BRACCI, Egisto
Nacque a Firenze il 1º genn. 1830 da Pietro e da Teresa Fabbri.
Coetaneo e compagno di studi di Dario Guidotti, dopo gli studi fatti nel collegio Corsi Bellini e nelle scuole dei padri scolopi (con noti maestri "risorgimentisti" come i padri Inghirami, Ricci e Marni), passò prima appena sedicenne (1846) nello studio dell'architetto Silvestri e poi in quello di Enrico Presenti, allora professionalmente molto impegnato sia da parte del governo granducale di Leopoldo II sia di privati, partecipando intanto alla progettazione delle "opere d'arte" della ferrovia Montevarchi-Arezzo e ai lavori di attivazione della miniera di Tana. Dopo questa prima esperienza di apprendistato tecnico ebbe modo di acquisire una propria autonomia progettuale nell'ambito dello studio dell'ingegnere Del Noce, per il quale, a Firenze, curò, fra gli altri, i lavori di trasformazione del palazzo Paggeschi, poi Hôtel della Pace in piazza, Manin (oggi Ognissanti), e il "restauro" e l'adattamento a locanda dell'attuale albergo Montebello nella via omonima, il quale ultimo appare caratterizzato da una elegante facciata a quattro assi e da un grande salone piacevolmente affrescato dalla scuola del Benvenuti.
Volontario alla prima guerra d'indipendenza, dovette rinunziare alle campagne per una malattia contratta sotto Mantova. Ritornato a Firenze (ove nel 1854 prestò la sua opera di assistenza ai colerosi all'interno della Confraternita della Misericordia), apriva uno studio in proprio, progettando e realizzando un edificio per il barone di Vaguonville (che ha ora il nome di palazzo Levi) all'angolo del nuovo lungarno e di piazza degli Zuavi (ora piazza Vittorio Veneto).
Questo blocco residenziale che conclude il contesto architettonico dei lungarni verso le Cascine è formato da un corpo a elle (con sette assi sul lungarno e cinque sul piazzale). In esso spicca un bel portale in pietra di impianto buontalentiano e un grazioso vestibolo con nicchie, stucchi e colonne, inteso come passaggio delle carrozze (le scuderie sono realizzate in un piccolo corpo indipendente all'estremità del cortile interno) dal quale si dipartono due scale affrontate, una per il piano nobile, l'altra per i servizi soprastanti. La soluzione architettonica, decorosa ma non retorica, della facciata principale e del partito centrale sui lungarni presenta ampie finestrature a tutto sesto con l'inserzione di teste in stucco nei punti di contatto fra finestra e cornice marcapiano superiore e una elegante balaustrata a colonnine il cui ritmo è riassunto superiormente da una terrazza di coronamento.
Fra le altre opere del B. ricordiamo le scuderie per il "banchiere Du Fresne nei fondaci di Santo Spirito, il palazzo di Ernesto Levi in piazza Indipendenza e altri edifici realizzati sempre per i Levi (il villino a San Domenico di Fiesole e probabili interventi nel palazzo di via Melegnano e in quello di piazza d'Azeglio).
È pure opera del B. il palazzo Sariette in corso Vittorio Emanuele (ora via Calzaioli) ed è suo il progetto per un cimitero monumentale che avrebbe dovuto sorgere presso la certosa del Galluzzo a Ponte a Ema, redatto per incarico del Comune di Firenze negli anni della capitale (1865-70), in collaborazione con il Cocchi per la parte igienica. Tale progetto non ebbe seguito sia per l'opposizione del Comune del Galluzzo, data la eccessiva vicinanza del centro abitato, sia per l'avvenuto trasferimento della capitale a Roma.
Morì nella sua città natale nell'agosto del 1909.
Il B. fu ammesso come professore residente all'Accademia delle Arti del Disegno il 31 dic. 1879 e vi fu commemorato, dopo la morte, nella seduta del 26 dic. 1909 dal Guidotti.
È un tipico rappresentante della cultura architettonica ufficiale fiorentina della seconda metà del secolo, dell'eclettismo ottimistico e dell'architettura nazionale. Il ricorso linguistico all'architettura cinquecentesca (da Michelangiolo a Palladio) è in lui spesso ingenuo o manualistico e cela una sostanziale indifferenza ideologica: le sue architetture sono dei complessi residenziali spesso di notevoli dimensioni, insensibili alle preesistenze, nelle cui "decorose" facciate si recupera, in un clima aulicamente urbano, una spesso estrinseca rappresentatività, artificiosa ma raramente retorica, della classe dominante (dalla nobiltà tradizionale alla nuova ricca borghesia mercantile).
Fonti eBibl.: Firenze, Archivio dell'Accademia delle Arti del Disegno, anni 1879, 1909; A. De Gubernatis, Dizionario degli artisti italiani viventi, Firenze 1889, ad vocem.