ENSELMINI, Elena
Figlia di Xex (e non di Africano, come si ripete nella letteratura storica), nacque a Padova nel 1207, da nobile famiglia.
Ramo della casata dei Ruffi discendente a sua volta da quella dei Trarisguardi, una delle più illustri della città, gli Enselmini erano signori di Caselle de' Ruffi (probabilmente una signoria di castello), ma all'epoca in cui visse la E. non erano più sorretti da patrimonialità e potenza economica confacenti al loro rango. Certo Xex non doveva disporre di risorse cospicue, se il De Favafuschis lo definisce "non valde dives".
Le fonti non riferiscono l'anno di nascita della Enselmini. Esso si ricava tuttavia, tenendo conto del fatto che "Diem obiit Helena beata … aetatis vero suae anno XXIIII" (Sicconis Polentonis Vita et visiones…, col. 517), per calcolo retrogrado dalla data di morte - "Anno Domini MCCXXXI, die IIII mensis Novembris" - contenuta nel breve elogio funebre scritto sulla pergamena, giunta sino a noi, che venne inchiodata sulla bara della E. qualche decennio dopo la sua scomparsa.
Nulla sappiamo, per il silenzio mantenuto in proposito dalle fonti, circa l'educazione ricevuta dalla E. all'interno della sua famiglia, che era numerosa; nulla sappiamo della sua formazione spirituale. Si può tuttavia ritenere che ella rimanesse precocemente affascinata dai contenuti della prima predicazione francescana in Padova e dagli ideali e dall'esempio di semplicità, di umiltà, di disappropriazione totale offerto da Francesco da Assisi. Quando nel 1220 Francesco, di ritorno dall'Oriente, si fermò a Padova e fondò e costrui all'Arcella un monastero di clarisse con annesso un piccolo convento di frati - "Monasterium de Cella fuit fundatum et constructum per B. Franciscum" (Quaedam scitu digno de civitate Paduae, col. 736) su un terreno donatogli dal capitolo della cattedrale, la E., che era appena tredicenne, chiese di esservi accolta. A probabile che - come vuole la tradizione e come un affresco dello Squarcione nel chiostro di S. Francesco di Padova rappresentava - la E. abbia pronunciato la sua professione religiosa e che dalle sue mani abbia ricevuto il saio.
Nel monastero dell'Arcella - quarta fondazione di "povere dame", che si aggiungeva a quelle di Assisi, di Firenze e di Faenza - la E. rimase per circa dieci anni, facendo vita di durissima ascesi, come voleva la regola delle clarisse del 1219: celebrazione della liturgia delle ore, preghiera, digiuno, lavoro manuale, povertà estrema, silenzio. Benché fosse fragile di costituzione e perciò cadesse di frequente ammalata, sopportò sempre con serenità ogni sofferenza, cercando di vincere la debolezza del suo fisico con la fede, la volontà e l'impegno personale. Come testimonia fra' Bartolomeo da Pisa, godé del privilegio di rivelazioni divine: "Huic Deus multa revelavit, quae ipsa sororibus enarravit, et ea scripta, Paduae duni essem lector, vidi".
All'inizio del 1230 fu colpita dalla inesorabile malattia che le impedi per quindici mesi di lasciare il pagliericcio e che la condusse alla morte.
Il Polenton non precisa di quale malattia si sia trattato, si limita a riferirne i sintomi forse basandosi sui ricordi delle consorelle. 2 da escludere ad ogni modo, per il decorso e le manifestazioni successive del morbo, che si sia trattato di pleurite, come è stato ipotizzato. La malattia si manifestò con febbri violente, che spesso impedivano alla E. di prendere sonno la notte, e che la fiaccarono, indebolendola allo stremo. Poi sopravvenne "quaedam ac duplex tertiana febris", accompagnata da convulsioni. Gli ultimi tre mesi di passione: perduti l'uso della vista e della parola; le mascelle, le dita dei piedi e quelle delle mani dolorosamente contratte, la E. giacque, senza poter assumere né cibo né bevande, ma perfettamente presente e consapevole. Seguiva infatti la celebrazione dell'anno liturgico ascoltando la lettura del Lezionario, dell'Ufficiodelle ore e delle vite dei santi; comunicava con le consorelle, faticosamente e macchinosamente, per mezzo di gesti.
Durante la malattia - cosi vuole la pia tradizione, ma la circostanza non è attestata da alcuna fonte contemporanea - la E. avrebbe avuto la guida e il sostegno spirituale e morale di Antonio da Padova, il quale, già ministro provinciale di Emilia e Lombardia dell'Ordine francescano dal 1227 al 1230, viveva allora a Padova, dove infatti mori, il 13 giugno 1231, proprio all'Arcella. Motivo di consolazione per la speciale predilezione riservatale, ma anche di sofferta partecipazione alla Passione di Cristo furono le frequenti visioni, di cui la E. durante la lunga malattia riferiva - per dovere di obbedienza impostole dalla badessa - alle consorelle attraverso il consueto e faticoso linguaggio gestuale.
La E. mori nel suo monastero, all'età di ventiquattro anni, il 4 nov. 1231, come attesta il già ricordato elogio funebre su pergamena, che fu posto sulla bara della beata. Erra dunque il Polenton, che nella sua biografia scrisse: "Diem obiit Helena beata anno Nativitatis Christi MCCXXX".
Il breve elogio funebre fu redatto certamente dopo la canonizzazione di s. Chiara (1256), ma non eccessivamente più tardi: il monastero in cui visse e mori la E. vi viene infatti indicato col termine di "locus", secondo l'uso durato per tutto il Duecento, e definito "Sancte Marie de Cella Padue", e non "de Cella veteri", come fu invece a partire dal 1325, anno in cui venne fondato a Padova un secondo monastero di clarisse, poi noto come "de Cella nova".
La fama della pia vita della E., la voce che presso il suo sepolcro avvenissero miracoli e, soprattutto, il fatto straordinario che il corpo della beata fosse rimasto incorrotto, giovanile e non rigido "cum sit longo tempore quod mortua est; et ita sibi crescunt capilli et ungues, quod maius est, ac si ipsa viveret" (fra' Bartolomeo da Pisa), si trasformarono subito in venerazione, che fece accorrere folle di fedeli da Padova e dai dintorni. Considerata santa dall'Ordine francescano, i cui agiografi l'associarono per tempo al beato Francesco, a s. Chiara e a s. Antonio da Padova, la E. venne ritratta come compatrona della città, a metà del sec. XIV, da Giusto de' Menabuoi nel polittico del battistero del duomo di Padova. Il monastero, in cui ella era vissuta e nel quale erano conservate le sue spoglie, monastero già dedicato, come la chiesa annessa, alla Madonna, fini con l'assumere il nome della E., come si trae da una bolla del 27 maggio 1443, con cui il papa Eugenio IV concedeva un'indulgenza di cento giorni a chi avesse contribuito alla ricostruzione del monastero di "S. Elena fuori le mura di Padova". Tuttavia il riconoscimento ufficiale della Chiesa di Roma giunse molto più tardi. La causa di beatificazione, richiesta dall'Ordine dei minori, dall'ambasciatore della Repubblica di S. Marco, dal capitolo della cattedrale e dal clero di Padova, dalle autorità cittadine e dal Collegio dei teologi, fu promossa ed inoltrata dal vescovo di Padova, il cardinal Gregorio Barbarigo, nel 1693. Dopo l'escussione delle prove testimoniali e documentarie sul culto immemorabile e sui numerosi miracoli, e l'esame del corpo da una commissione medica, la E. fu proclamata beata da Innocenzo XII nel 1695. Il suo corpo fu traslato in un'urna di cristallo. La festa della beata, nell'Ordine francescano e in tutta la diocesi di Padova, si celebra il 6 novembre, giorno della sua morte.
Le spoglie della E. seguirono le vicende storiche della comunità dell'Arcella. Dal 1957 riposano definitivamente nel santuario dell'Arcella.
Gli scritti, che conservavano la memoria delle visioni della E. che fra' Bartolomeo da Pisa attesta di aver veduto quand'era a Padova, non sono pervenuti sino a noi, forse andati anch'essi perduti come altro materiale relativo alla E., nell'incendio che nell'inverno 1442-43 distrusse l'archivio del monastero dell'Arcella. Nessun accenno alla E. è contenuto nelle fonti coeve o di poco posteriori sino a noi pervenute. Il primo scrittore che ne serbi memoria è fra' Bartolomeo da Pisa, il quale nel suo De conformitate, scritto tra il 1385 e il 1390, ha dedicato alla E. un sobrio medaglione, preoccupandosi meno di delinearne la biografia (non ricorda, fra l'altro, né la data di nascita, né quella di morte) che di porne in risalto la santità della vita ed i miracoli. Quanto sappiamo della personalità e delle vicende della E. ci viene, senza la possibilità di altri riscontri, dalla biografia composta nel 1437 dall'umanista padovano Sicco Polenton.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Padova, Monastero della B. Elena, busta 220; Convento di S. Antonio, busta 174, cc. 20-22; busta 186, c. 3; Corona, buste 102-111; Clero regolare, busta 1416; Demanio, busta 10; Atti del Consiglio, busta 30; Notarile, busta 1340, c. 237; Padova, Arch. provinciale, Convento del Santo, busta VII, n. 519; B. Elena, n 1 (pergamena dugentesca con l'epitafio della E.); n. 2 (copia dell'epitafio, datata 1596); Ibid., Arch. della Curia vescovile, Sala D, sez. 2, c. 1; Ibid., Biblioteca civica, Mss. 605: Patavina Canonizationis B. Helenae Enselminae …; Ibid., Biblioteca del Seminario, Mss. 56: Z. A. De Favafuschis, Chronica Patavina, f. 9; Quaedam scitu digno de civitate Paduae, in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., VIII, Mediolani 1726, col. 736; Sicconis Polentonis Vita et visiones b. Helenae, in Acta sanctorum… Novembris, II, 1, Bruxellis 1894, coll. 512-517; Bartholomaei de Pisis De conformitate vitae beati Francisci ad vitam Domini Iesu, in Analecta franciscana …, IV, Ad Claras Aquas 1906, pp. 358 s.; Radulphi Tussignani Historiarum Seraphicae Religionis libri, I, Venetiis 1586, p. 140; A. Portenari, Della felicità di Padova, Padova 1623, p. 429; C. Dancluzzi Messi, B. E. E. Un angelo sulle orme del Santo di Padova, Padova 1954; I. Daniele, E. E. di Padova, beata, in Bibliotheca sanctorum, IV, s.l. né d. (ma Roma 1964), coll. 1247 s.; P. Marangon, La famiglia della beata E. E. nel sec. XIII, in IlSanto, XIV (1974), pp. 231-240.