QĀLĪR, El‛āzār
Fu uno dei più antichi e dei più notevoli poeti liturgici del giudaismo. Di qual paese fosse è stato assai discusso: oggi però pare ormai assicurato che fosse palestinese. Neppure del tempo in cui visse abbiamo sicura notizia: di solito si pensava alla metà circa del sec. VIII, ma le più recenti indagini farebbero propendere a considerarlo vissuto intorno al 600. Neppure la forma del nome è indubbia: la grafia Qylyr che ci è data da alcuni acrostici delle sue composizioni poetiche parrebbe ostare alla lettura con a dopo la q iniziale: fino ad ora però, in mancanza di una informazione precisa, si continua a preferire la forma tradizionale Qālīr a un'ipotetica modificazione. Nelle sue numerosissime e spesso vaste composizioni egli elabora prevalentemente la materia haggadica (v. haggādāh). Le frequenti allusioni alle tradizioni haggadiche e le difficoltà della lingua, ricca di ardite innovazioni grammaticali e lessicali (in parte però da ricollegarsi forse con la viva lingua popolare) rendono di solito i suoi versi assai oscuri, tanto che presto si sentì il bisogno di commenti esplicativi. Molte composizioni sue si trovano accolte in formularî di preghiere ebraiche dei diversi riti; altre sono state ritrovate e pubblicate recentemente, in particolare da frammenti della gĕnīzāh cairina (v.): qualche cosa è ancora inedita.
Bibl.: Si trova in Encycl. Judaica, IX (1932), coll. 919-20; ultima ediz. di nuovi testi, a cura di J. Marcus, in Horeb, I, New York 1934.