνη, per la quantità della seconda vocale; ma è ben probabile che sia una divinità lunare.
È molto difficile stabilire se certe tradizioni sulle vicende d'Elena dipendano direttamente dal mito o siano fioritura della leggenda: se la prigionia presso Proteo (personificazione dell'elemento primordiale, l'acqua), fosse il riflesso di fenomeni naturali, come la luna che s'immerge nell'oceano, e se il ratto di Teseo, ipostasi di Posidone o di Elio, indicasse un rapporto simile, la dimostrazione che Elena fosse una divinità lunare sarebbe quasi raggiunta. In ogni modo, ricordando l'influenza vera o presunta della luna sulla vegetazione, l'esistenza d'un culto di Elena Dendrite (‛Ελένη Δενδρῖτις) a Rodi depone per la sua natura di divinità lunare; ma l'attributo di ἀπαγχομένη, che avrebbe in quanto fu impiccata a un albero dalle donne di Rodi, difficilmente può riferirsi all'oscuramento della luna: si tratta invece di un mito etiologico.
E. aveva un culto in Terapne nella Laconia insieme coi Dioscuri, ma la diffusione del suo culto oltre i confini della Laconia, almeno per l'Argolide, è attestata dall'esistenza di Elena Dendrite a Rodi, colonia argiva: se pure questo non era un culto schiettamente dorico-acheo che in Sparta assunse una fisionomia sua propria, differenziandosi per tempo dagli altri. Essa sarebbe stata, secondo l'Iliade, figlia di Zeus: la madre non è nominata nell'Iliade, dove E. è data come sorella di Castore e Polluce. In un luogo non molto antico dell'Odissea, nella νέκυια, è nominata Leda come madre di E. e dei due Dioscuri. È incerto se tale opinione si debba attribuire anche al poeta dell'Iliade. Infatti per il poeta delle Ciprie E. è figlia di Zeus e di Nemesi, e per Esiodo è figlia di Zeus e di un'Oceanina. Secondo una versione tendente a combinare la tradizione delle Ciprie con quella della νέκυια omerica, Zeus si sarebbe innamorato di Nemesi che per sfuggire al suo amore si trasformò in varî animali, e l'avrebbe raggiunta sotto forma di un cigno a Ramnunte. Dall'amore nacque un uovo che fu portato a Leda, e nata E. fu adottata da lei e dal marito Tindareo (o Tindaro). Secondo un'altra versione l'uovo sarebbe stato proprio di Leda. Più recente è la versione, secondo la quale le uova sarebbero state due: da una sarebbero nati i Tindaridi, dall'altra Clitennestra ed E. Antica certo è la tradizione che fa di E. e di Clitennestra due sorelle, come è attestato dal poeta della seconda νέκυια, il quale fa di Clitennestra una figlia di Tindaro (Odys., XXIV, 199).
Elena nel ciclo troiano. - Afrodite, giudicata da Paride (v.) la più bella tra le dee, gli diede in premio E., moglie di Menelao re di Sparta, e allora i Greci si unirono per guerreggiare Troia, patria di Paride, e riprendere E. Antenore propose di render E. ai Greci, ma Paride non volle accettare e la guerra si continuò fino alla distruzione di Troia. Ma prima che Troia fosse incendiata, Paride morì sul monte Ida ed E. sposò Deifobo, che fu ucciso da Menelao quando Troia fu presa. E. venne ricondotta in Grecia, dove trovò la figlia Ermione da lei abbandonata quando fuggì con Paride. Secondo Erodoto che qui attinge ad Ecateo, E. e Paride, sbattuta la nave dai venti, approdarono in Egitto, e Proteo, che vi regnava, la trattenne: i Greci avendo richiesto E. e trovandosi i Troiani nell'impossibilità di restituirla, non potevano impedire la distruzione della città. Con questa tradizione è in qualche rapporto la palinodia di Stesicoro, secondo il quale non E., ma un simulacro (εἴδωλον) di E. sarebbe stato portato a Troia; tale motivo appunto fu svolto da Euripide nella sua Elena.
Elena e Teseo. - Secondo una leggenda d'impronta schiettamente attica, Teseo e Piritoo rapirono E. e la condussero in Afidna nell'Attica. Nell'assenza di Teseo, i Dioscuri invasero l'Attica, e i Decelei, oppure, secondo un'altra versione, l'eroe Decelo, eponimo di Decelea, avrebbe indicato il luogo dove era stata posta E.; i Dioscuri la ripresero e condussero seco anche Etra, madre di Teseo. Teseo avrebbe avuto cinquant'anni ed E. sarebbe stata ancora bambina, differenza di età stabilita in base al prammatismo che poneva Teseo nella generazione anteriore alla guerra di Troia.
Elena e Proteo. - Abbiamo già ricordato l'avventura di Paride ed E. portati dai venti in Egitto. Abbiamo già notato che questa leggenda può avere un sostrato naturalistico, ma non si può andare oltre nelle affermazioni. Notiamo solo che Proteo non è indigeno dell'Egitto, ma delle acque della Calcidica, e che già nell'antichità ci si poneva il quesito come dalla Calcidica fosse stato trasportato in Egitto. Forse la dimora di E. presso Proteo può celare un mito affine a quello del ratto di Teseo e Paride; ma sarebbe sempre difficile sceverare l'elemento naturalistico da quello novellistico.
Bibl.: L. Preller e C. Robert, Griech. Myth., Berlino 1920-23, I, p. 336; II, p. 699 seg.; III, 2, parte 1ª, pp. 1066-1089; E. Meyer, Gesch. des Altertums, II, i, 2ª ed., Berlino 1928, p. 97 seg.; E. Bethe, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VII, coll. 2824-2835; O. Gruppe, Griech. Myth., Lipsia 1921; U. v. Wilamowitz, Homerische Untersuch., Berlino 1884, pp. 26-27 (pel paese di Proteo); V. Costanzi, in Atene e Roma, 1902, nn. 39-40; V. Pisani, in Riv. di Fil., n. s., VI (1928) p. 476 segg.; W. Roscher, Lexikon d. gr. u. röm. Mythol, I, ii, coll. 1928-1977; A. H. Krappe, in Rhein. Museum, LXXX (1931), p. 113 segg.; A. Momigliano, Un aspetto ignoto del mito di Elena, in Aegyptus, XIII (1932).
Elena nella letteratura. - E. fu, tra le figure della poesia antica, una di quelle che più dominarono l'immaginazione dei poeti; e spesso ne ritorna nella poesia il ricordo, sebbene quasi sempre in visioni fugaci e rapidi accenni, e senza che per molto tempo ne sia nata un'opera vitale. Come riflesso dello spirito nuovo del Rinascimento, E. compare anche, supremo dono che la vita può offrire, nella leggenda di Faust, fin dai tempi della tragedia del Marlowe; la risuscitò a nuova vita, nella seconda parte del suo Faust, il Goethe, come perfetta e in sé conchiusa immagine della bellezza antica e dell'antica vita, accanto al tragico rappresentante della moderna inquietudine. Fra le composizioni posteriori basterà qui ricordare l'Hélène di Leconte de Lisle e l'evocazione di D'Annunzio nelle Laudi; nonché l'operetta celebre di Offenbach, dove ogni echeggiar di risate, dappertutto altrove incontenibile, per un attimo si arresta, dinnanzi alla visione di E. che dorme e sogna.