MARINI, Efisio
– Nacque a Cagliari il 13 apr. 1835 in un’agiata e numerosa famiglia di commercianti, da Girolamo e da Fedela Maturano. Laureatosi in medicina nella sua città nel 1859, si trasferì all’Università di Pisa per completarvi gli studi biologici come allievo, tra gli altri, del paleontologo G. Meneghini. Conseguita nel 1861 anche la laurea in scienze naturali, fece ritorno a Cagliari, dove ottenne l’incarico di assistente aggiunto presso il Museo di storia naturale. Il singolare, crescente interesse per la paleontologia, che aveva cominciato a maturare alla scuola di Meneghini, sfociò presto in una sorta di fascino per il processo di conservazione della materia organica, conseguente al fenomeno naturale della fossilizzazione o realizzato artificialmente mediante la tecnica della «pietrificazione». La descrizione dei fossili che aveva raccolto sul promontorio Sella del Diavolo, nei pressi di Cagliari, e dei suoi primi tentativi sperimentali di conservazione del materiale organico fu oggetto di un lavoro, Idee di paleontologia generale, che pubblicò a Cagliari nel 1861. In queste sperimentazioni era stato suo collaboratore A. Lay Rodriguez, noto pioniere dell’arte del dagherrotipo in Sardegna, con il quale si era legato in amicizia; lo stesso M. era a sua volta appassionato cultore delle tecniche fotografiche e si dichiarava in questo campo seguace di é. Delessert.
L’allestimento di una prima serie di preparati era il risultato dell’applicazione delle conoscenze anatomiche e chimiche e delle tecniche utilizzate per la realizzazione delle prime lastre fotografiche finalizzate alla messa a punto di un metodo per ottenere in laboratorio, in tempo enormemente più breve di quanto non ne richiedesse il processo naturale, una sorta di fossilizzazione istantanea, così da evitare la decomposizione. Forse, all’operare meticoloso del M. verso tale obiettivo, non fu estranea una certa tendenza ad avvicinare le fasi della fossilizzazione a quelle alchemiche della distillazione, fusione e sublimazione impiegate nella ricerca della «pietra filosofale». Eseguendo con costanza e tenacia esperimenti sui cadaveri presso la scuola di anatomia dell’Università cagliaritana e, dopo averne ottenuto il permesso, presso l’obitorio del cimitero di Bonaria, il M. affinò gradatamente le proprie tecniche, fino a realizzare preparati trasparenti, caratterizzati da una consistenza morbida e plastica, inaugurando così l’innovativo metodo che sarà definito «plastinazione» e, con tutta probabilità usando il silicato su tessuti prefissati, dalla reversibilità (si veda Enc. medica italiana, XI, col. 2063, s.v. Pietrificazione): i pezzi così ottenuti, utilizzabili per lo studio dell’anatomia, per l’allestimento di musei scientifici, per l’impiego medico-forense e giudiziario potevano essere fatti tornare alle precedenti condizioni di freschezza mediante l’inoculazione di una diversa, idonea soluzione. Il procedimento, secondo il M., avrebbe consentito anche applicazioni industriali, quali la conservazione di carne bovina fresca o la concia di pelli realizzabile in soli 4 mesi, con un risparmio del 20% rispetto ai sistemi normali. In ogni caso il metodo introdotto dal M. rappresentava una novità assoluta rispetto ai sistemi di pietrificazione realizzati nel passato da G. Segato, P. Gorini e altri.
Già nel 1862 il M. inviò alcuni suoi preparati all’Università di Torino e a Londra perché fossero esaminati da due commissioni scientifiche, una italiana nominata dal ministero della Pubblica Istruzione e una inglese presieduta da R. Owen. I giudizi dovettero senza dubbio essere positivi se il 17 febbr. 1866 il Comune di Cagliari incaricò il M. di procedere alla conservazione della salma dello storico P. Martini: il M. operò con successo, tanto che il 1° giugno, coadiuvato dagli amici Lay Rodriguez, F. Uda e S. Timon, riesumato il corpo, poté constatarne e documentarne con immagini fotografiche esposte in gran numero nelle vetrine dei negozi cittadini, lo stato di assoluta incorruzione. Tuttavia, malgrado i tentativi di difenderlo messi in atto dai suoi amici soprattutto nelle pagine della Gazzetta popolare, egli fu inviso all’ambiente culturale e a larghi strati della cittadinanza di Cagliari che, oltre a mostrare scetticismo nei confronti delle ricerche alle quali si era tanto ostinatamente dedicato, sospettavano l’appartenenza del M., mai effettivamente provata, alla massoneria.
Le numerose e inopportune ricognizioni alle quali il reperto fu sottoposto tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del secolo successivo, senza le necessarie precauzioni atte a proteggerlo dalle potenziali azioni lesive di brusche variazioni termiche e igroscopiche, risultarono esiziali alla sua conservazione. Nell’ultima esumazione, effettuata per interessamento di A. Maccioni e C. Zedda il 27 febbr. 2006, si è potuto constatare che i resti dello storico cagliaritano si trovavano in un tombino, privi anche della protezione di un apposito contenitore, in stato di completo sfacelo.
Il desiderio del M. di dirigere un istituto universitario di anatomia umana, che l’istituzione di numerose nuove cattedre consentita dalla legge Casati del 1859 avrebbe reso possibile, sembrava però realizzabile, almeno in Italia, solo dopo che avesse reso noto il suo metodo di conservazione e svelata la formula chimica della composizione utilizzata per il processo: una condizione, questa, che egli, al pari degli altri ricercatori che lo avevano preceduto nell’arte della pietrificazione, sospettosamente geloso del suo segreto, non era assolutamente disposto ad accettare. Nel frattempo, tuttavia, aveva acquisito una vasta notorietà sia per l’eco suscitata dalle vicende della preparazione del corpo di Martini sia per i numerosi viaggi che aveva effettuato a Parigi, dove nel 1867 mostrò i suoi preparati all’Esposizione universale. Fu particolarmente apprezzato dal celebre chirurgo e anatomista A. Nélaton, il cui lusinghiero giudizio indusse Napoleone III a insignire il M. della Legion d’onore. Il M. avrebbe successivamente fatto dono al sovrano di un tavolino con il pianale intarsiato di sangue, cervello e bile pietrificati e mossi da alcuni congegni a molla (Parigi, Musée d’anatomie Delmas-Orfila-Rouvière).
Tenacemente ancorato al progetto di operare in patria, il M. rifiutò numerose offerte di insegnamento pervenutegli dalla Francia e da altre parti d’Europa, e nel 1867 si trasferì a Napoli, dove si dedicò all’esercizio della professione medica presso gli ospedali e privatamente, dedicandosi in particolare alla cura dei malati di colera. Entrò anche in dimestichezza con alcuni personaggi del Risorgimento, tra cui G. Garibaldi, del quale aveva conservato il sangue fuoruscito dalla ferita riportata in Aspromonte. Proseguì febbrilmente a lavorare intorno alle proprie tecniche e poté allestire una serie di preparati, non numerosi ma estremamente raffinati, che si conservano ancora presso il museo dell’Istituto di anatomia dell’Università partenopea unitamente a una copia gemella del tavolino di marmi organici donato a Napoleone III. Fornì la descrizione di questo mobile, oltre a vaghe notizie sul proprio metodo, in un breve articolo pubblicato in The Lancet del 28 ag. 1878 (LV, p. 3), A human table. Tre anni più tardi presentò le opere inviate all’Esposizione industriale italiana di Milano in Esposizione industriale italiana in Milano. Preparati anatomici di E. M. (Napoli 1881).
A Napoli, dove aveva stretto amicizia con illustri esponenti del mondo culturale, tra i quali S. Di Giacomo e G. Bovio, il M. trascorse il resto della sua vita; effettuò ancora due brevi visite a Cagliari, nel 1868 per ringraziare la Società degli operai che aveva deciso di insignirlo con una medaglia in riconoscimento dei suoi meriti scientifici e nel 1882 per non meglio chiariti motivi familiari.
Ridottosi progressivamente in condizioni di estrema indigenza e preda di una incipiente follia, il M. morì a Napoli l’11 sett. 1900.
Fonti e Bibl.: La scienza di Segato e il dott. E. M., in Il Corriere di Sardegna, 24 ag. 1864, pp. 1-3; F. Uda, Un miracolo d’oltretomba e la fotografia in Cagliari, ibid., 11 sett. 1866, pp. 1-3; F. Corona, La Soc. degli operai di Cagliari: cronistoria, Cagliari 1899, p. 30; N. Maffi, Le opere inedite di P. Gorini, in La Sera, 8 marzo 1931, p. 3; Non è perduto il prodigioso segreto della pietrificazione dei corpi?, in La Stampa, 15 luglio 1935, p. 3; La pietrificazione dei cadaveri. Il segreto conservato dalla figlia di M., ibid., 4 ag. 1935, p. 4; E. Allodoli, Il segreto di G. Segato, in Corriere della sera, 17 marzo 1936, p. 3; G. Rastelli, Breve storia di una grande rinuncia, in La Sera, 4 genn. 1938, p. 3; E. Manganelli, Parravicini e Boridikin, in Il Popolo d’Italia, 13 febbr. 1939, p. 3; Una donna di Napoli possiede il segreto delle mummie, in La Stampa, 13 febbr. 1939, p. 3; Il segreto della pietrificazione è stato scoperto?, in Stampa sera, 15 maggio 1940, p. 3; L. Bianchi, Dal segreto di E. M. agli studi del prof. Spirito, in L’Avvenire sanitario, XXXV (1941), 1, p. 3; F. Alziator, I morti di pietra dell’uomo caparbio, in Il Convegno, I (1946), 6, pp. 12-16; 9, pp. 13-18; V. Scanferla, P. Gorini: un’utopia scientifica dell’Ottocento, in In tema di medicina e cultura, XVII (1980), pp. 58-62; O. Maccioni, Cagliari fra cronaca e immagini: la fotografia in Sardegna dal 1839 al 1943, Cagliari 1982, pp. 464 s.; A. Maccioni, E. M. e la conquista dell’eternità, in Studi sardi, XXX (1992-93), pp. 683-692; R. Grilletto, Il mistero delle mummie, Roma 1996, p. 148; Il pietrificatore. E. M. (Cagliari 1835 - Napoli 1900), a cura di C. Zedda - L. Serra, s.l. [ma Cagliari] 2004; A. Carli, Anatomie scapigliate. L’estetica della morte tra letteratura, arte e scienza, Novara 2004, pp. 31, 33 s.; C. Zedda, E. M. e P. Gorini: due personaggi a confronto, in Storia di uno scienziato. La collezione anatomica «Paolo Gorini», a cura di A. Carli, Azzano San Paolo 2005, pp. 81-87.