SAVOIA, Elena di
SAVOIA, Elena di. – Nacque – con il nome di Jelena Petrović Njegoš – a Cettigne (od. Cetinje), allora capitale del Montenegro, l’8 gennaio 1873, da Nicola Petrović Njegoš – allora gospdar, cioè pricipe, e dal 1910 re, con il titolo di Nicola I – e da Milena Vukotić.
Sesta di dodici figli, Elena venne dapprima affidata alle cure di una governante, Lilian Crown (di cui non è certa la nazionalità); poi, verso il 1878, cominciò a ricevere un’educazione 'principesca' dall’istitutrice svizzera Louise Neukomm. Nell’autunno del 1882 venne iscritta nell’esclusivo collegio Smol'nyj di San Pietroburgo – il primo degli otto 'istituti per nobili fanciulle', cioè i convitti per l’educazione delle ragazze nobili creati in Russia tra il 1764 e il 1857 – dove fino al 1890 condusse – frequentando in più occasioni la corte degli zar – severi studi che la prepararono al destino regale.
Fu nel 1894 che il presidente del Consiglio italiano Francesco Crispi, su invito della regina Margherita di Savoia – consorte di Umberto I –, cominciò a sondare, per mezzo dell’ambasciatore a Cettigne, Fabio Sanminiatelli, la possibilità di un matrimonio tra l’erede al trono sabaudo, il principe di Napoli Vittorio Emanuele, e una figlia del gospodar montenegrino. Oltre alla necessità di assicurare al più presto una discendenza alla dinastia italiana che desse nuova linfa al 'sangue stanco' di casa Savoia (per due generazioni, al trono si erano succeduti re e regine che erano cugini primi tra loro), la possibilità di un legame con il piccolo principato balcanico protetto dalla Russia apriva all’Italia un interessante fronte politico, che poteva essere giocato al tavolo della Triplice alleanza (il patto difensivo con Germania e Austria-Ungheria sottoscritto nel 1882). Dopo una relazione dell’inviato sulle due principesse disponibili, Anna ed Elena, la scelta cadde su quest’ultima.
Seguendo un protocollo segreto, il primo incontro tra i due futuri sposi venne organizzato nell'aprile 1895 a Venezia. Nel giugno dell'anno successivo, il re Umberto I incaricò l’ambasciatore a Vienna, Costantino Nigra, di prendere contatti con il principe Nicola – in quel momento di passaggio alla corte asburgica – al fine di concludere il fidanzamento. Nonostante il delicato momento politico (la caduta del governo Crispi, a seguito della disfatta delle truppe italiane nella battaglia tenutasi in febbraio nei pressi della città etiope di Adua) e certe resistenze della madre di Elena – contraria all’abiura da parte della figlia, necessaria per il matrimonio, della confessione greco-ortodossa –, le trattative andarono a buon fine; a favorire i negoziati fu anche la Russia, interessata a rendere più difficili i rapporti tra Italia e Austria-Ungheria, sempre tesi, anche in merito al controllo dell’Adriatico. Nell’agosto 1896 Vittorio Emanuele s'imbarcò sul panfilo Gajola per andare a chiedere ufficialmente la mano alla principessa. La notizia però non fu accolta con gaudio da tutti; la più nota tra le critiche che furono allora avanzate è quella del celebre giornalista Edoardo Scarfoglio: questi il 27 settembre 1896 scrisse su Il mattino di Napoli un durissimo articolo (Le nozze coi fichi secchi) contro le imminenti nozze, che secondo lui avrebbero siglato l’unione tra un principe «di forme e di statura già poco conformi all’ideale fisico che il popolo [aveva] dei re», e una principessa, «graziosa, gentile, dolce creatura; ma non certo un’Elena greca infiammatrice di cuori».
Fissati gli sponsali, Elena lasciò definitivamente il Montenegro, imbarcandosi sull’incrociatore Savoia il 19 ottobre 1896; arrivò in Italia già convertita alla religione cattolica. Le nozze vennero celebrate a Roma il giorno 24, presso la basilica di Santa Maria degli Angeli. La coppia si stabilì dapprima a Firenze, nel palazzo della Meridiana, e poi – in seguito al trasferimento di Vittorio Emanuele al comando del X corpo d’armata – a Napoli, presso la reggia di Capodimonte.
Quando Umberto I venne assassinato da Gaetano Bresci il 29 luglio 1900, i principi si trovavano lontani dall’Italia, in crociera sulla rotta del Pireo, e rientrarono in Italia il 31. Il regno di Vittorio Emanuele III ed Elena esordì sull’onda dell’emozione per il regicidio; il nuovo monarca, durante il discorso per il giuramento allo Statuto, l’11 agosto 1900, rese omaggio alla moglie «augusta sposa», proveniente «da una razza valorosa», devota alla «sua patria d’adozione». Con il disastro ferroviario occorso a Castel Giubileo nella notte del 12-13 agosto – che coinvolse un treno speciale i cui viaggiatori avevano partecipato ai festeggiamenti per l’ascesa al trono dei due principi – cominciò il mito di Elena quale 'regina della carità': assieme al marito si recò subito sul luogo dell’incidente per organizzare i primi soccorsi.
Anche lo stile di vita dei nuovi sovrani segnò una svolta rispetto al ménage sontuoso di Umberto e Margherita: i due dapprima si trasferirono nell’ala più appartata del Quirinale, la cosiddetta Manica lunga; poi decisero di difendere la propria intimità acquistando una residenza sulla via Salaria, presto battezzata Villa Savoia. I primi anni di regno dei 'sovrani borghesi' furono allietati anche da diverse nascite: il 1° giugno 1901 vide la luce Jolanda; il 19 novembre 1902, Mafalda; il 15 settembre 1904, a Racconigi, residenza estiva ufficiale, Umberto (a cui venne conferito il titolo di principe di Piemonte); il 13 novembre 1907, Giovanna.
Sensibile alla condizione femminile, volle essere lei a inaugurare, il 23 aprile 1908 a Roma, il primo Congresso nazionale delle donne italiane. Con il terremoto di Messina e Reggio del 28 dicembre, il 'mito' di Elena che si andava costruendo in Italia assunse dimensione internazionale: grazie a un patronato intitolato al suo nome, la regina riuscì a portare a termine numerose opere benefiche, tra cui la costruzione di un nuovo quartiere a Messina, il 'villaggio regina Elena'. Interessata alla formazione dei soccorritori, l’anno seguente, presso il Policlinico di Roma, aprì la Scuola regina Elena per le infermiere. Sempre a fianco del marito nelle occasioni ufficiali, condivise e partecipò alle scelte politiche secondo le sue personali inclinazioni umanitarie: nel 1911 destinò la reggia di Caserta a nosocomio per i feriti della guerra libica; nel 1915 – dopo la quinta gravidanza, da cui era nata, il 26 dicembre 1914, Maria – trasformò il Quirinale nell’Ospedale territoriale n. 1, riservato ai militari di truppa feriti al fronte, prestando anche servizio come crocerossina; dopo la guerra, presso le residenze reali aprì diversi dispensari farmaceutici gratuiti.
L’interesse per la cura di malattie gravi e degenerative, e per la medicina in generale, la portò a sostenere numerose iniziative, tra le quali la creazione dell’Istituto nazionale tumori regina Elena di Roma e del reparto infantile presso l’Istituto neurologico Carlo Besta di Milano. Fu anche impegnata in prima persona nella ricerca di nuove cure contro l’encefalite letargica; la sua tesi (priva però di fondamento scientifico) che contro questa malattia fosse efficace un 'decotto' a base di belladonna (detto cura bulgara perché sperimentato per la prima volta in quel Paese), le avrebbe meritato, il 2 giugno 1941, la laurea in medicina e chirurgia ad honorem.
Vissuta sempre all’ombra del marito, fu strumentalizzata dal fascismo durante la cosiddetta giornata della fede del 18 dicembre 1935, in cui le spose d'Italia erano invitate a donare 'alla patria' le loro fedi nuziali d'oro, onde ricavarne denaro per sostenere la campagna militare in corso contro l'Etiopia. In tale occasione il regime, interessato a mettere a frutto l’immagine della sovrana come esempio di moglie e madre, organizzò una cerimonia solenne all’Altare della patria: fu quella l’unica volta in cui Elena lesse, pubblicamente, un messaggio indirizzato alla nazione.
Il 7 marzo 1937 Elena ricevette da papa Pio XI la Rosa d’oro, un'onorificenza concessa dai papi a sovrani o a santuari come segno di speciale distinzione.
Il 27 novembre 1939, cioè tre mesi dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale, Elena si fece animatrice di un tentativo di pacificazione – osteggiato da Benito Mussolini –, consistente in una lettera circolare che avrebbe dovuto essere spedita a sei sovrane di Paesi allora neutrali (Paesi Bassi, Danimarca, Belgio, Lussemburgo, Jugoslavia e Bulgaria). Nonostante ciò, durante il conflitto fu costantemente al fianco del marito: lo seguì a Brindisi dopo l’8 settembre 1943 – in tale occasione esercitò la sua influenza sul figlio Umberto, deciso a tornare nella capitale («Beppo tu n’iras pas, on va te tuer»; Regolo 2002, p. 656) –, e assieme a lui fu colpita dal lutto per la scomparsa della figlia Mafalda, morta prigioniera nel campo di concentramento tedesco di Buchenwald il 28 agosto 1944.
Dopo la fine della guerra condivise la sorte del re, che aveva abdicato a Napoli il 9 maggio 1946. Lo stesso giorno, gli ex sovrani, con il titolo di conti di Pollenzo, partirono sull’incrociatore Duca degli Abruzzi alla volta dell’Egitto, meta scelta per l’esilio. Stabilitisi ad Alessandria, presso una villa battezzata Jela (diminutivo di Jelena), i coniugi condussero vita privata fino alla morte di Vittorio Emanuele, avvenuta il 28 dicembre 1947. Gravemente ammalata di tumore, Elena si trasferì in Francia, a Montpellier, per essere curata dall’oncologo Paul Lamarque. Spentasi il 28 novembre 1952, fu seppellita nel cimitero Saint-Lazaire della cittadina francese.
Dall’amministrazione di Messina le venne dedicato un monumento (inaugurato il 26 giugno 1960), opera dello scultore Antonio Berti. Grazie al nullaosta della presidenza della Repubblica, le spoglie della regina Elena sono state tumulate il 15 dicembre 2017 nella cappella di San Bernardo del Santuario di Vicoforte (Cuneo), a fianco di quelle del marito, giunte in Italia due giorni dopo.
Fonti e Bibl.: Archivio centrale dello Stato, Real casa, Casa civile di S.M., fondi Beneficenza, Cavaliere d’onore, Dama d’onore.
La biografia più documentata risulta quella di L. Regolo, Jelena: tutto il racconto della vita della regina Elena di Savoia, Milano 2002.
Per i rapporti di Elena con il marito, cfr. P. Gentile, Vittorio Emanuele III, Milano 2014, passim. Per gli aspetti della vita di corte, cfr. M. Mureddu, Il Quirinale del Re, Milano 1977, passim.
Per la 'cura bulgara', cfr. P. Mazzarello, L’erba della regina. Storia di un decotto miracoloso, Torino 2013.
Inoltre: A. Lumbroso, Elena di Montenegro regina d’Italia, Firenze 1935; G. Papasogli, La Regina Elena, Milano 1965; R. Barneschi, Elena di Savoia. Storia e segreti di un matrimonio reale, Milano 1986; C. Siccardi, Elena, la regina mai dimenticata, Milano 1996, 20002; G. Artieri, P. Cacace, Elena e Vittorio. Mezzo secolo di regno tra storia e diplomazia, Milano 1999; I. Pascucci, Elena di Savoia nell’arte e per l’arte. Iconografia e storia della seconda regina d’Italia, Torino 2009; G. Bonnano di San Lorenzo, Elena d'Italia: la regina buona, s.l. 2016.