GALLO, Egidio
Di questo letterato, attivo a Roma nei primi decenni del sec. XVI, non si conoscono le date di nascita e di morte, e le notizie biografiche sono scarse e non sempre certe.
Nacque a Roma nella seconda metà del XV secolo da una famiglia nobile e di antica tradizione, che fra i suoi membri annoverava il banchiere Giacomo, forse padre (Marini, p. 63) o fratello del G. (Renazzi, p. 72), cultore della classicità e delle lettere, amico di P. Bembo e possessore di una ricca collezione di antichità, che si trovava nel giardino della sua casa presso S. Lorenzo in Damaso.
Il G. fece parte della corte poetica di Leone X insieme con M. Palonio, B. Casali, A. Lelio, B. Capella, V. Pimpinelli, L. Vallati, L. Grana, S. Lancellotti, C. Porcari, le "forze indigene" (Pastor, p. 420) che caratterizzarono, dopo un periodo di crisi, l'ambiente letterario romano. Come molti intellettuali contemporanei il G. si dedicò all'insegnamento: il suo nome compare infatti nell'elenco dei docenti di retorica dell'Archiginnasio romano relativo all'anno 1514, attività che gli venne retribuita con la somma di 180 fiorini. Frequentò molto probabilmente F. Arsilli, che lo ricorda in un distico (vv. 85 s.) del De poetis urbanis libellus, elogiandone le qualità di attore e poeta eccellente: "Galle, tuae passim resonant per compita laudes; Scena graves numeros, te recitante, probat" (p. 12). Questi versi alludono alla produzione teatrale del G., autore di due commedie in latino dal titolo Bophilaria e Annularia, dedicate ad Agostino Chigi e pubblicate a Roma in un unico, e attualmente raro, volume l'8 apr. del 1505 dall'editore e tipografo tedesco J. Besicken. Il distico può far ritenere che le commedie non fossero solo destinate alla lettura ma venissero rappresentate e che l'autore stesso vi sostenesse una qualche parte.
Queste opere teatrali non furono commissionate dal Chigi, che ne è solo il destinatario. Nella lettera dedicatoria, che si trova all'inizio del volume, il poeta romano dice di essere stato insistentemente invitato a pubblicare le commedie da persone che le avevano lette e le pone sotto il patrocinio dell'illustre e potente mecenate. Le commedie, fin dalla formulazione dei titoli, che ricordano assai da vicino i titoli delle opere plautine, riprendono le caratteristiche formali e strutturali della commedia classica latina. Esse sono quindi provviste di un prologo e di un argomento, secondo la maniera di Terenzio, dedicati al breve riassunto della trama o all'esposizione di concetti o intenti poetici che sono particolarmente a cuore all'autore. Il metro prevalentemente usato è il senario giambico, il cui uso testimonia la conoscenza più approfondita e l'imitazione più cosciente dei modelli classici. Creizenach ha avvicinato le parole finali della Bophilaria ai versi con cui nella Cistellaria di Plauto si invitano in analoga maniera gli spettatori a immaginarsi la conclusione della vicenda in casa, e ha individuato nel sicofante del Trinummus il modello dell'analogo personaggio dell'Annularia.
I personaggi non riprendono, a parte qualche eccezione, per esempio nell'Annularia, i nomi classici della commedia romana, bensì, come sovente avviene nel teatro umanistico, portano nomi "parlanti", che si riferiscono cioè alla loro situazione o ai loro tratti caratteristici, riprendendo così un uso tipico della commedia greca antica aristofanea.
Nel 1509 il G. pubblicò, per i tipi di Stefano Guillery, un poemetto in distici elegiaci dedicato a Erasmino, un personaggio della corte di Giulio II, dal titolo Cyterea, che, secondo le intenzioni dell'autore, espresse nella lettera dedicatoria, mirava alla celebrazione della virtù.
Sempre nella lettera dedicatoria rievoca le circostanze della composizione di questa sua opera. Quando trovava una elucubrazione troppo fastidiosa e lunga per i giovani adolescenti del ginnasio romano, preferiva andarsene in villa, dove si metteva a poetare: da queste riflessioni nacque il poemetto.
Tale affermazione è oltretutto significativa, poiché conferma la presenza del G. fra i docenti dello Studio romano anche negli anni precedenti il 1514. Nel 1511 il G. pubblicò, di nuovo presso S. Guillery ed E. Nani, stampatori che avevano frequenti rapporti commerciali con la Curia e la corte pontificia, il poemetto De viridario Augustini Chigii. L'opera si apre con una dedica, in cui il poeta esprime la riconoscenza dei letterati romani per il ritorno del Chigi, e si conclude con un saluto al cancelliere del potente uomo d'affari senese, Cornelio Benigno da Viterbo, del quale invoca la benevolenza giocando sul suo cognome. Il testo dell'opera è inoltre preceduto da brevi componimenti poetici di P.P. Tebaldeo e A. Septempedano.
Il poemetto, diviso in cinque libri, si proponeva di celebrare le delizie della nuova villa suburbana del Chigi nei pressi di Porta Settimiana, progettata ed edificata fra il 1505 e il 1511, oggi nota come Farnesina, e in particolar modo il giardino, che, in stretto rapporto con l'edificio, ospitava piante rare, statue e fontane antiche, e vestigia dell'antichità classica adattandosi alla morfologia del luogo e suddividendosi in aiuole geometriche nella parte pianeggiante e invece mantenendosi selvaggio lungo la riva scoscesa del Tevere. Lo splendore del giardino, che si armonizzava con la struttura architettonica della villa, secondo la tradizione romana per la quale arte e natura dovevano fondersi, fu anche celebrato da Blosio Palladio nel poemetto Suburbanum Augustini Chisii (1512), e ricordato dall'Aretino nella commedia La cortigiana.
In uno degli esemplari del De viridario Augustini Chigii, conservato alla Biblioteca apost. Vaticana (Chigi III 59), è presente una lettera manoscritta di F. Ubaldini, la quale contiene alcune notizie sul G., definito "Romanus civis", sulla sua produzione poetica, teatrale e oratoria. A questo proposito l'Ubaldini ricorda l'elogio funebre scritto e pronunciato dal poeta romano nella chiesa dell'Ara Coeli per la morte di Gerolama Bufalini, moglie di Angelo Colocci, avvenuta fra il febbraio e il luglio del 1518, e la presenza di tre epigrammi del G. nella raccolta di versi Coryciana (c. 24), edita a cura di B. Palladio nel 1524 (Ludovicus Vicentinus e Lautitius Perusinus). Il G. partecipò alla Coryciana come membro dell'Accademia omonima: infatti il nome del poeta si trova nella lista dei letterati iscritti all'Accademia durante il pontificato di Leone X, lista contenuta nelle Carte Strozziane (Fanelli, pp. 114 s.). L'Ubaldini, inoltre, suppone che il G. fosse stato insignito della laurea poetica, titolo di cui si fregia nell'intestazione del De viridario, negli stessi giardini della villa di A. Chigi. La notizia relativa alle circostanze dell'incoronazione poetica non trova conferma nelle altre fonti di cui si dispone, mentre sia il Marini sia il Renazzi riferiscono che il G. appartenne alla schiera dei poeti laureati.
Non si hanno notizie del G. posteriori al 1524.
Fonti e Bibl.: F. Arsilli, Poesie latine, a cura di R. Francolini, Senigallia 1837, p. 12; G. Marini, Lettera dell'abate Gaetano Marini al… mons. G. Muti Papazurri già Casali, nella quale si illustra il ruolo de' professori dell'Archiginnasio Romano per l'anno 1514, Roma 1797, pp. 63-66; F.M. Renazzi, Storia dell'Università degli Studi di Roma, II, Roma 1803-04, pp. 72 s.; W. Roscoe, Vita e pontificato di Leone X, VII, Milano 1817, p. 249; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, IV, Milano 1833, p. 221; W. Creizenach, Geschichte des neueren Dramas, Halle 1893-1916, II, pp. 19-21; L. von Pastor, Storia dei papi, IV, 1, Roma 1908, p. 420; D. Gnoli, La Roma di Leone X, Milano 1938, p. 99; I. Sanesi, La commedia, Milano 1954, I, pp. 130-133; L. Bradner, The Latin drama of the Renaissance (1314-1650), in Studies in the Renaissance, IV (1957), p. 35; M.T. Herrick, Italian comedy in the Renaissance, Urbana, IL, 1960, p. 24; A. Stäuble, La commedia umanistica del Quattrocento, Firenze 1968, pp. 121-125, 149, 153, 172, 187, 214, 217; F. Ubaldini, Vita di mons. Angelo Colocci, a cura di V. Fanelli, Città del Vaticano 1969, pp. 28 s. n. 33, pp. 114 s.; F. Doglio, Il teatro latino nel Cinquecento, in Il teatro classico italiano nel '500. Atti del Convegno,… 1969, Roma 1971, p. 166; V. Fanelli, Ricerche su A. Colocci e sulla Roma cinquecentesca, Città del Vaticano 1979, pp. 136 s.; F. Barberi, Tipografi romani del Cinquecento, Firenze 1983, pp. 23, 26, 35, 42, 49 s.; F. Cruciani, Teatro nel Rinascimento. Roma 1450-1550, Roma 1983, pp. 309, 349 s.; I.D. Rowland, Some panegyrics to Agostino Chigi, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, XLVII (1984), pp. 194-199; V. De Caprio, Roma, in Letteratura italiana (Einaudi), Storia e geografia, II, L'età moderna, Torino 1988, pp. 402 s.