EKPHRASIS (εκφρασις)
In uno scritto retorico attribuito a Ermogene (II sec. d.C.), l'è. è definita «un discorso descrittivo che pone l'oggetto sotto gli occhi con efficacia» (Progym. 10, p. 22, ed. Rabe) e sono enumerati come temi della descrizione, caratterizzata dall’enàrgeia, la forza di rappresentazione visiva, «persone, cose, momenti e luoghi e tempi e molte altre cose». Per la conoscenza del mondo antico le e. offrono molteplici motivi di interesse e non solo in un'ottica meramente letteraria: le descrizioni di luoghi, di oggetti, di avvenimenti, di cerimonie pubbliche, di riti religiosi, di persone, sono una preziosa miniera di informazioni, cui gli studiosi hanno attinto fin dagli albori degli studi antiquari per problemi di topografia, di storia dell'arte, di fisiognomica e di antiquaria. Un'ampia casistica della tipologia degli spazi ecfrastici nella letteratura greca e latina, da Omero alla tarda antichità, è stata tracciata da P. Friedländer nel saggio introduttivo all'edizione delle e. di Paolo Silenziario e di Giovanni di Gaza. Momenti descrittivi si aprono, fin da Omero, nell'èpos, ma compaiono pure nella lirica, nelle opere teatrali e nel romanzo, nelle composizioni didascaliche. Di volta in volta alla descrizione sono attribuite le più diverse funzioni narrative: essa ritarda, segna uno stacco tra le diverse parti del racconto, concentra, caratterizza allusivamente un personaggio o una situazione, anticipa gli avvenimenti con messaggi di immagini premonitrici e interviene nell'articolazione logica della narrazione oppure semplicemente arricchisce il contesto di forme e colori, comprovando col proprio realismo la veridicità della storia narrata.
Nella codificazione dei modelli letterari dell’èpos, della lirica, del romanzo, alcuni oggetti sembrano fissarsi come occasioni per l’e.: le armi - si pensi, p.es., allo scudo di Achille (II., XVIN, 478-608), allo scudo di Eracle descritto nel poema pseudo-esiodeo Aspis, allo scudo di Polinice ne I sette contro Tebe di Eschilo (vv. 646-649), agli scudi di Turno (Aen., VII, 789-792) e di Enea (ibid., VIII, 625-731) e a quello che Nonno di Panopolis fa creare a Efesto per Dioniso (Dionys., 384-563) - i vasi preziosi - dalla rustica coppa di legno nella Thyrsis di Teocrito (Idill., I, 27-60), al vaso di cristallo decorato di Achille Tazio (11, 3), alle coppe intagliate da Alcimedonte, premio del vincitore nella m écloga virgiliana (ECl., III, 36-46), al cratere sbalzato opera di Alcon che Ovidio (Met., XIII, 681-701) fa donare da Anio a Enea,; alla coppa d'oro con Perseo e Ganimede e al cratere metallico decorato con una centauromachia nella Tebaide di Stazio (Theb., I, 541-551; VI, 531-539) - e anche i tessuti ricamati. Teocrito fa descrivere alle Adoniazuse i ricami con le immagini di Adone (Idill., XV, 78-86); Apollonio Rodio si sofferma sul mantello di Giasone, creato da Atena (I, 725-764), Virgilio descrive il mantello di Enea (Aen., V, 250-257) e Ovidio le splendide immagini degli arazzi tessuti a gara da Atena e Aracne (Met., VI, 70-128); Catullo (64, 50, 256) racconta della coperta ricamata con gli amori di un dio, Dioniso, per una mortale, Arianna, che impreziosisce il letto nuziale di Peleo, mortale, con la nereide Tetide; Stazio pone in premio nella gara di corsa della Tebaide una veste di cui descrive i preziosi ricami (Theb., VI, 541-547). Non mancano i rilievi, tra gli oggetti canonici delle e. nella poesia: le porte scolpite del tempio che Enea osserva a Cartagine (Aen., I, 466-493) e a Cuma (ibid., VI, 20-40) e il Tempio di Augusto nelle Georgiche (III, 12-40), e inoltre le porte del palazzo del Sole in Ovidio (Met., II, 1-19). Anche il tempio della fantastica città di Taxila, narrata nell’Apollonio di Filostrato (Vit. Apoll., II, 20), è reso splendido dalle lastre di bronzo decorate col combattimento di Alessandro e Poro. Così la descrizione del témenos di Zeus nell'isola immaginaria di Panchea, fatta da Evemero e riportata da Diodoro (V, 46), non trascura le sculture delle porte. L'e. di opere d'arte, principalmente di dipinti, ha largo spazio nel romanzo, spesso con funzione di omen - così in Achille Tazio (I, 1), in Longo (IV, 3) - o, più semplicemente, come occasione didascalica - p.es. in Petronio (Satyr., 83) - e i modi della descrizione si rifanno a quelli della letteratura periegetica, le cui e., per statuto, dovrebbero nascere dall'osservazione del reale. Spesso la realtà contemporanea, del resto, fornisce il modello di immagini nate dalla fantasia, anche per l'intenzione dell'autore di conferire attendibilità al racconto. Le dettagliate descrizioni di luoghi e di avvenimenti conservate nella storiografia, nelle opere geografiche e negli scritti periegetici (v. vol. VI, p. 58, s.v. Periegetì), cui dobbiamo gran parte delle conoscenze sull'arte, non sono, peraltro, esse stesse esenti dalle suggestioni che nascono dal codice letterario. Nell'ambito delle scuole di retorica le descrizioni acquistano autonomia dal contesto narrativo e le e., che si propongono come sostituto verbale dell'oggetto, assumono una forma chiusa, compiuta in sé. Descrizioni di immagini allegoriche erano elaborate nelle scuole filosofiche, con funzione didascalica; si pensi, p.es., alla Tabula Cebetis, che avrà anche una nuova fortuna a partire dal Rinascimento. In uno spazio incerto tra la periegetica e le composizioni retoriche si collocano le Eikones dei Filostrati e le descrizioni di statue di Callistrato. Le pitture descritte da Filostrato minore sono concordemente attribuite dalla critica a una pinacoteca fantastica, mentre si tende a dar credito alle parole di Filostrato maggiore che afferma di descrivere la collezione di quadri esposta nel portico di una villa di un suo ospite, nei pressi di Napoli, collezione organizzata, secondo K. Lehmann Hartleben (1941), sulla base di un ben definito programma iconografico. Dalle e. di Callistrato, che trattano tra l'altro del Kairòs di Lisippo e dell'Eroi di Prassitele, con generiche espressioni encomiastiche, non si percepisce la fruizione diretta delle sculture. Sull'autopsia del dipinto di Ezione, che raffigura le Nozze di Alessandro e Roxane, insiste Luciano, nell'Herodotus vel Aetion (4-6), ma l'osservazione diretta del dipinto non impedisce che il retore, conoscitore d'arte e possessore di un appropriato linguaggio tecnico, abile autore di e., ne fraintenda radicalmente l'iconografia e consegni alla tradizione una lettura intimista e venata di erotismo che poco ha a che fare con il momento cerimoniale della vestizione della sposa, fissato nel quadro dal pittore oltre quattrocento anni prima. Delle scuole di retorica ci restano, tra l'altro, numerose composizioni, nate come esercizi didattici (progymnàsmata), dedicate alla descrizione, tra cui sono particolarmente rilevanti quelle di Libanio, che nella seconda metà del IV sec. d.C., descrive, accanto a soggetti diversi, due pitture del bouleutèrion di Antiochia, la città in cui è vissuto e di cui ha composto anche un encomio ricco di una vivida descrizione seguendo una tradizione consolidata di scritti in lode di città. Tra V e VI sec., in Oriente, la scuola retorica di Gaza con Procopio, Coricio e Giovanni di Gaza, sviluppa composizioni ecfrastiche dedicate a opere d'arte, basate fondamentalmente sull'osservazione diretta: Procopio dedica due e. a una pittura col mito di Fedra e Ippolito e a un complesso orologio ad acqua, dotato di raffigurazioni animate, che ornavano la città. Coricio, in due panegirici di Marciano, vescovo di Gaza, che si inseriscono in una tradizione di scritti encomiastici e di occasione che ha i suoi antecedenti nell'orazione di Elio Aristide per la dedica del Tempio di Adriano a Cizico e nel panegirico di Eusebio per la dedica della basilica di Tiro, si sofferma a descrivere due chiese e le pitture con scene della vita di Cristo che ornavano le pareti di una di queste. Giovanni di Gaza fa della raffigurazione cosmica, visibile in un edificio termale della città, l'oggetto di un'ampia descrizione in versi. La descrizione ecfrastica fiorisce nell'età di Giustiniano, come mostrano le composizioni poetiche di Paolo Silenziario, scritte per la ridedicazione di S. Sofia nel 537, che presentano all'ascoltatore la chiesa e il suo ambone in immagini di fulgida bellezza. La letteratura bizantina conserva l'uso della descrizione di opere d'arte e le e., pur caratterizzate dalla presenza massiccia di tòpoi letterari, in molti casi riflettono le forme dell'arte contemporanea, si pensi p.es. alla descrizione della chiesa dei SS. Apostoli lasciataci da Nicola Mesantes, redatta tra il 1198 e il 1203; Maguire osserva che i retori bizantini si compiacciono spesso di una tecnica combinatoria in cui l'osservazione del reale, presente per chi ascolta, si fonde con l'uso di espressioni formulari, topiche e di citazioni, anch'esse perfettamente riconoscibili dall'ascoltatore, per produrre un effetto voluto di precisione descrittiva, ricca di erudizione; il prevalere delle espressioni codificate dall'uso letterario sulla descrizione del reale, secondo un modulo che si ritrova frequentemente (p.es. nelle e. di Giovanni Phocas), non segue una linea di tendenza del genere ecfrastico di questo periodo ed è da riferire solo all'imperizia individuale. La letteratura classica elabora anche nell'epigramma, concepito non come un sostituto, ma come un complemento dell'opera figurativa, di cui i versi vengono a essere un commento, brevi composizioni destinate ad accompagnare gli oggetti e a metterne in evidenza particolari qualità o funzioni; da questo si svilupperà nella tarda antichità e nel Medioevo il titulus e il Rinascimento trarrà l'uso del sonetto celebrativo dell'oggetto artistico, in cui i tòpoi letterari prevalgono sulla realtà che ha motivato la composizione poetica, e che talvolta viene usato per cantare opere fittizie. Descrizioni di oggetti decorati, dipinti, arazzi, che riflettono la realtà contemporanea abbondano nell'epica medievale, poi con l’Arcadia del Sannazzaro (XI, 316 ss.) vedremo riapparire, per la forza del modello letterario, il virgiliano vaso di legno, ora decorato dal Mantegna. Le descrizioni di opere d'arte acquistano di nuovo uno spazio privilegiato nelle Vite di Vasari che rinnovano il tono inventariale e precettistico degli scritti sull'arte, e che saranno poi un modello per la trattatistica successiva. Le e. vasariane, pur inserite in uno schema concettuale che insiste sull'evoluzione e sul graduale perfezionamento dei mezzi espressivi, mostrano una concezione unitaria, con un precipuo interesse volto a mettere in evidenza, nella pittura descritta, l'appropriatezza e la varietà della narrazione prescindendo dalla diversità dei mezzi stilistici, e quindi adottano espressioni simili per artisti diversi.
Come già negli autori della classicità e nei retori bizantini, anche in Vasari la descrizione di un'opera d'arte può essere condizionata dalla memoria erudita e l'immagine evocata dalla parola può confondersi con quella dipinta: nella descrizione del Massacro degli Innocenti del Ghirlandaio, il particolare del putto che beve sangue anziché latte non è realmente presente nel dipinto, ma costituisce il ricordo letterario di un brano di Plinio (Nat. hist., XXV, 36, 98-99) affiorato per analogia alla memoria del Vasari che qui lo concretizza visivamente. Le ampie descrizioni dei letterati greci e latini offriranno agli artisti del Rinascimento, ai loro committenti e ai letterati, coinvolti nella ideazione delle creazioni artistiche, suggestioni per tentare una ricostruzione della pittura perduta; nella ricerca dell'arte del passato artisti e antiquari si affiancheranno in una collaborazione che si interromperà solo nel corso dell'Ottocento.
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Non si affronta qui il problema delle ricostruzioni archeologiche sulla base delle descrizioni di Pausania; a titolo di es. si veda L. Faedo, Breve racconto di una caccia infruttuosa. Polignoto a Delfi, in Ricerche di Storia dell'Arte, XXX, 1986, pp. 5-15.