LAMBERTINI, Egano
Nacque a Bologna verso il 1325 da Guido di Egano e da Pina di Ubaldino Malavolti.
Nel 1348 Guido ereditò dal padre la vasta proprietà immobiliare che da Poggio Renatico si estendeva in territorio bolognese e ferrarese e un ruolo di forte prestigio in ambito cittadino ed extracittadino per i rapporti nati con gli incarichi pubblici a sostegno della causa oligarchica e guelfa, per i vincoli di vassallaggio con la potente e vicina casa d'Este e, non ultimo, per la venerazione popolare verso la memoria della sorella Imelde. Era un grande lascito e Guido seppe gestirlo. Incrementò le proprietà con acquisti mirati e anticipazioni insolute; ne sviluppò il rendimento ottenendo che gli abitanti di un'ampia zona circostante si servissero unicamente del suo mulino di Caprara di Piano e procurandosi l'autorizzazione a costruire un altro mulino a Ponte Poledrano sul canale Navile. Tanto intensi erano i poteri esercitati da Guido nella zona, che nel marzo 1356 gli abitanti di Poggio Renatico e di Caprara di Piano chiesero al papa, alto sovrano territoriale, di attribuirgliene la piena giurisdizione, ma la richiesta non ebbe riscontro. Ottimi rapporti Guido instaurò con i detentori del potere in Bologna, i Visconti, Giovanni da Oleggio e quindi i legati pontifici. Nel maggio 1355 aiutò l'Oleggio assumendo la custodia della torre dell'Uccellino e ospitando nel 1357 a Poggio Renatico il conte Lando (Corrado Wirtinger) e la sua "grande compagnia" assoldata dal governatore di Bologna; fu dal 1360 varie volte nel Collegio degli anziani, rappresentanti locali nel governo della città retta dai legati pontifici. Seppe inoltre rafforzare i legami sia con gli Estensi, dai quali ricevette in feudo nel 1356 una trentina di appezzamenti con casali e vigneti in territorio ferrarese, sia con istituzioni religiose sensibili alle pratiche di devozione popolare come i carmelitani, che lo resero partecipe dei benefici spirituali del loro Ordine. Le ultime testimonianze su di lui precedono di pochi giorni la morte, avvenuta il 20 apr. 1373, e mostrano che egli reggeva ancora di persona l'intero patrimonio e la famiglia.
L'intensa vita del padre è probabilmente all'origine delle scarse notizie di rilievo nella vicenda del L. fino all'aprile 1373. Aveva sposato, intorno al 1350, Tommasina di Aldraghetto da Castelbarco, dalla quale ebbe i figli Aldraghetto e Aylicia. Ebbe anche un altro figlio, Malatesta, forse naturale, avviato alla carriera ecclesiastica. Resta memoria di alcuni suoi acquisti: terre a Gherghenzano e case in città, in "cappella" di S. Cataldo vicino alle case del padre. Il 20 giugno 1361 partecipò alla battaglia di San Ruffillo nelle file dell'esercito bolognese vittorioso sulle milizie di Bernabò Visconti e nella celebrazione della vittoria fu armato cavaliere. Dall'aprile 1373, divenuto ormai titolare di una posizione economica e sociale di grande rilievo, le testimonianze che lo concernono si moltiplicano e ne attestano l'alternarsi della dimora tra Poggio Renatico, Bologna e Ferrara e gli incarichi man mano assunti.
Fino all'inizio del 1376 i documenti lo dicono cittadino ferrarese, abitante a Ferrara in contrada Boccacanale, e ne provano la presenza alla corte estense e al seguito del marchese. I legami con gli Estensi ebbero conferma il 14 genn. 1376 quando Niccolò (II) gli rinnovò tutte le concessioni feudali fatte al padre, comprendenti oltre sessanta fondi, il diritto di edificare un mulino e quello di esigere dazi sui passi delle valli. I centri di interesse patrimoniale erano peraltro Bologna, dove il L. acquistò case e botteghe nelle vicinanze di quelle già possedute, e le terre intorno a Poggio Renatico, incrementate da ulteriori acquisti.
La rivolta del 19 marzo 1376, che provocò in Bologna la rinascita di un regime di autonomia comunale, aprì al L. uno spazio di iniziativa politica. Primo dei membri del quartiere di Porta Procola del ricostituito Consiglio generale, guidò i nobili che il 25 marzo scortarono a Ferrara il legato pontificio di Bologna, il cardinale Guglielmo Noellet, costretto ad abbandonare la città. Inviato con Francesco Ramponi a Bernabò e Galeazzo Visconti, ne riportò l'accettazione del nuovo regime e la formale proposta di una lega comprendente anche Firenze. A Poggio Renatico iniziò nel maggio 1377 la costruzione di un palazzo all'interno del castello. Il contesto in cui si collocavano questi episodi era comunque ancora quello di un forte legame con Ferrara e la corte estense. Nel luglio 1377 il figlio Aldraghetto sposò Beatrice di Guido Roberti, famiglia molto vicina agli Estensi, e il 6 ottobre il L. rinnovò a Niccolò (II), che gli aveva concesso altri feudi in territorio ferrarese, il giuramento di vassallo.
Col 1378 e per quasi un decennio, il L., senza rinnegare tale legame, prese dimora in ambito bolognese. Specchio e, forse, motivo di questa svolta, la decisione con cui il 24 febbr. 1378 gli Anziani accolsero la sua richiesta di ripristinare i suoi diritti sui mulini nella zona di Poggio Renatico. La decisione si basò su un giudizio di legittimità dei dottori dello Studio Sante Dainesi e Giovanni da Legnano (Giovanni Oldrendi); ma nella motivazione gli Anziani fecero esplicito riferimento agli impegni del L. a sostegno del governo bolognese. In questo momento gli interessi del L. sembravano dunque trovare consonanza nelle iniziative del nuovo regime, e di tali iniziative il L. divenne anche uno dei protagonisti, chiamato anzitutto a incarichi di carattere militare.
Nel 1378 fu capitano generale delle milizie con cui Bologna e Niccolò d'Este combatterono i Manfredi, signori di Faenza, e i Pepoli, loro alleati, che, protetti dai Visconti, aspiravano a riprendere il dominio in Bologna. Nel 1379 guidò un contingente di 400 cavalieri di Bologna in aiuto di Firenze, minacciata dalla Compagnia della rosa di Alberico da Barbiano. Nel 1380 fu di nuovo in aiuto di Firenze, assediata dagli Ungari di Carlo d'Angiò Durazzo, e guidò il contingente che assicurò a Bologna il controllo del castello di Bruscoli sul confine toscano. Il massimo impegno quale comandante militare fu quello richiesto al L. dalla sua partecipazione alla guerra combattuta da Bologna nel 1385 contro Alberico da Barbiano per il controllo di San Prospero e di Barbiano, centri del territorio di Imola, di recente acquisito al dominio di Bologna, e di Lugo e Cotignola, oggetto di pretese più o meno giustificate degli Estensi, dei Manfredi e di vari capitani di ventura. I primi esiti della guerra furono disastrosi per Bologna: il 25 febbraio le sue milizie al comando del gonfaloniere Ramberto Bazaleri, cui si erano uniti contingenti al soldo di Firenze e degli Estensi, furono sbaragliate da Alberico da Barbiano. Responsabile della sconfitta fu ritenuto Bazaleri per la presunzione con cui aveva rifiutato di seguire i consigli dei più esperti capitani alleati, ma il discredito colpì anche gli altri comandanti bolognesi, tra cui il L., che la voce popolare, ripresa con sarcasmo dal contemporaneo Matteo Griffoni, accusò di aver avuto negli speroni l'arma migliore (Memoriale, p. 79). Il giudizio, riferito al L., era forse infondato, come è dato desumere dal seguito della guerra. Ai primi di marzo gli Anziani, richiamati il Bazaleri e gli altri capitani bolognesi, affidarono il comando al L. e gli inviarono denaro per sostenerne l'azione e avvisi sui movimenti delle milizie avversarie. Ma, oltre che dai nemici, il L. dovette guardarsi dagli alleati e in particolare dal conte Lucio di Lando che, assoldato da Bologna, si era accordato con gli avversari. Il L., accortosi del tradimento, ne annullò gli effetti portando ai suoi ordini gran parte delle milizie reclutate dal conte. Altre difficoltà le provocava l'alleato Niccolò d'Este, le cui milizie al comando di Filippo Guazzalotti erano interessate più a estendere i domini di casa d'Este che a riaffermare i diritti dell'alleato bolognese. L'assenso degli Anziani a una presenza formalmente paritetica dei due alleati consentì la favorevole conclusione di questa fase della guerra e il 9 maggio 1385 i due capitani entrarono insieme nel castello di Barbiano. A questa fase altre ne seguirono, anche di segno diverso e con l'intervento di altri protagonisti, tra cui Astorre Manfredi, spesso alleato di Bologna, ma della cui lealtà si era altrettanto spesso dubitato. E quando nel 1386 il Manfredi assoldò Lucio di Lando, gli Anziani inviarono le milizie di Bologna a devastare il territorio di Faenza: le guidò il L. e questo fu l'ultimo suo comando militare di rilievo a sostegno del governo bolognese.
Fino al 1386 l'impegno del L. non si era peraltro limitato al campo militare. Sempre eletto nel Consiglio generale, era stato anziano in luglio-agosto 1381, gennaio-febbraio 1384 e luglio-agosto 1385. In precedenza, nell'aprile 1378, era stato inviato con Roberto da Saliceto al nuovo papa Urbano VI per saggiarne gli intenti verso il regime bolognese e nel luglio 1382 con Ugolino Scappi in Lombardia a incontrare Luigi d'Angiò, che alla testa di 15.000 cavalieri si dirigeva verso il Regno di Napoli, per stornare la minaccia di un saccheggio del territorio bolognese. Fu anche inviato a Ferrara, in grazia evidentemente dei suoi rapporti con gli Estensi, nel febbraio 1381, nell'agosto 1383 e infine nel marzo 1387. Del decennio bolognese 1376-86 i documenti attestano anche avvenimenti strettamente privati: nel marzo 1379 il matrimonio della figlia Aylicia con il conte Rizzardo di San Bonifacio; nel dicembre 1382 l'intervento della moglie Tommasina a fianco del procuratore del L., Tarlato Beccadelli, per la stipula di contratti di concessione a Poggio Renatico; nel novembre 1384 la decisione degli Anziani che sanzionò i suoi diritti circa l'attività del mulino di Caprara di Piano.
Interesse particolare riveste la sua denuncia d'estimo del 1385, contenente l'elenco dei beni in Bologna e contado. A fronte dei pochi beni in città - una grande casa in cappella di S. Cataldo, tre botteghe, un altro immobile e una possessione nella guardia con vigneto e mulino - sta la vasta proprietà nel contado, a Poggio Renatico e in località vicine: due mulini, dieci vaste possessioni per oltre 500 ettari, una sessantina di appezzamenti minori, diversi dei quali coltivati a vigneto e con case, varie case a Poggio Renatico, sei grandi valli, per una stima totale di 17.000 lire.
Dal 1389 il L. riprese dimora a Ferrara, dove acquistò altri immobili. "Provisonato" di Alberto (V) d'Este, in aprile ottenne in feudo diciotto fondi nel contado ferrarese. Oltre alla evidente amicizia che gli portava l'Estense è probabile che nel trasferimento degli interessi e della dimora del L. da Bologna a Ferrara abbia avuto un ruolo il fatto che tra il 1387 e il 1388 il governo di Bologna era caduto in mano a un ristretto gruppo di banchieri cittadini. La confessione resa nel novembre 1389 da Giovanni Isolani, un esponente dei Maltraversi che avevano cercato di ostacolare questo nuovo corso, rivela che essi pensavano di coinvolgere il L. nella loro azione. Fu solo un'intenzione: il L. non si mosse da Ferrara e qui alla fine di aprile del 1390 Alberto d'Este gli rinnovò il feudo sulle valli già concesso al padre. Negli stessi giorni Gian Galeazzo Visconti attaccava Bologna con l'aiuto di Francesco Gonzaga e dello stesso Alberto che aveva rotto la lunga alleanza del suo predecessore con Firenze e Bologna. Agli scontri tra milizie seguirono provvedimenti punitivi nei confronti dei cittadini accusati d'intesa coi nemici. Nel luglio il governo di Bologna ordinò il rientro di coloro che si trovavano nei territori avversari. L'8 ottobre fu promossa un'azione penale contro gli inosservanti e tra gli inquisiti per essere rimasti in territorio estense erano il L. e i figli Aldraghetto e Malatesta. Intanto la reazione militare di Bologna induceva l'Este a cessare la guerra e ad abbandonare l'alleanza col Visconti. Il trattato di pace siglato ai primi di novembre annullò probabilmente l'azione penale avviata pochi giorni prima, ma non convinse il L. a rientrare a Bologna, dove comparve solo nel febbraio seguente quale uno degli alti dignitari che accompagnavano Alberto d'Este, diretto in pellegrinaggio a Roma.
Per indurre il L. a una collaborazione significativa, nel giugno 1392 il Comune di Bologna gli restituì il controllo del castello di Poggio Renatico, che in precedenza aveva avocato a sé, chiedendogli di impegnarsi con giuramento a custodirlo nell'interesse del Comune. Il L. giurò e per lui prestarono fideiussione una quindicina di esponenti della nobiltà cittadina. La restituzione del castello, se non indusse il L. a rientrare a Bologna, ne facilitò almeno la ripresa del contatto con Poggio Renatico, la sua grande proprietà immobiliare e le relative concessioni, attestate da un documento del luglio 1393. Ma il legame con Ferrara e la corte estense ormai prevaleva. Provisionato anche del giovanissimo Niccolò (III), il 22 luglio 1394 il L. ottenne il rinnovo di tutte le concessioni feudali. A Ferrara il L. trascorse l'ultimo periodo della sua vita e vi morì agli inizi del settembre 1395; il giorno 15 il suo corpo fu traslato a Bologna e sepolto con solenni esequie presso la chiesa di S. Francesco.
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