Salvador, El
Stato dell’America Centrale istmica. Confina a E e a N con l’Honduras, a O con il Guatemala, mentre a S si affaccia sull’Oceano Pacifico. Il territorio corrispondente all’attuale S. era popolato in epoca precolombiana da tribù indigene appartenenti a due gruppi: i lenca, stanziati nelle zone orientali e provenienti dall’America Meridionale, e i pipil, della famiglia nahua, che risiedevano nelle zone centroccidentali. Il territorio fu conquistato dagli spagnoli dopo oltre quattro anni di guerre sanguinose (1524-28) e rimase dipendente per l’intera età coloniale dall’Audiencia del Guatemala, a sua volta appartenente al vicereame della Nuova Spagna. Dal S. partirono i primi moti per l’indipendenza della regione centroamericana: nel nov. 1811 una sollevazione guidata dal sacerdote J. M. Delgado scacciò da San Salvador l’intendente spagnolo, ma fu presto sedata, così come quella capeggiata nel 1814 da M. J. Arce. Dopo la proclamazione dell’indipendenza in Messico (febbr. 1821), nel sett. 1821 il capitano generale del Guatemala convocò una giunta di notabili che dichiarò indipendenti dalla Spagna Chiapas, S., Nicaragua, Guatemala, Honduras e Costa Rica. Un progetto di adesione delle province centroamericane all’impero messicano di A. de Itúrbide, sostenuto dal Guatemala, fu aspramente osteggiato dal S., la cui resistenza, capeggiata ancora da Delgado e Arce, fu repressa con le armi da un corpo di spedizione messicano. Dopo la caduta di Itúrbide (marzo 1823), un’assemblea di rappresentanti delle varie province (a eccezione del Chiapas) si riunì a Città del Guatemala e proclamò la nascita delle Province Unite dell’America Centrale (1° luglio 1823); esse si dotarono di una Costituzione repubblicana (nov. 1824) ed ebbero nel salvadoregno Arce il loro primo presidente (1825). Contrastanti spinte regionalistiche e divisioni tra conservatori, fautori di un forte potere centrale, e liberali, favorevoli al mantenimento della struttura federale, resero presto ingovernabili le Province Unite; dopo l’assunzione di poteri dittatoriali da parte di Arce, sostenuto dai conservatori del Guatemala (1826), San Salvador divenne il centro della resistenza liberale; sottoposta a un duro assedio, la città fu liberata nel 1829 da F. Morazán, che vi trasferì la sede del governo federale nel 1834. Dopo la dissoluzione della federazione (1839) e la sconfitta di Morazán a opera del leader conservatore guatemalteco R. Carrera (1840), il S. si costituì in repubblica (30 genn. 1841). Come nel resto della regione, il conseguimento dell’indipendenza non aveva comportato nel S. alcun miglioramento nelle condizioni di vita di indios e meticci; essi continuarono a occupare i gradini più bassi di una scala sociale dominata da un’élite creola, detentrice del monopolio della terra e delle cariche pubbliche, politicamente divisa in due fazioni: i conservatori, contrari a qualsiasi ipotesi federale, e i liberali, favorevoli a ricostituire un’unione con i Paesi vicini. I tentativi operati in questo senso da S., Honduras e Nicaragua (1842-44, 1849-52 e 1862) fallirono per la resistenza delle opposizioni conservatrici dei tre Paesi, sostenute dall’esterno da Carrera. Questi nel 1863 invase il S. riportando al potere F. Dueñas, già presidente nel 1852-60. Artefice di una nuova Costituzione di taglio conservatore, Dueñas governò sino al 1871, quando fu rovesciato dal caudillo S. González, al quale fece seguito l’amministrazione del liberale R. Zaldívar (1876-85). In questo periodo fu dato un forte impulso alla coltivazione del caffè, introdotta a metà degli anni Quaranta e destinata a soppiantare la tradizionale produzione di indaco, in crisi dopo la comparsa dei coloranti sintetici sui mercati internazionali. Una ristretta oligarchia borghese dedita alla produzione del caffè per l’esportazione (le cdd. quattordici famiglie) riuscì a impadronirsi delle terre espropriate alle comunità di villaggio degli indios grazie alle leggi del 1879, 1881 e 1882, che proibivano il possesso comune della terra, costringendo indios e meticci a trasformarsi in braccianti sottopagati o in peones, legati per debiti alle piantagioni in cui lavoravano. Le prospettive di unificazione regionale conobbero nuovo impulso dopo l’avvento al potere dei liberali nel vicino Guatemala (1871): il presidente guatemalteco J. R. Barrios tentò di creare un’unione centroamericana dapprima per via diplomatica (1876), quindi con la forza, ma dopo aver invaso il S. fu sconfitto e ucciso a Chalchuapa (1885). Falliti nuovi tentativi di unificazione nel 1889 e nel 1898, il S. fu coinvolto in brevi conflitti per questioni territoriali con Guatemala (1906) e Nicaragua (1907), entrambi risolti con la mediazione degli USA, interessati al controllo della regione nella quale intendevano costruire un canale interoceanico. Il predominio liberale fu interrotto dal colpo di Stato militare che nel dic. 1931 portò alla presidenza il generale M. H. Martínez; l’anno seguente questi represse nel sangue (circa 30.000 vittime) un’insurrezione organizzata dal locale partito comunista, guidato da Agustín Farabundo Martí (1893-1932), che vide per protagonisti gli indios e i meticci delle piantagioni di caffè, rimasti senza lavoro in seguito alla grave crisi economica in corso. Martínez governò con metodi dittatoriali sino al 1945, quando fu sostituito dal generale S. Castañeda (1945-48), quindi dai colonnelli Oscar Osorio (1950-56) e J. M. Lemus (1956-60), entrambi esponenti di una fazione riformista delle forze armate, organizzatasi nel Partido revolucionario de unificación democrática (PRUD). L’economia del S. beneficiava intanto di un rialzo dei prezzi internazionali del caffè e faceva registrare lo sviluppo di una nuova coltura per l’esportazione, il cotone. Fallito il tentativo di introdurre alcune limitate riforme, i governi del PRUD passarono alla sistematica repressione di ogni opposizione interna, mentre sul piano internazionale mantennero il Paese rigidamente allineato con gli USA. Nell’ott. 1960 alcuni giovani ufficiali riformatori s’impadronirono del potere, presto sostituiti da una giunta militare di tendenza conservatrice (genn. 1961), che promosse la nascita di una nuova formazione politica, il Partido de conciliación nacional (PCN). Al potere con i colonnelli A. Rivera (1962-67) e F. Sánchez (1967-72), il PCN ottenne un certo consenso dai sindacati grazie ad alcune misure di politica sociale (salario minimo per i lavoratori agricoli) e cercò di promuovere un processo di industrializzazione, sfruttando tra l’altro la nascita (1960) del Mercato comune del Centro America (MCCA). L’azione dei colonnelli non incise però sull’eccessiva concentrazione della ricchezza, in particolare della proprietà terriera, resa ancora più grave dal costante aumento della popolazione. A partire dagli anni Cinquanta, sovrappopolamento e disoccupazione avevano costretto circa 300.000 salvadoregni a emigrare, per lo più clandestinamente, nel vicino Honduras; nella seconda metà degli anni Sessanta molti di loro dovettero però rimpatriare, dopo essere stati privati dal governo honduregno delle terre che occupavano. Ciò contribuì ad accrescere la tensione tra Honduras e S., già determinata da un’annosa controversia di frontiera: violenti incidenti scoppiati dopo una partita di calcio tra le rappresentative dei due Paesi sfociarono in un aperto conflitto («guerra del football», giugno-luglio 1969). La guerra costò al S. una sensibile riduzione delle esportazioni nel MCCA, dato il divieto di passaggio per le sue merci attraverso il territorio honduregno, mantenuto per ritorsione sino alla firma del trattato di pace (1980). Sul piano interno, mentre la situazione economica conosceva un progressivo peggioramento, solo il ricorso a brogli e irregolarità rese possibile la vittoria dei candidati del PCN nelle presidenziali del 1972 e del 1977. Nel corso del decennio, l’aggravarsi delle condizioni di vita della maggioranza della popolazione e la permanente esclusione dell’opposizione (comunisti, Partido demócrata cristiano, PDC, e socialdemocratici del Movimiento nacional revolucionario) da qualsiasi prospettiva di governo favorirono la formazione di gruppi guerriglieri di ispirazione marxista. Nell’ott. 1979 un colpo di Stato promosso da ufficiali riformisti diede il potere a una giunta di militari e civili comprendente anche esponenti progressisti, che ne furono però ben presto estromessi. Mentre nel Paese si moltiplicavano le azioni terroristiche di formazioni paramilitari dell’estrema destra, dirette contro la stessa popolazione civile (assassinio dell’arcivescovo di San Salvador, O.A. Romero, nel marzo 1980), cinque gruppi guerriglieri di sinistra diedero vita a un’organizzazione unitaria, il Frente Farabundo Martí para la liberación nacional (FMLN). Il S. precipitò in una sanguinosa guerra civile, che vide il crescente coinvolgimento degli USA a fianco del governo con ingenti aiuti economici e militari. Su pressione di Washington, che cercava di rafforzare il ruolo del PDC all’interno della giunta, l’esecutivo tentò di avviare alcune riforme (in primo luogo quella agraria) e diede inizio a un processo di transizione a un governo civile: nel dic. 1980 il leader democristiano J.N. Duarte fu nominato presidente provvisorio e nel marzo 1982 fu eletta un’Assemblea costituente, nella quale risultarono complessivamente maggioritari i partiti di destra (il PCN e l’Alianza republicana nacionalista, ARENA, legata ai gruppi terroristici paramilitari). Dopo il varo di una nuova Costituzione (dic. 1983), le presidenziali del marzo 1984 videro l’affermazione di Duarte, il cui partito si aggiudicò la maggioranza assoluta dei seggi nell’Assemblea nazionale nelle legislative dell’anno seguente. Resistenze conservatrici e difficoltà economiche dovute alla guerra e al peggioramento delle ragioni di scambio con l’estero impedirono a Duarte di riprendere le riforme avviate, ma subito bloccate nei primi anni Ottanta; nonostante alcuni incontri tra delegazioni governative e dei guerriglieri, infruttuosi si rivelarono anche i propositi di pacificazione del presidente, incapace di esercitare un pieno controllo sulle forze armate e di recidere i legami tra queste e gli squadroni della morte. La situazione non migliorò neppure dopo gli accordi internazionali sottoscritti nell’agosto 1987 a Esquipulas per una pacificazione generale in America Centrale. Le elezioni legislative del 1988 segnarono pertanto l’affermazione dell’ARENA, il cui candidato, Alfredo Cristiani, fu eletto un anno dopo alla presidenza. Nonostante l’avvento al potere dell’estrema destra avesse inizialmente causato una radicalizzazione dello scontro, nel 1990 la fine della guerra civile in Nicaragua, il mutamento dei rapporti tra Est e Ovest e il rilancio del ruolo dell’ONU sul piano regionale resero possibile la ricerca di una soluzione negoziale del conflitto. Grazie alla mediazione dell’ONU, nel corso del 1991 governo e FMLN concordarono una serie di riforme da attuare in campo militare, economico e sociale, che portarono a un accordo di pace (Città di Messico, 16 genn. 1992). Dopo circa 12 anni, 75.000 morti e più di un milione di profughi, la guerra civile si chiuse formalmente con una cerimonia ufficiale nella capitale il 15 dic. 1992. Nel sett. 1992, una sentenza della Corte internazionale dell’Aia aveva intanto risolto la controversia di frontiera tra S. e Honduras, attribuendo a quest’ultimo due terzi del territorio contestato. Sul piano interno, la politica neoliberista promossa da Cristiani non comportò miglioramenti nelle condizioni di vita della popolazione, né favorì lo sviluppo delle riforme previste dagli accordi di pace; tali accordi sono stati ampiamente disattesi anche in campo militare: al dimezzamento degli effettivi delle forze armate non ha fatto seguito la concessione di terre e alloggi alle unità smobilitate, né il riassorbimento di ex guerriglieri in un corpo di polizia civile. Impossibile si è poi rivelata l’epurazione dei militari colpevoli delle più gravi violazioni dei diritti umani, dopo la legge di amnistia, approvata dalla maggioranza conservatrice dell’Assemblea nazionale nel marzo 1993, che ha cancellato la perseguibilità dei crimini commessi durante la guerra civile. Durante la presidenza di A. Calderón Sol (1994-99), appartenente all’ARENA, sorsero contrasti tra le forze al governo sulle politiche di tutela sociale e sulla riforma scolastica e scemò, contemporaneamente, l’iniziale favore incontrato dalla politica neoliberista promossa dallo stesso presidente. Il rigoroso piano economico del 1995-96, sostenuto dal Fondo monetario internazionale, e attuato nonostante l’opposizione di più settori, suscitò infatti un forte malcontento sociale, che venne espresso nella capitale con ripetute manifestazioni e occupazioni simboliche. L’azione giudiziaria (conclusa nell’ottobre 1996) per l’assassinio di F. Manzanares Mojaraz, membro del FMLN, l’ex organizzazione di guerriglieri ora principale partito di opposizione, confermò inoltre la già sospettata presenza delle cdd. squadre della morte all’interno delle forze di polizia, più volte accusate di omicidi o attentati di matrice politica. I termini per l’applicazione del piano di pace furono perciò prorogati fino al luglio 1997, data della partenza dell’ultima missione di verifica delle Nazioni Unite. Particolarmente grave rimase in questi anni la situazione dell’ordine pubblico per l’aumento della delinquenza comune. La crociata contro la criminalità di Calderón Sol, che prevedeva l’istituzione di pattuglie congiunte di forze armate e polizia, la modifica costituzionale (art. 27) per estendere la pena di morte ai responsabili di rapimento e di stupro, insieme al programma di scambio di armi contro buoni di acquisto, non riuscì a evitare i disastrosi risultati elettorali. Il malcontento popolare per la politica economica del governo e l’aumento della criminalità comune determinarono un’erosione dei consensi per il partito al potere: nelle elezioni legislative del marzo 1997 l’ARENA ottenne infatti 28 seggi, soltanto uno in più rispetto al FMLN, che riuscì a prevalere anche nelle elezioni municipali (nelle principali città e nella capitale San Salvador, dove ottenne 7 seggi su 16 e la carica di sindaco). Senza maggioranza, l’ARENA si trovò a governare con partiti tradizionalmente ostili come il PCN e il PDC. Dovette ritirare la mozione sulla reintroduzione della pena di morte e riuscì, con difficoltà, a far passare nel luglio 1997 la prima privatizzazione di un’azienda pubblica (Administración nacional de telecomunicaciones, ANTEL). Lacerata all’interno dalle accuse di corruzione, l’ARENA cercò di recuperare credibilità eleggendo a capo del partito l’ex presidente A. Cristiani (ott. 1997). Nelle presidenziali del marzo 1999, l’elezione al primo turno, con il 52% dei voti, di F. Flores, candidato dell’ARENA, sembrò risollevare le sorti del partito. La vittoria tuttavia venne ridimensionata dai risultati delle elezioni legislative del marzo 2000, nelle quali l’ARENA conquistò 29 seggi contro i 31 del FMLN. Gli ex guerriglieri riportarono un notevole successo anche nelle contemporanee elezioni amministrative. Nel Paese, intanto, duramente colpito dal terremoto (genn.-febbr. 2001) cresceva il dibattito tra la Chiesa cattolica, i partiti di opposizione e le organizzazioni non governative per chiedere al governo del presidente Flores di promuovere un patto nazionale per la ricostruzione. Nel 2003 il FMLN ottenne il successo nelle elezioni legislative; nonostante ciò, il voto presidenziale del 2004 vide la vittoria del candidato dell’ARENA, E.A. Saca, che confermò la linea economica del suo predecessore e annunciò un rinnovato impegno nella lotta al crimine e al traffico di droga. L’orientamento del Paese è nuovamente mutato nel 2009, quando il FMLN ha vinto le elezioni legislative e il suo candidato, C.M. Funes, ha prevalso nelle presidenziali. Nel 2005 è divenuta operativa l’unione doganale centroamericana formata da S., Guatemala, Honduras e Nicaragua.